martedì 14 gennaio 2025

Le occasioni dell'amore

"Le occasioni dell'amore" (Hors Saison) di Stéphane Brizé. Con Guillaume Canet, Alba Rohrwacher, Marie Drucker, Sharif Andoura, Emmy Baussard Paumelle, Lucelle Beudin, Hugo Dillon e altri. Francia 2023 ★★★★

Film estremamente francese, se vogliamo un mélo molto raffinato, un po' fuori dal tempo (in originale il titolo originale suona come "fuori stagione": è inverno in una piccola località termale in Bretagna, sull'Oceano, dove si svolge la vicenda), per una volta la titolazione nostrana è più coerente con l'intreccio, di per sé molto semplice. Mathieu, parigino, cinquantenne attore di cinema di grande successo si rifugia in un asettico albergo con spa e annessi per rilassarsi e cercare di ritrovare sé stesso dopo aver abbandonato la compagnia poco prima del suo debutto a teatro: una sfida con sé stesso a cui ha rinunciato all'ultimo momento non sentendosi all'altezza. Per puro caso, o forse no, lì vive Alice, sua compagna una quindicina di anni prima, in "un'altra vita", nella capitale: dopo aver preso strade diverse lei, italiana e promettente pianista e compositrice, si è rifugiata lì, formando famiglia e scegliendo di fare una vita tranquilla (insegna pianoforte ai ragazzini) invece di coltivare le proprie ambizioni, a cui a sua volta si sente inadeguata. Il motivo vero della loro rottura, ossia il desiderio di affermarsi professionalmente e socialmente di Mathieu che cozza contro l'insicurezza e la scarsa determinazione carrieristica di lei, emergono durante i loro incontri, prima imbarazzati e poi sempre più intensi: poche parole ma piuttosto pregnanti, che significano una ripresa di contatto con sé stessi e con quello che erano per entrambi, più che una "resa dei conti", anche se emergono, almeno in parte e all'inizio, delle piccole recriminazioni soprattutto da parte di Alice. Non è un film consolatorio e dal lieto fine all'americana anche se i due finiscono a letto insieme, per un'unica e ultima volta, ma di riflessione, anche in questo caso, sulle relazioni personali e su come la vita reale, il lavoro dell'attore, peraltro sposato con una stella del giornalismo televisivo, una donna volitiva e sbrigativa per Mathieu; l'esistenza ritirata e fatta di piccole cose, come l'amicizia di Alice con una signora anziana che vive in una casa di riposo e che dopo la morte del marito sposato perché "così ai miei tempi si faceva" si innamora di una sua compagna di "degenza", per la timida insegnante di pianoforte. Fiim diviso abbastanza nettamente in due parti: nella prima il protagonista è quasi soltanto Mathieu che, arrivato per "staccare la spina" e rimettersi in sesto, si trova alle prese con gente che lo riconosce e lo assilla per dei selfie, telefonate con il regista bidonato e con la moglie che non lo sta ad ascoltare per davvero, infine alle prese con le diavolerie meccaniche in un albergo dove tutto è automatizzato e lui immensamente solo; nella seconda parte lo schermo è sempre più occupat dalla presenza di Alice, Alba Rohrwacher in splendida forma e perfettamente nella parte, come del resto il bravissimo Guillaume Canet. Due persone adulte che hanno percorso strade diverse, le quali più che rivedere il loro rapporto di un tempo, ritrovano un equilibrio e un'intimità e confidenza profonda proprio nel momento in cui entrambi riflettono e prendono coscienza del percorso fatto da entrambi, frutto delle loro scelte, inevitabili, di quindici anni prima e questo loro incontro non è un revival o la ripresa di una storia ormai passata, e un po' malinconicamente rievocata (però senza alcuna melensaggine da parte di Brizé) ma, forse, la riconnessione con sé stessi, e questo vale per tutt'e due. Film elegante, dove non mancano tratti di sottile ironia, formalmente ineccepibile, una gran bella fotografia e una colonna sonora davvero notevole, curata da Vincent Delerm: una certa lentezza alla fine non guasta, perché serve a far sedimentare le sensazioni dello spettatore e a osservare con attenzione i dettagli. Brizé non delude mai.

giovedì 9 gennaio 2025

Una notte a New York

"Una notte a New York" (Daddio) di Christy Hall. Con Dakota Johnson, Sean Penn, Marcos  A. Gonzalez. USA 2023 ★★★★1/2

Piena soddisfazione per quest'esordio alla regia della sceneggiatrice Christy Hall, con un soggetto inizialmente pensato per il teatro e adattato al grande schermo, interpretato con grande intensità, naturalezza e bravura da Sean Penn, che rimane pur sempre una garanzia, e la sorprendente Dakota Johnson, figlia (Melanie Griffith) e nipote (Tippi Hedren) d'arte, e dunque newyorkese da almeno tre generazioni, talentuosa almeno quanto le sunnominate. Qui è una giovane donna che, ormai è notte, esce dall'aeroporto Kennedy e cerca un taxi per rientrare nella sua abitazione nel centro di Manhattan. Le capita come autista Clark, all'ultima corsa della giornata, e il film si svolge, in unità temporale, durante il tragitto tra il Queens e Midtown, viaggio che in quell'orario si compie solitamente in una quarantina di minuti ma la cui durata viene prolungata a causa di un incidente che li blocca per una mezz'ora abbondante. E' in questa fase che, dopo uno scambio di battute sulle generali iniziata dal classico taxista chiacchierone curioso (e psicologo, come i barbieri) e accettato dalla passeggera, il discorso scivola sul personale. Niente di scabroso e nessun tentativo di "rimorchio", come sarebbe scontato pensare, ma ognuno dei due, dopo aver rivelato in una sorta di "gioco", alcune parti di sé, in un crescendo rivela delle proprie verità che non vuole, forse, nemmeno ammettere a sé stesso e comunque non rivelerebbe alle persone con cui ha una relazione più o meno fissa. Una seduta terapeutica a due, verrebbe da dire, quanto lo era stata, ma di auto-psicanalisi, quella di Tom Hardy in Locke di Steven Knight, in realtà più cinematografico e noir di Una notte a New York. Se come Clark Sean Penn non fatica molto a entrare nella parte, per lui abbastanza semplice, del maschio agé, che può ironizzare sul suo passato di donnaiolo impenitente, non prendendosi più sul serio ma che, anche per il mestiere che fa e la varia umanità che incontra, ha affinato oltremodo le sue doti di osservatore, e non tarda a capire che questa ragazza, forte di carattere e apparentemente sicura di sé nasconde una o più ferite profonde, è notevole quanto Dakota Johnson, senza mai forzare, riesca ad esprimere man mano che i suoi nodi vengano a galla dentro di sé durante la conversazione con questo sconosciuto, ciò che le succede nella testa e nello stomaco, e a liberarsi alla fine di un peso. Il viaggio di due settimane che questa giovane informatica, si viene a sapere, ha fatto nella natìa Arizona, aveva un senso profondo, fare i conti col proprio passato, ma anche risolvere una situazione che non aveva affrontato nemmeno con la sua ritrovata sorella di cui era ospite, ma che rivela a Clark, uno sconosciuto, che a sua volta le aveva confessato alcuni suoi lati oscuri. Cose che accadono, quando ci si incontra e ci si fida dell'altro d'istinto, senza alcuna seconda intenzione: possono nascere rapporti intensi e indimenticabili che durano anche solo lo spazio di un incontro casuale, spesso in viaggio, fuori dalla realtà di tutti i giorni, e possono cambiarti anche la vita, o almeno il modo di affrontarla. Gran bel film, calibrato al millimetro, con due splendidi attori e una fotografia da premio. Ah: "Daddio" del titolo originale, nello slang locale,  ha un significato simile al Papi di berlusconiana memoria...

sabato 4 gennaio 2025

Diamanti

"Diamanti" di Ferzan Ozpetek. Di Ferzan Ozpetek. Con Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Valessa Scalera, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Carlotta Tingitrice, Milena Mancini, Stefano Accorsi, Vinicio Marchioni, Paola Minaccioni, Lunetta Savino, Carla Signoris, Kasia Smutnjak, Milena Vukotić, Elena Sofia Ricci e altri. Italia 2024 ★★★★1/2

Avevo seguito la carriera di Ferzan Ozpetek, turco di nascita, più precisamente "costantinopolitano", e da tempo naturalizzato italiano, fin dai suoi esordi e più o meno fino all'inaugurazione di questo blog, nel 2011, dopododiché mi ero stufato di andare a vedere i suoi film in sala, trovandoli sempre più ripetitivi e manieristici, recuperandoli semmai, e non tutti, in televisione e quindi non ne ho più parlato tranne che dell'ultimo che avevo visto sul grande schermo e mi era piaciuto: Napoli velata, uscito nel 2017. Sono rimasto dunque molto gradevolmente sorpreso da questo suo ultimo lavoro, per il quale ha convocato le 18 attrici, oltre ad alcune presenze maschili, ossia coloro con cui ha lavorato nel corso del tempo e che più apprezza, la scorsa estate a Roma, per leggere e sottoporre al loro giudizio un copione. Parte di queste sessioni vengono filmate e si alternano alla trama, facendo intendere che il risultato sarà dovuto alla stretta interazione tra attori e regista, quasi un'opera in progress, e dove l'intervento degli interpreti nella forgiatura dei personaggi è fondamentale e fortissima: Elena Sofia Ricci, scelta per la parte della fondatrice di una rinomata sartoria romana che sforna splendide creazioni per cinema e teatro, per motivi personali ha dovuto rinunciare alla parte (ma non alla sua presenza nel film) e così i personaggi principali sono diventati la figlia maggiore, l'altera Alberta (Luisa Ranieri), che dirige con piglio deciso, a tratti autoritario, la sartoria Canova, e quella minore, Gabriella (Jasmine Trinca), più flessibile e fragile, a causa di un dramma patito di cui si avrà conoscenza nell'evolversi della vicenda. Stessa cosa accade per tutti gli altri personaggi: i "diamanti" di cui al titolo, ossia le sarte che operano "sul campo" e che devono tradurre in autentiche opere d'arte le idee, spesso vaghe e arzigoglolate, di registi capricciosi (qui Stefano Accorsi) e costumiste già vincitrici di Premi Oscar (Vanessa Scalera), e nonostante ciò insicure. Mentre seguiamo, tra prove, sceneggiate, bozzetti, scelta e tagli di stoffe le attività dell'azienda, che si trova in una villa d'epoca, guidate nell'azione dall'onnipresente Alberta, nonché ristorate e accudite dalla cucina sovrintesa dalla materna presenza della tuttofare Mara Venier (una lode particolare, detta da uno che odia la TV) si delineano man mano i retroscena, le storie e i drammi personali della vita privata di questi "diamanti" al femminile, un autentico gineceo (un "vaginodromo" lo aveva definito la sempre acuita e brillante Geppi Cucciari alla presentazione del copione). Siamo negli anni Settanta, così come di quell'epoca è l'azzeccata colonna sonora, mentre il film oggetto delle diatribe su come concepire il vestito della sua protagonista (che sarà Kasia Smutniak) sarà ambientato nel '700. Il regista gioca quindi sul tempo, oltre che sulle differenze tra cinema e teatro (esilarante il duetto tra la "cinematografara" Smutniak e Carla Signoris, animale da palcoscenico), entrambi ambiti in cui Ozpetek è attivo; il concetto di arte e bellezza; la realtà e la sua interpretazione e, in questo caso, l'artigianato di alto livello che ci sta dietro e la vita quotidiana di chi lo mette in opera, nonché, ovviamente, l'universo e la solidarietà tutta femminile che Ozpetek sa esprimere come pochi altri, forse solo François Ozon, a mio giudizio: un mondo che noi maschi abbiamo così occasione di sbirciare sia dietro sia davanti le quinte. Racconto fluido, quel tocco di mélo che non guasta, però mai stucchevole; amori e disamori; felicità e paure ma anche ironia e gioco: alcune battute sono folgoranti; fotografia di alto livello; un insieme di belle storie di donne e dei loro rapporti che stanno alle spalle di una vicenda artistica che fa da pretesto, e due ore e un quarto che volano via, tra la bellezza delle creazioni della premiata ditta Canova e l'autenticità delle vite delle persone che le creano, e soprattutto la bravura di tutte le interpreti e di chi le ha lasciate esprimersi al meglio. Diamanti mi è piaciuto molto e mi sento di consigliarlo, a maggior ragione perché l'ho affrontato con un certo scetticismo.