domenica 29 maggio 2022

The Mountain / Agrupación Señor Serrano


"The Mountain" / Agrupación Señor Serrano
di Àlex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal. Con Anna Pérez Moya, Àlex Serrano, Pau Palacios, David Muñiz. Spazio scenico e modellini in scala di Àlex Serrano e Lola Belles; design luci Cube.bz; musiche di Nico Roig, video-programmazione di David Muñiz; video-creazione Jordfi Soler Quintana; costumi Lolla Belles. Produzione GREC Festival de Barcelona / Teatre Lliure / Conde Duque Centro de Cultura Contemporánea / CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli – Venezia Giulia / Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale / Zona K / Monty Kultuurfaktorij / Grand Theatre / Feikes Huis con il sostegno di Departament de Cultura de la Generalitat / Graner – Mercat de les Flors

Fulminati e fulminanti come non mai, sono tornati in pista, dopo la pausa pandemica, i diabolici membri del collettivo catalano che hanno portato nuovamente in scena a Udine, al CSS che partecipa alla loro ultima produzione, prevista inizialmente in gennaio ma rinviata a questi giorni a causa del ritorno di fiamma dei virus e delle relative restrizioni. Mentre si entra in sala si vedono i tre performer, più un'attrice che sarà la voce narrante, vestiti da tennisti d'altri tempi e uno da scalatore degli anni Venti che, su uno sfondo verde acido, seraficamente si alternano a giocare a badminton (volano), con uno schermo usato come rete divisoria. Quando i tre schermi verranno posizionati in favore di pubblico e si spengono le luci, inizia la sarabanda: il corpo ricoperto di neve (finta), viene riproposta la scena del ritrovamento, nel 1999, del cadavere di George Mallory, che nel lontano 1924 aveva tentato di conquistare la cima dell'Everest (evento poi realizzatosi nel 1953 con la scalata di Edmund Hillary). Rimane il dubbio se fosse stato il primo uomo oppure no a raggiungere la vetta del Tetto del Mondo. Alla sua vicenda (e alla corrispondenza con la moglie Ruth, rimasta in Inghilterra) si intreccia quella del finto sbarco dei marziani inscenato il 30 ottobre 1938 da Orson Welles sceneggiando per la radio La guerra dei mondi di H.G. Welles, e la cronaca dell'immaginario sbarco dei marziani fu così verosimile da terrorizzare il pubblico: il tutto alternando spezzoni di filmati d'epoca e riprese dal vivo dei famosi modellini in miniatura da sempre utilizzati dalla compagnia e proiettate sugli schermi in tempo reale, a ricreare le ambientazioni dei tempi a cui ci si riferisce. A fare da raccordo, la dissertazione che l'attrice Anna Pérez Moya, che grazie a un software acquistato in rete dal collettivo coi soldi ricavati dalla pubblicità su Google di un sito che propalava fake news di loro creazione, assume sullo schermo le sembianze di un clone di Vladimir Putin, fa sulle crescente attività di disinformazione in rete operata non soltanto dal governo che rappresenta: di questi tempi basti pensare a quello ucraino, per non parlare di quello USA, che al contempo prosegue una ignominiosa e persecutoria caccia all'uomo nei confronti di una figura come Julian, colpevole di aver diffuso documenti autentici (e dunque veritieri come tali). Il tema di fondo è dunque la verità: sull'ingannevolezza (e pericolosità) del mezzo radiofonico aveva già messo in guardia oltre 80 anni fa un genio come Orson Welles, prevedendo che la situazione si sarebbe ulteriormente aggravata con l'avvento della televisione, figurarsi con quello di internet, i cui effetti devastanti sulle menti della popolazione li abbiamo sotto gli occhi quotidianamente (l'informazione stessa si basa essenzialmente su quel che le redazioni scovano in rete: oltre al ciarpame, notizie abilmente confezionate per manipolare la realtà), con la conclusione che verità (dura da scalare come la vetta delle montagne più alte e più ostiche) e menzogna sono pressoché indistinguibili, e due aspetti della medesima narrazione, che consiste a sua volta più nella forma che nel contenuto vero e proprio. Come sempre rito serratissimo, grande tecnica, comprensibilità (ottimo e chiarissimo l'inglese british della Moya, aiutano in ogni caso i brevi testi che scorrono  ben visibili sugli schermi), The Mountain ha ricevuto, più che meritatamente, il Premio Ubu come migliore spettacolo presentato in Italia nella stagione 2020/21. A presto, Señores!

giovedì 26 maggio 2022

L'angelo dei muri

"L'angelo dei muri" di Lorenzo Bianchini. Con Pierre Richard, Iva Krajnc, Gioia Heinz, Paolo Fagiolo, Zita Fusco, Arthur Defays, Franko Korošec, Alessandro Mizzi e altri. Italia 2021 ★★★★

Ben conosciuto in ambito regionale e in quello del cinema indipendente, del regista e sceneggiatore udinese Lorenzo Bianchini ricordo di aver visto, una quindicina d'anni fa, Lidrîs quadrarde di trê (Radice quadrata di tre), un curioso film horror con implicazioni sataniste girato all'interno dell'ISIS Malignani e interpretato da studenti dello stesso, mentre mi riprometto di recuperare Oltre il guado, del 2013; con quest'ultimo lungometraggio coprodotto da RAI Cinema, MyMoviesTucker Film, che ne curerà la distribuzione nelle sale nazionali a partire dal 9 giugno prossimo, mentre in quelle del Friuli Venezia-Giulia è uscito già la scorsa settimana in anteprima, Bianchini ha avuto a disposizione mezzi più consistenti e il risultato è più che soddisfacente. Il film è centrato sul personaggio di un anziano, Pietro, che vive da decenni in un appartamento all'ultimo piano di un edificio malridotto in Via dell'Istria, verso Valmaura, a Trieste, a cui viene notificato uno sfratto esecutivo, e che è magistralmente interpretato da Pierre Richard, il quale recita esprimendo il suo disagio esistenziale quasi esclusivamente con movenze furtive e sguardi allucinati, che per sottrarvisi costruisce un muro di mattoni, coperto da un pannello, che nasconde uno sgabuzzino dove si rifugia quando la casa viene invasa dal nuovo proprietario, che intende ristrutturarla, per poi affittarla a prezzo maggiorato, e da cui esce soltanto quando è sicuro che sia vuota. Per il resto osserva il via vai attraverso dei fori che pratica nel muro, fino a quando vede comparire (ma sono fantasmi?) una giovane donna slava, Zala, con sua figlia, Sanja, una bambina che ha una malattia che la fa diventare progressivamente cieca, a alla quale si appalesa solamente quando è da sola, rassicurandola e creando per lei dei giocattoli particolari: è lei a chiamarlo l'”angelo dei muri” che l'assiste quando la madre è fuori d casa. Paradossalmente, più che Pietro, protagonista è la casa, che parla da sé facendo immaginare attraverso piccoli, significativi dettagli quella che può essere stata la vita di chi vi ha vissuto, e lo sono gli elementi (il vento, immancabile a Trieste) la neve, la pioggia e i loro rumori nonché impatto. Se proprio si vuol dare una definizione al film, più che di un horror, si tratta di un noir psicologico e metafisico, in cui il piano reale si confonde con l'immaginazione e si alterna col ricordo, con un lungo preambolo ricco di simboli e attentissimo ai dettagli, ma non per questo stancamente estetizzante, trovando spiegazione in un finale a sorpresa che giustifica in pieno tutto il percorso fatto in precedenza, dove ogni piccolo particolare acquista un senso. Per ottenere un risultato così convincente ci vuole grande capacità, tecnica ma anche di scrittura, e Bianchini oltre alla regia ha curato il soggetto e la sceneggiatura assieme alla sorella Michela e a Fabrizio Bozzetti, confermandosi autore a tutto tondo, mentre l'ottima fotografia è a cura di Peter Zeitlinger, storico collaboratore di Werner Herzog, e notevole è anche la colonna sonora composta da Vanessa Donelly, che si integra alla perfezione con tutti gli altri curatissimi ingranaggi che compongono un film davvero ben fatto. 

lunedì 23 maggio 2022

Only The Animals - Storie di spiriti amanti

"Only The Animals - Storie di spiriti amanti" (Seules les bêtes) di Dominik Moll. Con Denis Ménochet, Laure Calamy, Damien Bonnard, Valeria Bruni Tedeschi, Nadia Tereszkiewitz, Bastien Bouillon. Francia, Germania 2019 ★★★+

Un film curioso e ben costruito, che ruota attorno alla scomparsa di una donna la cui auto viene ritrovata, vuota, dalla gendarmeria sul ciglio una strada nella zona di Lozère, in Occitania, Massiccio Centrale, dopo una tempesta di neve: a svelare il mistero (solo per lo spettatore ma non per al polizia) è un intreccio di coincidenze, alcune francamente oltre il limite della verosimiglianza, che si disvela attraverso cinque capitoli che raccontano il punto di contatto dei diversi personaggio coinvolti a vario titolo nel mistero, che è poi quello dell'autore dell'omicidio di Evelyne Ducat, un'annoiata signora borghese che aveva una seconda casa da quelle parti, dove soggiornava saltuariamente in cerca di solitudine, condizione che ha in comune con gli altri personaggi: una assistente sociale, Alice (la sempre brava Laure Calamy, già apprezzata nella serie Chiami il mio agente!) che si consola per un matrimonio insoddisfacente seducendo un suo assistito, Joseph, un allevatore misantropo; suo marito Michel, un altro allevatore, che invece si distrae cercando amori su internet; un giovane truffatore che da Abidjan, in Costa d'Avorio, lo prende all'amo, facendosi passare per una avvenente fanciulla ed estorcendogli soldi mentre lui pensa di aver trovato il grande amore; infine la stessa Evelyne, la quale qualche mese prima a Sète aveva sedotto una giovane e ingenua cameriera, che aveva avuto la sventura di innamorarsi di lei e l'aveva raggiunta a sorpresa nel suo eremo non rassegnandosi a un'avventura passeggera. Come accennato alcuni passaggi sono assolutamente improbabili, ma il merito del regista franco-tedesco, che ha adattato allo schermo il romanzo omonimo di Colin Neil, è quello di essere stato capace tratteggiare con grande efficacia la psicologia e i rispettivi lati oscuri, e piuttosto squallidi, di ciascun personaggio, fino a svelare il volto, le motivazioni dell'assassino e le modalità dell'assassinio, nonché il motivo per cui difficilmente potrà essere scoperto dagli inquirenti a meno che non confessi, con la ciliegina sulla torta di un finale esotico e a sorpresa che chiude il cerchio. Un originale divertissement psicologico con fattezze di noir, insomma, ben girato, fotografato e recitato, che si fa vedere più che volentieri.

giovedì 19 maggio 2022

Un figlio

"Un figlio" (Bik Eneik - Un fils) di Mehdi Barsaoui. Con Sami Bouajila, Najia ben Abdallah, Youssef Khemiri, Slahj Msadek, Mohamed Ali Ben Jemaa, Noomene Hamda e altri. Tunisia, Francia, Libano, Qatar 2019 ★★★★

Gran bel film, soprattutto considerando che si tratta del lungometraggio d'esordio del tunisino Mehdi Barsaoui, peraltro pluripremiato assieme al suo interprete, principale Sami Bouajila, che giganteggia nella parte di Farès agiato dirigente che a lungo ha vissuto in Francia, che con la moglie Meriem, a sua volta arrivata a un incarico prestigioso, e il figlio di 10 anni Aziz, di ritorno da una gita nel Sud del Paese si trova coinvolto in una sparatoria tra estremisti islamici ed esercito regolare, in cui il ragazzo viene ferito al fegato. Ricoverato nell'ospedale locale, la sua sopravvivenza dipende da un trapianto dell'organo in questione, ma la legge, per motivi religiosi, pone molteplici limiti e la lista d'attesa è lunga; in più, la madre è incompatibile e le analisi del sangue di Farès escludono che possa essere il padre biologico: imbarazzo totale da parte dei medici e dramma nel dramma per il disvelamento di un segreto dei più pesanti in una coppia che non solo si trova ad affrontare lo sgradevole "equivoco" in un momento così delicato, cosa difficile per quanto progressista ed evoluta possa essere, ma si trova pure davanti agli ostacoli opposti da una normativa ingarbugliata. Mentre la situazione diventa sempre più critica e occorre decidere con urgenza il da farsi e Meriem cerca disperatamente di contattare il padre naturale, di cui ha perso le tracce prima ancora che nascesse Aziz, perché si sottoponga al test del DNA (per obbligarlo sarebbe necessario che Farès la ripudiasse) e nella speranza che accetti di sottoporsi a un trapianto parziale del fegato, Farès riceve l'offerta di aggirare l'ostacolo da parte di un individuo ambiguo, proprietario di una clinica privata che si rivela un trafficante di fornitori organi, ossia bambini, di cui va a rifornirsi nella vicina Libia, dove infuria (siamo nel 2011) la guerra civile: coi tempi che stringono, gli avvenimenti si susseguono sempre più freneticamente e la situazione si fa vieppiù più drammatica. Non aggiungo altro per evitare di svelare il finale, quel che va sottolineato è la sicurezza del regista nel raccontare con sufficiente chiarezza una vicenda intricata e dalle molteplici implicazioni che si svolge su più piani seppure compressa in un arco di tempo limitato: ci sono i risvolti personali, di coppia e famigliari; la paternità; le contraddizioni della società tunisina, tra povertà e ricchezza, tradizionalismo religioso e modernità; la sottovalutazione dell'integralismo islamico; la guerra e il traffico di esseri umani, tema raramente affrontato, salvo rare eccezioni, dal cinema e dal giornalismo, meno che mai dalla politica e perfino dagli organismi internazionali che vi sarebbero preposti. Bravissimi gli interpreti, ottima la fotografia, anche grazie ai panorami mozzafiato dei dintorni di Tatouine (scelti, non a caso, da George Lucas per girare Guerre Stellari), un plauso a questo talento che di certo ha ben presente la lezione di un maestro come Asghar Farhadi.

lunedì 16 maggio 2022

L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat

"L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat" (Operation Mincemeat) di John Madden. Con Colin Firth, Matthew McFadyen, Kelly MacDonald, Penelope Wilton, Johnny Flynn, Jason Isaacs, Paul Ritter, Mark Gattis, Hattie Morahan, Tom Wilkinson, Simon Russell Beale, Lorne MacFadyen, Alexis Jennings e altri. GB, USA 2022 ★★★1/2 

A dimostrazione di come la realtà superi spesso di gran lunga l'immaginazione, ecco un film su quello che è stato probabilmente il più grande depistaggio nella storia dello spionaggio, basata sul saggio del giornalista e storico Ben Macintyre del 2010 che ha avuto accesso ai documenti sull'Operazione Mincemeat (carne macinata) dopo che solo nel 1997 il governo britannico aveva tolto su di essi il segreto. Il regista John Madden ne ricostruisce la vicenda in modo accurato e quasi accademico, limitando al minimo indispensabile il lato romanzato e avvalendosi di un cast di prim'ordine capace di rendere al meglio le diverse psicologie e caratteristiche dei principali personaggi. Siamo a Londra nel 1943, momento cruciale per gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale quando, dopo l'alt imposto ai nazisti a Stalingrado dall'Armata Rossa, Churchill ha acconsentito allo sbarco in Sicilia delle forze alleate stanziate in Africa del Nord nel mese di luglio ma, preoccupato del fatto che sia palesemente la mossa più facile da prevedere da parte dei nemici, ordina al Comitato 20 del MI5 di organizzare un'operazione di controspionaggio per far credere a Hitler che lo sbarco avverrà, invece, in Grecia. A elaborare il piano, basato in parte su una delle esche ideate da Ian Fleming (sì, proprio il padre di James Bond, che all'epoca lavorava al MI5 e che nel film è la voce narrante) per ingannare i tedeschi, sono essenzialmente Ewen Montagu (Colin Firth), un ex magistrato mandato da Churchill al Comitato 20, e Charles Cholmondeley (Matthew Macfadyen) un ufficiale succube della madre che vive nell'ombra del fratello morto da eroe, che più diversi non potrebbero essere ma si completano a vicenda, pur diventando in un certo senso rivali, innamoratisi entrambi di Jean Leslie (Kelly Macdonald9), una abile nonché ambiziosa segretaria del MI5 che entra a fare parte del team dopo essersi resa disponibile a fornire una sua foto da far ritrovare sul cadavere di un presunto Maggiore William Martin (in realtà un poveraccio con tutt'altro nome avvelenatosi con veleno per topi), da fare opportunamente rinvenire a sua volta sulle  coste spagnole vicino a Cadice (il Paese, neutrale, pullula di spie di entrambi gli schieramenti) con addosso documenti segreti che danno false indicazioni sullo sbarco e la cui identità è stata costruita fin nei minimi dettagli dal gruppo di cui sopra, a cominciare dalla storia d'amore con Pam, un'alter ego di Jean. Nei sei mesi in cui si svolgono i preparativi gli intoppi non sono pochi, sia per le rivalità all'interno del servizio segreto, con alcuni superiori che tendono a sabotare l'iniziativa, sia per altri intoppi di vario genere, dalla difficoltà di conservare il cadavere in uno stato di accettabile decomposizione con i mezzi a disposizione a quel e la comparsa di spie tedesche facenti parti del gruppo di ufficiali avversi a Hitler, ma di cui non si sapeva se facessero o meno il doppio se non triplo gioco, e il successo dell'operazione rimase in bilico fino all'ultimo momento benché ci fossero prove che i tedeschi avessero alla fine letto i documenti falsi, ma non che avessero abboccato: la storia dimostrò che Mincemeat funzionò, perché gli Alleati trovarono le coste siciliane pressoché sguarnite, avendo trasferito i tedeschi le proprie truppe (quelle italiane non vengono nemmeno menzionate nel film, e per il reesto a neutralizzarle, come si sa, ci pensò la mafia...) nei Balcani. Va chiarito che il film è strettamente di spionaggio e non di guerra, a meno di non intendere quella non convenzionale, basata su informazione e controinformazione, altrettanto se non più importante e decisiva di quella condotta con le armi ed è molto british, e come tale andrebbe possibilmente apprezzato in lingua originale: per quanto per certi aspetti didascalico, ben fatto, accurato e molto gradevole. 

venerdì 13 maggio 2022

Noi due

"Noi due" di Nir Bergman. Con Shai Avivi, Noam Imber, Smadi Wolfman, Efrat Ben-Zur, Amir Feldman, Sharon Zelikovski, Natalia Faust, Uri Klauzner e altri. Israele, Italia 2020 ★★★+

Non ho figli e non ne ho mai desiderati, e la paternità è una condizione per me completamente estranea, anche come pulsione, per cui non mi sento in grado di dire molto sul tema di questo film, al di là del fatto che a mio parere tratta in modo partecipe e sincero il rapporto speciale di un padre, Aharon, con un figlio particolare, Uri, affetto da autismo: sui 18 anni, più alto di lui, goffo, pieno di paure apparentemente immotivate, vive con Aharon, un grafico, illustratore di fama e talento che ha rinunciato a contratti principeschi pur di occuparsi completamente del figlio con una dedizione totale, mentre la madre Tamara, che si è separata dal marito e vive altrove, insiste perché il ragazzo venga trasferito in un istituto specializzato, dotato di personale che possa prendersene cura professionalmente e con competenza consentire che il suo orizzonte si ampli venendo a contatto con dei coetanei che hanno i suoi stessi problemi. Imputa, non del tutto a torto, un eccesso di protezione ad Aharon che ha l'effetto di rendere senza uscita la dipendenza di Uri dal genitore, in un circolo vizioso senza fine, ma Aharon persevera e si sottrae all'impegno di portare il ragazzo anche solo a visitare il centro in questione, come pure aveva promesso, innescando lui stesso in Uri quelle paure e quel rifiuto di abbandonare le certezze costruite nel tempo attraverso le loro rassicuranti abitudini, e finisce per portarlo in giro vagabondando per il Paese come in una sorta di road movie in cui non mancano alcuni episodi divertenti che rendono piacevole e più leggera la pellicola, fino a Eilat, in riva al Mar Rosso, per qualche giorno di vacanza. Medita perfino di portarlo di nascosto dall'ex moglie negli Stati Uniti, in Pennsylvania, presso un suo amico, ma Tamara riesce per tempo a bloccargli la carta di credito ed evitare che riesca nell'insano intento. Rientrano verso Tel Aviv senza soldi e finiscono dal fratello di Aharon, che tenta di farlo ragionare convincendolo alla fine di acconsentire che Uri faccia almeno un periodo di prova nell'istituto. Perfino Tamara è sul punto di dare partita vinta al marito, quando sarà proprio il padre a persuadersi che Uri aveva bisogno di staccarsi da lui e dal loro rapporto troppo esclusivo per crescere e rendersi più autonomo, perché probabilmente era lui ad avere più bisogno del figlio che viceversa. Insomma un film gradevole e che fa pensare, che esplora con tatto un tema delicato trattato con competenza dal regista, che non a caso è fra gli autori di Be'tipul, la serie originale da cui sono derivate le varie versioni internazionali di In Treatment, che in Italia aveva come protagonista Sergio Castellitto. Bravi gli interpreti, e in particolare Shai Avivi e Noam Imber nei ruoli rispettivamente di padre e figlio, nessun volo pindarico ma un risultato più che discreto. 

martedì 10 maggio 2022

Downton Abbey II - Una nuova era

"Downton Abbey II - Una nuova era" (Dawnton Abbey A New Era) di Simon Curtis. Con Maggie Smith, Hugh Bonneville, Laura Carmichael, Jim Carson, Brendan Coyle, Julian Fellowes, Hugh Dancy, Laura Haddock, Nathalie Baye, Guy Dexter, Michelle Docke, Imelda Staunton, Tuppence Middleton, Elizabeth McGovern, Allen Leech, Joanne Froggat, Peneolope Wilton, Samantha Bond, Sophie McShera, Phyllis Logan, Raquel Cassidy e altri. Gran Bretagna 2022 ★★★-

Per il seguito del fortunato Downton Abbey I, a sua volta sequel della interminabile serie televisiva (6 stagioni per 52 puntate) vale quello già scritto per il precedente: un film godibile, nella più classica tradizione inglese, un modo tutto isolano di autorappresentarsi e di mitizzare una sorta di età dell'oro, durante la quale sono state accumulate ricchezze stratosferiche che non si possono spiegare se non attraverso ruberie e soprusi di ogni genere, delle cui origini ovviamente non si parla mai, compiuti con la autolesionistica complicità delle vittime, trasformate da contadini proprietari di piccoli poderi in proletariato o servitù durante la Rivoluzione Industriale del 17° e 18° Secolo, seguita dalla dolce decadenza di una nobiltà viziata e inetta che vive sugli allori passati e nell'ipocrisia dei rapporti personali tipicamente britannici. Cose già viste e riviste, ma che si adattano a essere raccontate con il tipico humour d'oltremanica, e con la lievità che ben si addice alla doppiezza e all'abilità di mascherarsi di una nazione che, non a caso, ha un talento insuperabile per il teatro: in questo senso, le due ore di film sono perfette per trascorrere un paio d'ore di rassicurante relax in una sala cinematografica. Vero anche che a lungo andare il troppo stroppia e, per quanta simpatia possano suscitare i più che stereotipati personaggi e il modo in cui vengono rappresentati da una pattuglia di caratteristi ineccepibili e pescati con grande acume nel mare magnum della scena teatrale britannica, l'atto secondo cinematografico risulta meno frizzante del primo. La trama è presto detta: la Grande Vecchia, Lady Violet, riceve per testamento il lascito di una sontuosa villa  nel Sud della Francia da parte di un marchese francese, che l'aveva ospitata in gioventù, un suo spasimante dell'epoca che non l'aveva dimenticata mentre lei non ne aveva mai parlato con nessuno della famiglia, celando il dolce ricordo di un rapporto che non si era concretizzato. Nonostante la sorpresa e l'imbarazzo dei suoi, decide di accettare l'eredità e di girarla alla nipote Sybbie. La moglie del marchese ovviamente non apprezza per niente e minaccia di impugnare il testamento, mentre il marchese figlio, che è esecutore testamentario, convinto di essere il fratellastro di Robert, figlio di Violet, è deciso a rispettare il volere del padre. Così il grosso della famiglia Crawley, con servitù al seguito, su invito di quest'ultimo si trasferisce in Costa Azzurra in un momento particolarmente opportuno, perché la magione principale, Downton Abbey appunto, dove rimane l'altra parte della famiglia e della servitù, viene utilizzata come set per girare un film: denaro contante che serve per procedere alla costosa manutenzione del manufatto. Un film nel film, questo, proprio nel momento di passaggio tra il film muto, che non richiedeva la minima capacità di dizione, e quello parlato, sicuramente la parte più originale del racconto, per quanto anche questa a credibilità zero. Ma lo show va avanti e funziona, con relativo e inevitabile Happy End nonostante si chiuda sul funerale di Lady Violet, che però, manco a dirlo, "muore bene" come "bene" era nata e vissuta e "buono" era alla fine anche, manco a dirlo, il suo innato disprezzo per il prossimo: il tutto molto inglese, obviously. E lasciando la porta spalancata per un ulteriore seguito di questa saga famigliare nel decennio successivo. Insomma, tutta una conferma, con in più un po' di respiro "internazionale", si fa per dire, con la presenza dell'eterna competizione con i dirimpettai sulla Manica, con la differenza che mentre gli spocchiosi francesi sono maestri insuperabili nel vendere come sensazionali e unici prodotti mediocri, trasformando la merda in oro, gli inglesi lo sono nel vendere sé stessi e i loro ridicoli tic (lingua compresa) facendolo passare per style (basta vedere come si nutrono, per non parlare dei loro discendenti oltreoceano) e noi a cascarci; bisogna ammettere che lo sanno fare, a cominciare dal come fare spettacolo senza timore di rendersi ridicoli. 

sabato 7 maggio 2022

Settembre

"Settembre" di Giulia Louise Steigerwalt. Con Barbara Ronchi, Fabrizio Bentivoglio, Thony, Andrea Sartoretti, Tesa Litvan, Margherita Rabeggiani, Luca Nozzoli, Enrico Borrello e altri. Italia 2022 ★★★★

Felice e promettente esordio alla regìa dell'italoamericana Giulia Steigerwalt, già attrice, nota soprattutto per le sue ottime sceneggiature (ricordo Moglie e marito, Il campione, il recente Marilyn ha gli occhi neri) che hanno portato nuova linfa nella stanca commedia cinematografica nostrana, la quale conferma il suo talento anche dietro la macchina da presa, dove ha diretto con efficacia interpreti scelti con cura e che si sono perfettamente adattati ai personaggi creati dall'autrice: fra tutti una bravissima Barbara Ronchi, un'attrice fin troppo poco valorizzata sul grande schermo, ma anche i due giovanissimi Margherita Rabeggiani e Luca Nozzoli, nei panni di due adolescenti alle prese con le prima esperienze sessuali. Partiamo da qui per accennare a tre storie che si intrecciano: siamo in settembre, in una Roma lontana dai quartieri centrali e più utilizzati come set (siamo nel Sud della città, verso Fiumicino se non sbaglio), al rientro dalle vacanze (sostengo da sempre che il vero capodanno in Italia, con tutti i buoni propositi di cambiamento per il futuro, è a settembre e non a gennaio) e Sergio fa un corso accelerato a Maria, sua compagna di classe, come intermediario di un amico timido che le piace, per la sua "prima volta"; Sergio a sua volta è figlio di Francesca (Ronchi), una quarantenne trascurata dal marito Alberto (Sartoretti), cui una cattiva notizia sul fronte medico dà la scossa per rivedere la sua esistenza e rivendicare un minimo di sincerità e felicità: l'unica persona con cui se la sente di parlare è la sua amica Debora (Thony, altra bravissima musicista, cantante e, all'occasione, attrice), a sua volta in crisi col marito fedifrago (amico e complice di Alberto, doppia coppia, insomma). L'allarme sul fronte sanitario per fortuna rientra, perché Guglielmo (Fabrizio Bentivoglio, che si vede sempre volentieri per la sua disincantata ironia), il ginecologo di Francesca, prescrive esami più accurati che smentiscono una prima frettolosa diagnosi fatta da un radiologo (e qui ce n'è, giustamente, per quei medici superficiali e totalmente incapaci di comunicare coi pazienti che si nascondono dietro al camice bianco); a sua volta Guglielmo, che frequenta Ana (una giovane prostituta straniera che è l'unica persona con cui parla e si sfoga, che pur nella sua situazione non vuole rinunciare ai suoi sogni e si innamora di un giovane ragazzo, un commesso che ignora il suo lavoro e la corteggia con garbo e gentilezza) dopo il divorzio dalla moglie si è inaridito, incupito, e soltanto una volta rimasto davvero da solo comincia ad accorgersi di essersi sposato soltanto perché qualcuno di occupasse di lui e delle sue esigenze, senza mai pensare di esserci veramente per l'altra parte, ossia lo stesso quadro, a parti invertite, che hanno le vite di Francesca e di Debora, che però proprio grazie allo scossone di cui sopra trovano modo e occasione per immaginarsi un futuro diverso, e così quadreranno la cose anche per gli altri personaggi: la coppia di adolescenti, Ana e il suo ragazzo cui confessa il suo lavoro, e Guglielmo, che dà un senso alla sua esistenza permettendole di porre le basi per un futuro che non sia la strada. Un finale ottimista ma non banale e tutt'altro che buonista: vero che gli uomini (ma non tutti) fanno una pessima figura, non in quanto maschi ma in quanto umanamente degli stronzi; e senza retorica e giudizi precostituiti; la forza del film sta nel raccontare la realtà dei rapporti umani, in particolare quello tra coniugi, tra genitori e figli e tra amici e la necessità di venirsi incontro per averne uno autentico. Un film sincero, con la giusta dose di bonarietà, leggero ma pure amarognolo, fatto di quotidianità, molto credibile. Ha una mano felice, Steigerwalt, e anche le sue scelte musicali sono ottime (da Bob Dylan a Elvis Costello oltre alla stessa Thony) nel sottolineare adeguatamente gli stati d'animo che vengono tratteggiati: fa cose gradevoli e senza fronzoli, che fanno stare bene, e uno esce dalla sala alleggerito e non ammorbato. Di questi tempi, non è poco.

mercoledì 4 maggio 2022

Quando Hitler rubò il coniglio rosa

"Quando Hitler rubò il coniglio rosa" di Caroline Link. Con Riva Krymalowski, Marinus Hohmann, Carla Juri, Oliver Masucci, Ursula Werner, Justus von Dohnányi, Luisa-Céline Gaffron, Anne Schäfer, Benjamin Sadler e altri. Germania, Svizzera 2019 ★★1/2

Ero curioso di vedere come l'omonimo romanzo in buona parte autobiografico di Judith Kerr, uscito 50 anni fa e tradotto in 20 lingue, un successo di lunga durata in cui raccontava sua infanzia da esule tedesca d'origine ebraica e non ne sono rimasto pienamente soddisfatto. La storia è raccontata dal punto di vista di Anna, una bambina che alla vigilia delle elezioni del marzo del 1933 che regalarono il potere ai nazisti aveva 9 anni, figlia di una pianista e di un famoso critico teatrale socialista che, avvertito per tempo da un conoscente che lavora in polizia che il suo nome figura sulla lista nera, fugge da Berlino a Praga e poi in Svizzera, dove lo raggiungono in seguito Anna, la moglie e il figlio Max. Per un breve periodo la famiglia Kemper vive in un albergo di lusso ma dovrà presto spostarsi in un rustico villaggio in montagna anche perché nemmeno gli svizzeri neutrali vogliono inimicarsi i tedeschi pubblicando sui loro giornali gli articoli di un avversario del regime. Non ci sono la tragedie delle deportazioni e degli stermini di massa, per quanto se ne avvertano vagamente le avvisaglie: si tratta pur sempre di una famiglia borghese, avveduta e comunque fortunata nella sventura di un esodo forzato, che vede crollare il proprio mondo e le proprie abitudini affrontando il destino dell'esule, sostanzialmente uno sradicato, che tale rimarrà per tutta l'esistenza. E' questa graduale presa d'atto, questo scivolamento, che racconta il film: una madre che deve rinunciare alla propria carriera e alle proprie ambizioni per accudire i figli e le successive case che la famiglia Kemper andrà ad abitare, prima una locanda svizzera, poi una mansarda nel centro di Parigi, dove l'orgoglioso padre Kemper è costretto ad arrabattarsi con lavoretti vari, accumulando ritardi sulla pigione e subendo i rimbrotti della avida padrona di casa e concièrge, ma si rifiuta di accettare favori da parte di un autore che aveva a suo tempo duramente criticato, anche se pure lui ebreo. Tutte cose che la piccola Anna, la deliziosa e bravissima Riva Krimalowsky, lei sì meritevole di menzione, non capisce del tutto, così come rimpiangerà sempre il coniglietto rosa che ha dovuto lasciare nella casa di Berlino, obbligata a scegliere un solo giocattolo da portare con sé (ed ecco spiegato il titolo): i bambini, pur sballottati da una scuola (e da una lingua) all'altra si adeguano, per quanto a malincuore, e questo traspare dal film, che per certi aspetti pare una pellicola per l'infanzia, con un certo effetto "Heidi" sia per i bucolici sfondi svizzeri, sia per quelli parigini, palesemente posticci, e non si capisce se sia una scelta voluta. Alla fine la famiglia Kemper salperà alla volta del Regno Unito, e lì la lasciamo, di fronte alle bianche scogliere di Dover. Non c'è, come detto, la tragedia dell'olocausto, perché non è questo il tema; semmai un latente disagio, una tensione, e un crescente senso di precarietà, eppure un eccesso di didascalismo e di schematicità non rende del tutto risolto il racconto, e si ha la sensazione di qualcosa di artefatto, nonostante la spontaneità della protagonista principale, che rimane la cosa migliore del film. Non da buttare, tutt'altro, ma un po' inceppato e meccanico, con un andamento da sceneggiato televisivo, svizzero-tedesco, per l'appunto. Il tema dello sradicamento e della perdita in ogni caso è estremamente attuale, e a quasi un secolo di distanza anche in Europa intere popolazioni si ritrovano in situazioni simili. 


domenica 1 maggio 2022

Finale a sorpresa - Official Competition

"Finale a sorpresa - Official Competition (Competencia oficial) ) di Mariano Cohn, Gastón Duprat. Con Penélope Cruz, Antonio Banderas, Oscar Martínez, Irene Escolar, José Luís Gomez, Manolo Solo, Pilar Castro, Nagore Aranburu e altri. Spagna 2021 ★★★★1/2

Altro felice ritorno di autori latino-americani in un panorama infestato, al solito, da insulsi film USA e, per quanto riguarda l'Europa, francesi. Questa volta torna in pista la coppia di registi argentini composta da Mariano Cohn e Gastón Duprat con Competencia oficial (che significa concorso, competizione, mentre il titolo italiano è praticamente uno spoiler, a conferma di come l'idiozia dei distributori nostrani non abbia limiti), di produzione spagnola e ambientato nella vicina penisola, dove si immagina che un imprenditore megalomane, per festeggiare gli 80 anni e legare il suo nome all'eternità, decida di produrre un film che ottenga i più prestigiosi riconoscimenti internazionali e passi alla storia: per questo, acquista a peso d'oro i diritti di un romanzo Premio Nobel per la letteratura, Rivalidad, che parla del rapporto conflittuale fra due fratelli che sono un l'opposto dell'altro, per affidarne sceneggiatura e direzione a una regista cult, l'estroversa, pluripremiata e osannata dalla critica internazionale e cinéphile Lola Cuevas (Penélope Cruz, in una delle sue interpretazioni più riuscite), che accetta a condizione che vengano ingaggiati nei rispettivi ruoli due attori che non potrebbero che essere più diversi: il divo hollywoodiano, frivolo, sciupafemmine e cialtrone Félix Rrivero (Antonio Banderas), e l'impegnato, pedante, colto e di formazione teatrale Iván Torres (il porteño Oscar Martínez, già protagonista e vincitore della Coppa Volpi a Venezia come migliore attore per l'ottimo Il cittadino illustre, sempre opera della coppia Cohn-Duprat). I due, con la prospettiva di partecipare a un progetto così ambizioso, firmano il contratto e, pur non sopportandosi, acconsentono a sottoporsi alle fantasiose ed esilaranti prove a cui li sottopone Lola durante la pedissequa lettura del copione: (scritto da lei dopo una assai libera interpretazione del testo) in sostanza si tratta dell'esilarante ma, tutto sommato credibile, feroce parodia delle varie fasi della preparazione di un film che mette alla berlina egoismi, insicurezze, protagonismi, velleità, bisogno di conferma, meschinerie, autoreferenzialità di quel mondo ma che contiene altresì gli elementi per una riflessione sul significato del mestiere dell'attore, del suo ruolo e del significato maschera che porta per vocazione o per mestiere: il trio Banderas-Cruz-Martínez giganteggia mettendo alla berlina la gigioneria non solo dei loro ruoli ma sé stessi in quanto personaggi e "star", svelando al contempo trucchi del mestiere e "dietro le quinte" di una godibiltà assoluta. Di impianto sostanzialmente teatrale, come efficacia Competencia oficial (preferisco il titolo originale) mi ricorda Birdman, a mio parere un capolavoro assoluto, che invece cinematograficamente illustrava il mondo teatrale: qui siamo appena a un gradino sotto. In ogni caso, da tempo non ho riso tanto. Se capite il castigliano, consiglio una volta di più la versione originale: con l'ausilio sottotitolazione non avrete grossi problemi. Divertimento assicurato, fidatevi.