venerdì 29 settembre 2023

La verità secondo Maureen K.

"La verità secondo Maureen K." (La Syndacaliste) di Jean-Paul Salomé. Con Isabelle Huppert, Grégory Gadebois, François-Xavier Demaison, Pierre Deladonchamps, Alexandra Maria Lara, Gilles Cohen, Yvan Attal, Benoît Magimel, Marina Foïs, Geno Lechner e altri. Francia 2022 ★★★★+

Passaggio semiclandestino nelle sale nostrane (e già quasi sparito dalla programmazione dopo una settimana) dopo essere stato presentato l'anno scorso a Venezia nella sezione Orizzonti, e pressoché ignorato, di un film scomodo proprio perché racconta in maniera impeccabile una storia vera: fa venire in mente il boicottaggio internazionale nei confronti di Adults in The Room di Costa Gavras, del 2019, basato sul libro dell'ex ministro dell'economia greco Gianis Varuofakis. Scomodo per i "poteri forti" europei, mai uscito in Germania e in Italia perché parlava di come la UE e la BCE draghiana abbiano mandato a picco la Grecia per salvare le banche di Germania e Francia in primis. Qui i poteri forti sono quelli che stanno dietro al "nucleare" francese, perché si parla della vicenda kafkiana di cui è stata vittima Maureen Kearney, rappresentante sindacale del Gruppo Areva, leader nella costruzioni di centrali nucleari, che nel 2012 aveva svelato, grazie a una soffiata di un ingegnere di EDF, le trattative segrete che avrebbero portato all'assorbimento da parte della stessa EDF, colosso dell'elettricità francese, a sua volta in trattative con la cinese CGNPC per la costruzione, con know how francese, di centrali nucleari in tutto il mondo. Il che avrebbe portato alla perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, oltre a un primato tecnologico. La donna aveva battagliato col nuovo vertice di Areva, aveva interessato parlamentari e contattato lo stesso ministro dell'Economia Montebourg, ma la mattina del 17 dicembre 2012, lo stesso giorno in cui avrebbe dovuto incontrare il neopresidente François Hollande, venne assalita in casa sua, incappucciata, bendata, le fu incisa una "A" sul ventre e infilato dalla parte del manico un coltello nella vagina: così la trovò, in cantina, la donna delle pulizie dopo qualche ora. Non fu creduta dalla polizia che, dopo una serie di angherie e minacce, ribaltò la sua posizione da vittima ad accusata: avrebbe inscenato lei stessa l'aggressione a suo uso e consumo per fare cadere i sospetti sui suoi avversari "politici": il resto lo fece una corte complice che, in primo grado, arrivò a condannarla per simulazione, e un avvocato non si sa se più incapace o imbecille. Solo sei anni dopo, assistita da un legale all'altezza e quando lei stessa aveva ritrovato l'equilibrio e la capacità di ricordare lucidamente gli avvenimenti di quella violenza subita, venne definitivamente prosciolta. A impersonare Maureen, una Isabelle Huppert che, se possibile, supera sé stessa per bravura: senza fronzoli, è capace di immedesimarsi, anche fisicamente, nella sindacalista d'origine irlandese, rivelandone luci e ombre, una donna sola nel mondo degli uomini per antonomasia: quello del potere. Un'interpretazione strepitosa. Ecco: nonostante la presenza di una delle più portentose attrici in circolazione, e in barba a tutto il parlare (a vanvera) di Me Too, uguaglianza di genere e altre correnti di pensiero modaiolo d'importazione USA, non appena si vanno ad affrontare, tra l'altro fondendo elementi di documentario e di thriller politico, oltre che di poliziesco tout court, temi "delicati" per i detentori del potere vero, ecco che anche la critica professionista che bivacca tra redazioni di giornali e studi radiotelevisivi, nonché quella che si agita in rete, si tira indietro e quando non lo ignora, smonta questo film ben fatto, essenziale, dal ritmo incalzante, scorrevole, con ottimi interpreti, credibile. Se riuscite a intercettarlo, merita. Fidatevi. 

lunedì 25 settembre 2023

Assassinio a Venezia

"Assassinio a Venezia"(A Hounting in Venice) di Kenneth Branagh. Con Kenneth Branagh, Tina Fey, Kelly Reilly, Riccardo Scamarcio, Camille Cottin, Jamie Donan, Michelle Yeoh, Jude Hill, Maxime Gerard, Emma Laird, Ali Khan (II) e altri. USA 2023 ★★=

Considerata la povertà di soluzioni alternative a disposizione in questo periodo che non fossero già dal titolo una martellata sui testicoli assicurata, per trascorrere un paio d'ore di relax ho optato per il terzo episodio della serie di film che Kenneth Branagh ha tratto, abbastanza liberamente, da Agatha Christie e in cui ha riservato a sé la parte di Hercule Poirot. Questo nonostante non abbia mai amato la scrittrice inglese e il gigionismo di Branagh cominci a diventarmi indigesto (tant'è vero che, dopo Assassinio sull'Orient Express, avevo saltato Assassinio sul Nilo, uscito lo scorso anno). Sì: perché ormai quello del regista e attore nordirlandese è un vero e proprio format, praticamente inesauribile da qui a fine carriera, come del resto la sterminata produzione della celebre "maestra del giallo". Non mi soffermo sulla trama, arzigogolata e cervellotica come al solito negli intrighi congegnati dalla Christie (il libro a cui si ispira, almeno in parte, è Hallowe'en Party, da noi tradotto come Poirot e la strage degli innocenti) e che ha come premessa l'abbandono della professione da parte del famoso investigatore e la scelta di rifugiarsi a Venezia per godersi la meritata pensione. Siamo nel 1949 e dal buen retiro va a stanarlo una vecchia amica, la scrittrice di bestseller (gialli, ça va sans dire) Arianne Oliver, che lo convince ad assistere a una seduta spiritica organizzata dall'ex cantante d'opera Rowena Drake nel palazzo di sua proprietà dalla storia "stregata" e maledetta, la quale vuole entrare in contatto con la figlia che lì ha incontrato una morte misteriosa qualche tempo prima, apparentemente un suicidio per pene d'amore. Il razionalista Poirot si fa coinvolgere più che altro per smascherare l'impostura della medium chiamata a fare da intermediaria coi trapassati e si trova, come da copione, a risolvere non solo il caso della morte della ragazza, in questa casa apparentemente infestata dai fantasmi di bambini vendicativi che a suo tempo vi furono ospitati, ma quella di due omicidi "live" avvenuti nel corso della nottata in cui si pretende che si svolga tutta la vicenda: quello della medium e quello del medico che aveva in cura la figlia di Rowena Drake. Il classico caso del delitto nella stanza (quasi) chiusa, insomma. Atmosfera a tinte fosche, suggestioni horror, o "gotiche" come usa dire certa critica militonta, che finiscono per fagocitare anche un detective così poco suggestionabile: l'ambientazione in un lugubre palazzo abilmente ricostruito (siamo dalle parti del consolato tedesco, nei pressi del Ponte dell'Accademia) contribuisce al clima di tensione ma rende il tutto ancora più farsesco. Rimedia in parte la bravura degli interpreti, fra cui brilla, a mio avviso, Camille Cottin, nel ruolo della governante, una ex suora, il motivo principale per cui mi sono avventurato a vedere il film. Il resto è paccottiglia, colpi di scena tanto a effetto quanto improbabili, ma quello che indispone fin dall'inizio è la premessa, ossia un falso storico: nel 1949 nessuno in Italia sapeva cosa fosse Halloween e si è cominciato a "festeggiarlo" soltanto a inizio degli esiziali anni Ottanta. Meno che mai celebravano la "ricorrenza" gli orfanelli veneziani in quell'anno di grazia, che pure vide, con l'apertura della Collezione Peggy Guggenheim, l'inizio di una sorta di colonizzazione culturale americana che avrebbe avuto i suoi affetti a venire, ma certamente non ancora all'epoca. Alla fine, una pellicola presuntuosa e indisponente. Ancora più fa incazzare venire a sapere che Assassinio a Venezia in Italia è campione di incassi al botteghino in queste settimane, superando ampiamente un film importante e bellissimo come Io capitano. Ma questi sono i tempi che corrono, grazie anche a chi indirizza un pubblico sprovveduto e rincoglionito a dovere. Mi dispiace di aver contribuito al suo successo. 

mercoledì 20 settembre 2023

Io capitano

"Io capitano" di Matteo Garrone. Con Seydou Sarr, Mustafa Fall, Issaka Sagawondo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna, Josep Beddelem, Bamare Kane, Henri Didier Njikam e altri. Italia, Belgio 2023 ★★★★1/2

E' stato sottolineato da più parti come Io capitano, Leone d'Argento all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, che racconta l'odissea del viaggio dal Senegal all'Italia di due cugini sedicenni, Seydou e Mussa, si collochi sulla scia di Pinocchio, il precedente film di Matteo Garrone: racconto di formazione di due ragazzi alla ricerca di una dimensione diversa (in questo caso l'ambizione è sfondare nel mondo della musica e firmare autografi agli europei), inserendo la loro avventura nel contesto attuale e nella realtà del fenomeno migratorio che da alcuni decenni ormai è al centro di dispute politiche e ideologiche che sistematicamente ignorano la dimensione individuale e, soprattutto, umana della questione. Introducendo un elemento fiabesco (peraltro presente in altri suoi film precedenti come L'imbalsamatore e Il racconto dei racconti) Garrone contribuisce a spiazzare e mettere fuori gioco la canea emergenzial-sovranista, evitando di buttarla su un piano "idelolgico"; inoltre la vicenda, emblematica, esce non solo dagli schemi con cui l'emigrazione viene solitamente raccontata dai media, ma mostra in maniera molto credibile il punto di vista di chi fa questa scelta e vive vicende allucinanti come questa doppia traversata, del deserto (il Sahara) e poi del mare (Mediterraneo). Nonostante la povertà, comunque dignitosa, a Dakar Seydou e Mussa vivono una vita normale, inseriti in un ambiente famigliare come tanti, sano e affettuoso, e hanno gli stessi sogni e aspirazioni di qualsiasi ragazzo europeo: ascoltano la stessa musica, guardano gli stessi video sui loro smartphone: è il sogno di diventare delle Star che li motiva a lavorare nelle ore libere per accumulare il danaro necessario per il "grande viaggio", benché vengano sconsigliati da chiunque: dalle rispettive madri, da chi lo ha già affrontato, da chi sa a cosa andranno incontro, sia durante il trasferimento, sia una volta giunti, eventualmente, all'agognata meta. La prima parte del film, dunque, è incentrata sulla vita quotidiana dei due ragazzi nella capitale senegalese, fino alla decisione, molto combattuta da parte di Seydou, di partire di nascosto. Quella che segue è la storia comune a decine, centinaia di migliaia di schiavi moderni (schiavi "volontari", si potrebbe dire) che a ogni passaggio vengono spennati e vessati: ammassati su mezzi  di trasporti perlopiù inadatti, fatti camminare per giorni in mezzo al deserto (splendide le immagini del tragitto tra Senegal, Mali, Niger e Libia, girate però giocoforza in Marocco), incarcerati, torturat e ricattati da bande di ribelli libici per ottenere i numeri di cellulare con cui contattare i famigliari da ricattare per succhiare altri soldi; lavoratori in nero una volta giunti a Tripoli, in attesa di affrontare la traversata verso l'Italia. Nel frattempo Seydou e Mussa si perdono di vista, perché il secondo rimane prigioniero dei banditi libici, ma dopo mille peripezie Seydou, che nel frattempo ha avuto modo di maturare rapidamente, lo rintraccerà proprio nella capitale libica, ferito, e l'urgenza di curare la gamba di Mussa, perforata da un proiettile, lo indurrà ad accettare l'offerta dei trafficanti di condurre lui stesso il battello con cui raggiungere la Sicilia, benché non ne abbia mai portato uno e non sappia nemmeno nuotare: è l'assunzione di responsabilità nei confronti non solo del cugino, ma del suo prossimo, da parte del ragazzo, più che la traversata che avviene senza eccessivi problemi, il cuore dell'ultima parte di questo film e, in sostanza, di tutto il racconto di questa piccola grande epopea narrata con uno spirito autenticamente umanista di cui va ringraziato di cuore Matteo Garrone. Notevole quanto credibile l'interpretazione di Seydou Sarr, premiato a Venezia all'esordio come attore che, come l'amico e "collega" Mustafa Fall, è musicista e canta pure (una bella voce) nella colonna sonora della pellicola. Io capitano è un film notevole, che parla del fenomeno migratorio senza preconcetti e lontano dai luoghi comuni, che vale la pena di essere visto e sarebbe indicato soprattutto per quelli che ne parlano a vanvera e si bevono il ciarpame intriso di razzismo e pregiudizi propalato dai mezzi d'informazione e dai politicanti di ogni risma, salvo rarissime eccezioni. Proprio per questo non avrà il successo di botteghino che si meriterebbe ampiamente.

lunedì 4 settembre 2023

Oppenheimer

"Oppenheimer" di Christopher Nolan. Con Cillian Murphy, Emily Blunt, Robert Downey Jr., Matt Damon, Florence Pugh, Jack Quaid, Rami Malek, Bennie Safdie, Michael Angarano, Josh Hartnett, Kenneth Branagh, Jason Clarke, Dane DeHaan, Matthew Modine, Dylan Arnold e altri, USA 2023 ★★★1/2

L'aspetto positivo del pompaggio a manetta, francamente eccessivo, dell'ultimo film di Christopher Nolan, basato sulla biografia di J. Robert Oppenheimer scritta da Kai Bird e Martin J. Sherwin (titolo originale America Prometheus), è stato la riesumazione di Following, film d'esordio del regista britannico, presentato per l'occasione in contemporanea con l'uscita di Oppenheimer; quello negativo, inevitabile quando si esagera nel creare aspettative, è di averne indotte troppe, per cui alla fine la delusione è in agguato. Così come è inevitabile andare a cercare i difetti di un film che è si tecnicamente di altissimo livello, e ci mancherebbe anche altro, col budget che il regista, e qui anche sceneggiatore, si è trovato fra le mani, così come un cast di prim'ordine, ma non il capolavoro che era stato fatto balenare dagli imbonitori che bivaccano nelle redazioni degli spettacoli di giornali, radio e TV in una unanime celebrazione anticipata, prima ancora che uscisse nelle sale. Come sempre in Nolan la narrazione scorre su diversi livelli temporali: da un lato cronologicamente incentrata sull'evoluzione del fisico, nato a New York da famiglia ebreo-tedesca ma formatosi in Europa, a partire dal 1926, quando si trovava prima a Cambridge e poi a Göttingen, a contatto con i fondatori della fisica quantistica, una dimensione completamente nuova di vedere e interpretare la materia di cui si occupava (non in esclusiva, perché i sui interessi erano molteplici e spaziavano in discipline diverse), la sue convinzioni progressiste, i contatti ravvicinati con esponenti comunisti (che poi gli sarebbero stati rinfacciati) che non impedirono a Roosevelt di volerlo a capo del Progetto Manhattan, ossia lo sviluppo della bomba atomica, che avvenne in gran segreto a Los Alamos, New Mexico, in un sito voluto da Oppenheimer stesso in una zona che conosceva bene, in un count-down serrato fino al primo test nel deserto, chiamato Trinity, poche settimane prima che due ordigni venissero sganciati su Hiroshima e Nagasaki; dall'altro, in un bianco e nero che ben evidenzia posizioni diverse, le udienze "private", avvenute nel 1954, piena epoca maccartista di "caccia allestreghe", leggi comunista, in seguito alle quali gli sarebbe stato negato il nulla osta per la sicurezza, per una vendetta di Lewis Strauss, a suo tempo presidente della Commissione per l'energia atomica e aspirante segretario di Stato per il commercio. Due filoni, dunque, che si intrecciano di continuo nell'arco delle tre ore che dura il film, che comunque regge la durata e non annoia. E veniamo alle pecche. Oppenheimer era ben cosciente, anche per formazione, di cosa avrebbe comportato lo sviluppo dell'arma nucleare, e oltre a raggiungere l'obiettivo di battere sul tempo i nazisti nello sviluppo dell'arma definitiva, contava sull'effetto "deterrente" che avrebbe dovuto indurre a una soluzione diplomatico-politica per una cooperazione in campo nucleare, ma la sua visione filosofica, come il suo retroterra culturale, è tratteggiato un po' troppo sommariamente e rischia di risultare incomprensibile a chi non conosce la storia del personaggio e certi dettagli; era dunque un uomo geniale, combattuto, come segnato da un destino (dharma) che sentiva incombere su di lui, e ben lo interpreta uno smagrito Cillian Murphy, già presente in altri film di Nolan, in un ruolo paradossalmente simile al Thomas Shelby di Peaky Blinders, serie TV britannica di gran successo sulle vicende di una banda di zingari nell'Inghilterra degli anni Venti e Trenta. Sempre a proposito di serie TV, tutta la fase di Los Alamos ricorda molto da vicino Manhattan, due stagioni uscite nel 2014 e 2015, dove pure era presente Oppenheimer, in quell'occasione interpretato da Daniel London, che a mio parere ha illustrato meglio che qui le tensioni fra gli scienziati coinvolti nel progetto. Sull'altro filone, quello dell'incalzante interrogatorio del "padre dell'atomica" per verificarne la "fedeltà" e compatibilità al sistema americano incarnato da Edgar J. Hoover, onnipotente direttore del FBI, mi è venuto in mente Good Night and Good Luck di George Clooney del 2005 (anche lì c'era Robert Downey Junior, che qui interpreta magistralmente Lewis Strauss, il migliore di tutto il cast, e il rapporto tra lui il fisico inevitabilmente mi ha ricordato quello fra Salieri e Mozart nell'Amadeus di Miloš Forman): non intendo alludere a una scopiazzatura, ma mi pare che in entrambi i casi gli autori abbiano centrato meglio il bersaglio. Certo, qui il personaggio e il fulcro è Oppenheimer, ma alla fine si ha come l'impressione di non avere del tutto capito il personaggio, come invece succede per la moglie Katherine (Emily Blunt), Jean Tatlock, l'amante comunista e suicida con cui era rimasto vivo un legame molto intenso, anche intellettualmente, e lo stesso ambizioso e vendicativo Lewis Strauss. Insomma, bel film, da vedere, ma non così mirabolante come c'era da attendersi. 

sabato 2 settembre 2023

La lunga corsa

"La lunga corsa" di Andrea Magnani. Con Adriano Tardiolo, Giovanni Calcagno, Nina Naboka, Maksim Kostyunin, Aylin Prandi, Barbora Bobulova, Stefano Cassetti e altri. Italia, Ucraina 2022 ★★★1/2

Sempre distribuito dalla benemerita Tucker Film di Udine, Andrea Magnani torna nelle sale col suo secondo lungometraggio, una piacevole garbata commedia surreale in linea con il precedente Easy e, come quello, una produzione italo-ucraina, in buona parte girato in quel disgraziato Paese. Questa volta non è un'avventura on the road, per quanto sui generis ma, al contrario, la vicenda umana, quasi agorafobica, di Giacinto, un disadattato dalla nascita che doveva chiamarsi Rosa, figlio di due reclusi che non sanno che farsene, salvo usarlo per tentare la fuga (riuscita, nel caso del padre e fallita in quello della madre) nato, cresciuto e vissuto all'interno di un carcere, accudito amorevolmente da Jack, il burbero ma affettuoso comandante delle guardie, fino all'età di 18 anni, quando viene trasferito in un una casa d'accoglienza gestita da preti. Vessato dai coetanei, completamente ignaro delle regole di vita "fuori", compie un reato (tira uno sganassone a un poliziotto) per poter tornare nell'unica realtà che conosce e che percepisce come "casa", fino a diventare a sua volta un secondino, ma a modo suo, perché coi detenuti ha un rapporto non esattamente professionale: per bontà d'animo e ingenuità, senza alcuna malafede. In particolare con Rocky, una massiccia ergastolana tatuata e inquietante, in gattabuia da un'eternità e ritenuta particolarmente pericolosa (non si fa, giustamente, alcun accenno pruriginoso alla "malvagità" del reato commesso). Inizialmente pressoché afasica, lo prende sotto la sua "ala protettrice" esattamente come Giacinto fa con lei, ed è l'unica che intuisce subito che il ragazzo ha paura della libertà, di cui non conosce le "modalità d'uso", del mondo esterno, e sarà lei a fornirgli, come regalo postumo, le "ali" di cui il giovane avrà bisogno, che poi sono i suoi piedi (e da qui il riferimento al titolo). A Giacinto dà il volto, e l'espressione straniata, Adriano Tardiolo, già visto all'opera in Lazzaro Felice (felice la sua interpretazione del personaggio al contrario del film, invero deludente), mentre l'ottimo Giovanni Calcagno è nel ruolo di Jack, Nina Naboka è Rocky e Barbora Bobulova la direttrice del carcere: significativamente, tutte e tre le donne del film, compresa la madre del giovane, hanno problemi a un occhio, di vetro la prima, coperto da una benda la seconda, ammaccato l'ultima. Ironia lieve e ad ampio spettro, gusto del paradosso, ma anche uno sguardo non banale verso un mondo "a parte" come quello carcerario, preso più sul serio di quel che potrebbe sembrare, come conferma la carrellata di immagini degli ingressi di raro squallore di una serie di autentiche case circondariali italiane in piena attività, che scorrono sui titoli di coda. Forse meno "frizzante" del film d'esordio, ma altrettanto godibile.

venerdì 1 settembre 2023

La bella estate

"La bella estate" di Laura Luchetti. Con Yile Yara Vianello, Deva Cassel, Nicolas Maupas, Alessandro Piavani, Adrien Dewitte, Anna Bellato, Andrea Bosca, Marilina Succo e altri. Italia 2023 ★★★★-

E' la prima  volta che ho l'occasione di vedere un lavoro di Laura Luchetti, autrice poco prolifica ma certamente di qualità, che in questa occasione affronta la trasposizione di questo celebre romanzo breve che Cesare Pavese scrisse nel 1940, e lo fa in maniera encomiabile, con grande garbo e fedeltà al testo, cogliendone l'atmosfera e smussando semmai alcune durezze, come la raffigurazione di alcuni dei caratteri maschili, la cui vacuità lo scrittore aveva descritto senza pietà. Siamo nel 1938, e al centro del racconto è Ginia (la bravissima sorprendente Yila Yara Vianello, un talento sicuro), una promettente giovane sarta (lavora in un prestigioso atelier) che dalla campagna si è trasferita a Torino assieme al fratello Severino (Nicolas Maupas, giovane volto già abbastanza noto e a sua  volta convincente) che cerca di studiare mentre lavora come operaio nell'azienda del gas. La ragazza, nella fase di passaggio dall'adolescenza alla realtà, è man mano attratta, attraverso l'amicizia con Amelia, una quasi coetanea che di mestiere fa la modella per alcuni pittori, dall'ambiente bohemien della città (quello preso di mira da Pavese). Se il filo conduttore è il rapporto di amicizia (e forse qualcosa di più, ma non c'è nulla di morboso nel modo in cui viene rappresentato) tra le due ragazze, Luchetti è bravissima a raccontare il processo di formazione e al contempo la sensazione di spaesamento di Ginia, per la quale la scoperta di un mondo a lei completamente estraneo va di pari passo con la progressiva presa di coscienza del proprio corpo, la sua percezione sia da parte propria, con l'insorgere del desiderio, sia da parte del prossimo, ossia i pittori con cui viene in contatto per mezzo di Amelia, tanto da indurla a chiedere loro di "copiarla" così come fanno con la sua amica. Sperimenta, insomma, come tutti i giovani, sia quel che non conosce ancora (il sesso), sia il "proibito" (l'attrazione verso Amelia), sbandando fino al punto di perdere il lavoro, a cui tanto teneva e in cui era particolarmente versata, salvo alla fine rimanare delusa sia dalle esperienze sia dalle persone con cui ha avuto a che fare durante quell'estate che precede di poco la Seconda Guerra Mondiale, ma capace di recuperare i punti fermi, che sono il fratello e alcuna vecchie certezze, anche se ferma resterà l'amicizia con Amelia, che anzi si rafforzerà quando quest'ultima scoprirà di essersi ammalata di sifilide dopo essere stata contagiata non da un uomo, ma da una donna. Fluido lo scorrere della vicenda, ottima la fotografia così come la colonna sonora, davvero pregevole la ricostruzione ambientale; unica nota di perplessità, l'interpretazione di Amelia da parte della figlia d'arte Deva Cassel, che dalla madre Monica Bellucci ha preso l'aspetto "bambolescente" ma non l'intronamento e la totale inespressività. Qualcosa ha pur preso anche da padre: quantomeno non è dislessica e completamente inetta come la genitrice, e nonostante tutto è discretamente nella parte. Però recitare è tutta un'altra cosa: vedi la Vianello, per l'appunto. Insomma, ancora tanta strada da fare, ma per il resto un ottimo film.