martedì 14 febbraio 2023

Gli spiriti dell'isola

"Gli spiriti dell'isola" (The Banshees of Inisherin) di Martin McDonagh. Con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon, Barry Keoghan, Pat Shortt, Gary Lydon, Sheila Flitton, Brid Ní Neachtain e altri. Irlanda, USA, GB 2022 ★★★★1/2

Drammaturgo, sceneggiatore ed essenzialmente uomo di teatro a tutto campo, Martin McDonagh si muove agevolmente anche nel mondo del cinema, dove centrò un Oscar all'esordio col cortometraggio Six Shooter, passando ai lungometraggi nel 2008 con In Bruges, che vedeva protagonista la coppia Colin Farrell-Brendan Gleeson che brilla ne Gli spiriti dell'isola; passando per 7 psicopatici e il magnifico Tre manifesti a Ebbing, Missouri: si conferma con quest'ultimo lavoro a livelli di eccellenza. La vena rimane tragicomica, congeniale alle caratteristiche di Colin Farrell, che qui incarna Padráic, un allevatore che un bel giorno recandosi come d'abitudine al pub per una pinta si vede rifiutato dall'amico di sempre Colm (Brendan Gleeson), violinista, più anziano di lui, senza apparente motivo. Siamo a Inisherin nel 1923, un'isola selvaggia nell'Irlanda Occidentale, mentre dalla costa giunge l'eco della guerra civile tra le due fazioni che avevano appena finito di combattere insieme la guerra d'Indipendenza dal Regno Unito (e la rottura tra i due amici inevitabilmente richiama quella tra Michael Collins ed Eamon De Valera): la fin troppo monotona vita rurale del luogo viene turbata dalla inspiegabile rottura di questo sodalizio che durava da sempre e vedeva i due chiacchierare del più e del meno davanti a una pinta ogni pomeriggio. Padráic non si dà pace, torna alla carica, tempesta Colm di domande chiedendogli la ragione del suo comportamento, coinvolge la sorella Siobhan, il parroco e il ragazzo Dominic, lo "scemo del villaggio", ma Colm si limita a dire che gli è venuto a noia, che non sopporta più le sue banalità e i soliti discorsi, che sente il tempo svanire e vuole concentrarsi a comporre una musica che lasci il segno e lo faccia ricordare a chi verrà dopo. Anima semplice il primo, in pace col mondo, accudito dalla sorella (una ragazza appassionata di letteratura e che ambisce costruirsi una vita al di fuori di quel microcosmo claustrofobico e sarà l'unico personaggio del film a sfuggire alla follia che seguirà) e che ama accudire i suoi animali, a cominciare dall'amata asinella Jenny; più tormentato, pessimista e con velleità artistiche Colm, ma entrambi oltremodo cocciuti e determinati: Colm mette anche sull'avviso Pádraich che, se insisterà, si mozzerà una a una le dita della mano sinistra, indispensabili per suonare il violino, a ogni tentativo di riallacciare i rapporti e così farà, in totale contraddizione col suo dichiarato intento di dedicarsi alla musica. All'inevitabile degenerare della situazione assisterà la scarsa popolazione dell'isola, che si conosce come le proprie tasche, senza poter fare niente: così come si assiste impotenti a una guerra, e non è certo l'unica metafora del film, che ne contiene parecchie altre, più o meno evidenti al solo volerle vedere, e in questo sta la sua forza e il suo fascino, cui contribuiscono le splendide interpretazioni degli attori che danno vita a personaggi che raccontano ognuno una storia che vale la pena di conoscere, pur nella sua semplicità, e che rispecchiano le sfaccettature dell'animo umano. Un film dall'essenza teatrale e molto irlandese (come lo era non a caso Beckett), per le sue caratteristiche e che è anche metafora della storia tormentata di quel Paese, ma che ha un valore assoluto nella sua profonda umanità: non bastassero una scrittura agile, essenziale, un cast perfetto, la suggestione della musica, l'atmosfera magica che aleggia grazie alla presenza delle banshees, i misteriosi spiriti femminili della tradizione irlandese qui rappresentati dall'inquietante signora McCormick che tutti cercano di evitare, una fotografia mozzafiato rende Gli spiriti dell'isola un film destinato a rimanere impresso a lungo.

domenica 12 febbraio 2023

Tár

"Tár" di Todd Field. Con Cate Blanchett, Nina Hoss, Noémie Merlant, Julian Glover, Sophie Kauer, Mark Strong, Allan Corduner, Sylva Flote e altri. USA, Germania 2022 ★★★★

Attore, sceneggiatore, compositore, infine regista, Todd Field è cinematografaro a tutto tondo e Tár soltanto il terzo film che dirige, ma con piglio da veterano. Qui racconta l'apoteosi e la caduta di Lydia Tár, direttrice d'orchestra, anzi: Maestro, come pretende di essere chiamata, e poliedrica compositrice di fama mondiale che, al culmine della sua carriera, prima donna a capo dei Berliner Phliharmoniker (e non solo direttore ospite), si accinge a incidere dal vivo la 5ª sinfonia di Mahler, con cui si avvia persino a superare Leonard Bernstein, di cui era stata allieva. Inoltre, ha anche istituito un programma di borse di studio per aspiranti direttrici gestito da un suo collega, Eliot Kaplan. Coltissima, perfezionista, maniacale, egocentrica e manipolatrice, è una donna dalle mille sfaccettature, il privato e il pubblico si mischiano e sovrappongono nella sua esistenza, così come il mondo molto particolare ed elitario della musica classica e colta in generale (le classificazioni non fanno per lei: la musica ad alto livello è il suo universo tout-court) e la sua carriera abilmente gestita a livello manageriale e di pubbliche relazioni da un'agenzia specializzata a cui si affida con quello dei nuovi mezzi di comunicazione, da youtube ai social media, che interferiscono fino a creare un corto circuito che avrà conseguenze pesanti sia sulla sua vita sentimentale (è sposata con Sharon, la primo violino della Filarmonica berlinese, con cui cresce una bambina in età scolare) sia su quella professionale, con i continui avanti-e-indietro fra Berlino e New York. A darle corpo, voce, anima, una straordinaria Cate Blanchett, in una delle sue interpretazioni migliori, e che da sola è motivo per andare a vedere un film che, pur durando due ore e 40', non diventa mai pesante per quanto possano essere apparentemente lente le esaustive interviste televisive che Lydia Tár concede (la scena con cui si apre il film), le lunghe sessioni di prove, le riunioni con lo staff, in particolare quelle con la sua assistente personale, Francesca Lentini (Noémie Merlant), violoncellista e aspirante sua vice alla direzione al posto di Sebastian, che la Tár intende sostituire, la quale però adocchia Olga, una violoncellista russa di gran talento concedendole un'audizione extra... Francesca, offesa, si dimette proprio mentre cominciano a girare insistenti voci sulle responsabilità di Tár nel suicidio di una ex allieva e borsista, Krista Taylor, probabilmente messe in giro proprio dal suo entourage invidioso e geloso; le toccherà difendersi dopo che verrà messo in circolazione un video in cui, come avviene ormai di norma sui social e nel merdaio pseudo investigativo televisivo, vengono estrapolate fuori contesto alcune dichiarazioni fatte nel corso di una lezione in cui sembra aver "bullizzato" un incauto e stupido allievo, quando semplicemente gli ha insegnato l'abc dello stare al mondo, ossia non giudicare con il filtro delle politiche di genere e l'ammorbante "politicamente corretto" i grandi artisti del passato e l'arte tout court. E proprio in nome dell'ossessivo MeToo che si abbatte su di lei pur essendo donna, verrà defenestrata dalla direzione dei Phiharmoniker ma ci sarà un colpo di coda a sorpresa e rientrerà in scena in tutt'altra situazione e latitudine... Sono molte le domande che pone questo film, a cominciare dalla figura dell'artista: sia per come si percepisce lui stesso sia per quanto gli è concesso come tale; ma anche sul rapporto pubblico/privato, su quello con il prossimo, sul sistema stesso dello Star System, in base al principio che comunque  Business is Business, ché tale rimane anche ai livelli più eccelsi, come insegna del resto il mondo accademico dove nepotismo e favoritismi sono di casa come e più che a quelli più prosaici. Un film potente e sorprendente, dove la colonna sonora non la fa da padrona come si potrebbe pensare ma comunque è notevole.

giovedì 9 febbraio 2023

Decision To Leave

"Decision To Leave" (Haeojil Gyeolsim) di Park Chan-wook. Con Hae-il Park, Wei Tang, Go Kyung-pyo, Yong-woo Park, Lee Jung-hyun e altri. Corea del Sud 2022 ★★★★★

Un film memorabile, suggestifvo girato con eleganza e ironia, cinema nella sua essenza, dove non esiste il confine tra vero e falso perché si confondono, essendo entrambi aspetti della vita di ogni essere umano nella realtà, come le pulsioni irrazionali, viscerali, incontrollate che determinano scelte e azioni che hanno il sopravvento sulla razionalità o la convenienza o, nel caso dell'insonne e metodico detective Hae Sun, il quieto vivere di coppia con la moglie, una scienziata che lavora in una centrale nucleare. Il nostro eroe si trova a indagare sulla misteriosa morte di un funzionario della dogana, precipitato durante un'escursione in montagna, du cui pure era pratico frequentandola abitualmente, apparentemente un suicidio. Ma c'è qualcosa che non torna, a cominciare dal possibile coinvolgimento dell'uomo nei traffici collegati all'immigrazione clandestina e dalla notevole differenza d'età con la moglie, la giovane e affascinante Seo-Rae, guarda caso d'origine cinese, la quale finisce nella lista dei sospetti, anche perché Hae Sun ne rimane irresistibilmente attratto, per cui il fatto di dovere approfondire le indagini su di lei, sul suo passato e seguirne ogni mossa è, al contempo, una scusa per starle vicino non appena possibile ed entrare nella sua vita. Il gioco di seduzione è estremamente sottile, nulla di esibito e di sexy: questione di sguardi, gesti apparentemente innocenti, il fatto stesso che la donna non parli correntemente il coreano aumenta la dose di ambiguità, eppure il poliziotto non solo cade nella sua rete seduttiva me ne è cosciente e anzi fa di tutto per precipitarci con entrambi i piedi, tanto che quando gli tocca indagare su una seconda morte sospetta, in un'altra località del Paese, quando un altro uomo d'affari facoltoso dai dubbi trascorsi e inseguito da coloro che ha truffato viene scoperto cadavere nella piscina di una lussuosa villa, scopre che la moglie altri non è che la stessa Seo-Rae, e già solo questo fatto la rende estremamente sospetta di entrambi i delitti. Nonostante questo, volontariamente Seo-Rae non si sottrae al suo volontario destino di innamorato perso, tanto che mi sono chiesto se il titolo vero del film non dovesse essere Decision to Love... Insomma si tratta di un noir in piena regola, genere in cui in Corea sono diventati maestri, declinato con i toni della commedia ma che parla in realtà di sentimenti intensi e incontrollabili, che sono i veri protagonisti del film, come nel più classico dei melodrammi: bravissimi in questo gli interpreti, capaci di creare una tensione emotiva ed estenuantemente erotica, nel senso più alto del termine, a sublimare un amore malato ma potente, un'attrazione fatale. Inevitabile pensare a La donna che visse due volte di un maestro insuperabile Alfred Hitchcock ma anche al suo La finestra sul cortile per alcuni aspetti voyeristici, ma la Dark Lady, pur dall'aspetto apparentemente innocuo e a tratti perfino dimesso di Wei Tang, mi ha ricordato anche atmosfere chandleriane, forse per fatalismo del protagonista che però, a differenza dello scettico Marlowe, si abbandona volontariamente ai vortici dell'autodistruzione. Il tutto raccontato con leggerezza e una sapienza invidiabile nel creare immagini e suggestioni, altrimenti le due ore e mezzo di film non scorrerebbero via così velocemente. Un felice ritorno del grande regista dell'autore di Old Boy, che qui si produce in un pezzo di bravura ancora più potente anche se con tinte completamente diverse. Da non perdere.

lunedì 6 febbraio 2023

Le otto montagne

"Le otto montagne" di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo, Surakshya Panta, Elisa Zanotto e altri. Italia, Belgio, Francia 2022 ★★★★+

La "prova orologio" è inoppugnabile: se nell'arco di ben due ore e mezzo, la durata della proiezione, non ho staccato gli occhi dallo schermo nemmeno per dare  un'occhiata al quadrante non ci sono dubbi che il film mi è piaciuto e mi ha "preso". Parecchio. E non tanto per le immagini delle montagne: innanzitutto perché mi inquietano, motivo per cui non ho letto il libro di Paolo Cognetti da cui è tratto (Premio Strega nel 2017), e poi perché le inquadrature in formato 4/3 sono funzionali a raccontare la storie di un'amicizia e sui due personaggi principali, e non a puntare sulla spettacolarità dei paesaggi, che pure sono potenti: siamo nella Valle d'Ayas, ai piedi Monte Rosa e del Cervino (e, nella seconda parte del film, a tratti perfino nel Nepal, sul Tetto del Mondo). I due si conoscono fin da bambini: Pietro viene da Torino e trascorre la vacanze estive in Val d'Aosta con la famiglia: la madre è insegnante, il padre, Giovanni, è un ingegnere che lavora in una grande fabbrica e cerca di trasmettere al figlio l'amore per la montagna; Bruno è l'unico ragazzino che vive al paese, affidato a una zia, perché il padre lavora all'estero come muratore, destino che costringerà anche Bruno a seguire, motivo per cui i due si perdono di vista, benché Pietro trascorra là le vacanze estive finché vivrà coi genitori. Si ritroveranno già trentenni, quando Pietro tornerà là dopo la morte del padre avendo ereditato una vecchia baita e Bruno, rientrato anche lui al paese perché preferisce la vita del montanaro a quella del manovale salariato, si offrirà di rimetterla in sesto, perché così avrebbe voluto Giovanni, il padre di Pietro, con cui aveva instaurato un ottimo e profondo rapporto. Non sto a raccontare oltre la trama, limitandomi a dire che si tratta, per l'appunto, di un'amicizia forte, sincera, dove fatti e comportamenti contano molto più delle parole: uno ci sarà per l'altro, senza alcuna invadenza, nel momento del bisogno, anche perché entrambi hanno antenne sensibili e, nonostante le tante differenze, hanno alcuni decisivi tratti in comune, a cominciare dal rapporto conflittuale coi rispettivi padri (e per una volta non c'è alcun Edipo irrisolto in ballo, ma contrasti ben più sostanziali e comuni tra i mortali), da cui entrambi, in modi diversi, si sono affrancati, tanto che Bruno, senza forzarlo, riesce a trasmettere a Pietro quell'amore per la montagna che gli era rimasto indigesto quando glielo imponeva il padre. Resteranno profondamente amici, un rapporto sobrio, rispettoso e senza smancerie, anche quando intraprenderanno strade che li porteranno molto lontani: Pietro perfino in Nepal, dove viaggerà spesso; Bruno sempre più in alto, assieme alla sua compagna di vita (era un'amica di Pietro), con cui ha ridato vita a un alpeggio appartenuto a uno zio e producendo formaggi: rimarrà coerente alla sua scelta fino in fondo, e Pietro sarà l'unico che la capirà davvero. Ovviamente parte del criticume professionale ha avuto da ridire sul film per alcune ingenuità, a cominciare da una colonna sonora da qualcuno ritenuta "incongrua" perché costituita da brani folk e new age (chissà, forse si aspettavano uno jodel...), ma lo stile asciutto e antiretorico della coppia di registi fiamminghi ha parlato al cuore del pubblico, ed è questo l'essenziale, altrimenti il film non sarebbe ancora in programmazione, e non a caso ha convinto i giudici dell'ultimo Festival di Cannes che ha assegnato loro il Premio della Giuria. Complimenti vivissimi ai due interpreti, Alessandro Borghi (Bruno) e Luca Marinelli (Pietro), non una scoperta per noi italiani, ancora più sorprendenti perché, pur essendo entrambi romani, sono stati entrambi in grado di pronunciare senza problemi e più volte il suono ü", cosa pressoché impossibile per chi sia nato sotto la "Linea Gotica" a meno di non avere radici celtiche: se un appunto si può fare, è che l'accento di Bruno più che valdostano/piemontese alle mie orecchie suona lombardo, tra il valtellinese e il chiavennasco...

venerdì 3 febbraio 2023

Profeti

"Profeti" di Alessio Cremonini. Con Jasmine Trinca, Isabella Nefar, Ziad Bakri, Omar El Saed, Mehdi Meskar, Donato Demita, Marco Horanieh, Orw Kolthoum e altri. Italia 2022 ★★★+

Non mancano coraggio, rigore e coerenza ad Alessio Cremonini, che dopo Sulla mia pelle, sul caso di Stefano Cucchi, racconta un'altra storia di prigionia, non solo fisica ma anche mentale, in tutto un altro contesto: il conflitto in corso da anni nel Kurdistan siriano. Anche in questo caso protagonista è Jasmine Trinca, che interpreta Sara Canova, una free lance italiana che da un anno vive al Cairo e sta facendo un servizio sulle donne che combattono l'Isis. In prima battuta la vediamo raccogliere le dichiarazioni di una giovane miliziana curda, che afferma di lottare contro l'Isis perché si tratta della più estrema espressione di un tipo di regime, comune in Medio Oriente, che si basa sull'oppressione femminile, per cui solo le donne che ne sono vittime possono cambiare questa situazione. Sarà però proprio una pattuglia dell'Isis a sequestrare Sara, il suo interprete e il suo operatore e a rinchiuderli in un primo tempo in un fabbricato semidiroccato a ridosso della linea del fronte: lì verrà più volte interrogata dal comandante locale che dovrà decidere del suo destino, e dopo i primi giorni la farà trasferire in un centro d'addestramento per alloggiare presso Nur (cui dà credibilmente volto e voce l'italo-iraniana Isabella Nefar), perché non può stare in un luogo dove ci siano anche degli uomini, ma anche perché, questa la missione, convinca la prigioniera a convertirsi all'islam (che, peraltro, significa letteralmente sottomissione). Una doppia prigionia, insomma, nonostante una certa libertà di movimento all'interno della casa, salvo quando compare il marito di Nur, un mujahid. Quello che viene rappresentato è il confronto, essenzialmente dialettico, tra due opposti, benché Sara e Nur siano entrambe straniere: Nur è nata ad Aleppo ma è cresciuta in una famiglia laica a Londra, dove ha sposato un combattente islamico, ma anche Sara se ne è andata dall'Italia, dove a tutta evidenza ha lasciato un'esistenza non priva di problemi. Oltre al fatto di essere donne, le somiglianze finiscono qui perché quanto la giornalista è atea, professa razionalità e quindi è priva di certezze e senza alcuna intenzione di dedicarsi alla famiglia, tanto Nur si affida in tutto e per tutto alla fede nel profeta e non manca di diffidare della sincerità della fede di gran parte dei musulmani a suo parere non abbastanza osservanti. Due mondi paralleli e che partono da presupposti inconciliabili, e se è vero che per noi "occidentali" certe premesse sono inaccettabili, anche per chi sta dall'altra parte lo è il fatto che si pretenda di giudicare un modo di pensare e di vivere e intervenendo pure una guerra in nome di una propria presunta superiorità morale conoscendo, come fa osservare Nur a Sara, quando va bene a malapena qualche parola di arabo e nulla della situazione e della storia locale e delle motivazioni che muovono il "califfato"; cosicché anche quando si è convinti di "fare informazione" di fatto si finisce per fare semplicemente propaganda, esattamente quello che avviene in qualsiasi guerra, come dimostra quella in corso tra Russia e Ucraina e che ci riguarda più da vicino, se non altro perché ne parlano i nostri media. Cremonini non prende posizione, ed è stato anche criticato per questo, né chiarisce se la conversione, che alla fine avviene, di Sara all'islam sia sincera o dovuta a opportunismo, perché anche in tale frangente l'italiana non dà per scontato, come invece Nur, che debba prendere prendere per marito un devoto mujahid e anzi inorridisce alla sola idea. La forza del film è lo stile documentaristico e scarno del regista, il senso di crudezza e di inquietudine che trasmettono le immagini dalle luci crude e livide che scorrono sullo schermo, e lascia un po' perplessi il finale in qualche modo consolatore e salvifico quando il senso è proprio quello di stimolare la riflessione, anche se i pensieri che vengono in mente non sono esattamente positivi. 

mercoledì 1 febbraio 2023

Il primo giorno della mia vita

"Il primo giorno della mia vita" di Paolo Genovese. Con Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco, Gabriele Cristini, Antonio Girardi, Elena Lietti, Lino Guanciale, Giorgio Tirabassi, Thomas Trabacchi, Vittoria Puccini e altri. Italia 2023 ★★★1/2

Adattamento dell'omonimo romanzo il cui autore era stato il regista stesso, Il primo giorno della mia vita viaggia tra fantasia e realtà, in un'atmosfera sospesa e leggermente perturbante, cifra costante del cinema di Genovese, e presenta molti tratti in comune con The Place, altro film che aveva lasciato perplessa la critica e che invece avevo apprezzato (e questo ancora di più) con cui ha in comune anche un personaggio ambiguo, quasi fantasmatico, un po' demoniaco e un po' in odore di santità, che è una sorta di arbitro della situazione. Anche in questa storia in gioco c'è una scelta da compiere: qui si tratta di Toni Servillo, più nella veste di angelo custode il quale, in una Roma notturna, costantemente piovosa, pressoché deserta, inconsuetamente silenziosa, a bordo di una vecchia Volvo Station Wagon, raccatta quattro personaggi nel momento stesso in cui stanno per suicidarsi e chiede loro sette giorni di tempo per motivarli a desistere dal loro intento: trascorsi i quali torneranno allo status quo ante, pochi secondi prima della decisione finale... I quattro sono Arianna (la Buy) una poliziotta che non ha superato la morte della figlia sedicenne, Napoleone (Mastandrea), un "motivatore" caduto in depressione; Emilia, un'ex ginnasta eternamente seconda e finita su una sedia a rotelle (Serraiocco) e Daniele (il bravo Gabriele Cristini), un adolescente sovrappeso e diabetico costretto dai genitori a ingozzarsi di ciambelle e altre porcherie per mostrarsi all'opera in video e diventare uno youtuber il cui successo dipende dal numero di follower e l'Uomo Misterioso li porta in un un albergo un po' demodé che fa da base all'esperimento, privo di acqua e di cibo: ché tanto non servono,  trovandosi i "pazienti" in una sorta di limbo, dove non sono né vivi né morti ma una sorta di fantasmi che, durante i giorni successivi, vengono portati in giro attraverso la città per sondare la loro capacità di trovare ancora un senso alla loro esistenza dando uno sguardo a dei possibili scenari futuri, di cui però devono diventare soggetto e parte attiva, e non soltanto spettatori sopraffatti dagli eventi e dalle situazioni. Insomma, trovare le motivazioni in sé stessi immaginandosi un domani fuori dai percorsi che li hanno portati all'attuale punto... morto. Riuscirà nell'intento? La risposta, anch'essa immersa nel dubbio, si avrà nel finale, e non è scontata. A parte che il film è girato con accuratezza, esteticamente valido e bene interpretato e a suo modo avvincente tenendo desta l'attenzione dello spettatore nonostante l'atmosfera vagamente irreale e inquietante, proprio quest'ultima produce in chi guarda quel distacco necessario per riflettere sulle dinamiche che portano alla decisione di togliersi la vita, sulla possibilità o meno di vincere il dolore grazie a una diversa prospettiva di osservazione e, non ultimo, sul libero arbitrio e altre tematiche che possono essere alla base della difficoltà di vivere, quali il bullismo, l'incapacità di accettarsi, la competitività, ovviamente i rapporti famigliari, e lo fa in modo non banale. Alla fine il risultato mi pare convincente.