"Tre manifesti a Ebbing, Missouri" (Three Billboards Outside Ebbig, Missouri) di Martin McDonagh. Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, John Hawkes, Peter Dinklage, Abbie Cornish e altri. USA, GB 2017 ★★★★½
Al terzo lungometraggio dopo i più che promettenti In Bruges e 7 psicopatici, il commediografo, sceneggiatore e regista anglo-irlandese fa centro confezionando un prodotto notevole, di grande spessore, dietro a una facciata di commedia nera intrisa di ironia e situazioni anche grottesche, in cui si innestano da un lato la tragedia e dall'altro un'analisi a un tempo sociologica e psicologica non banale. Siamo nel Missouri, Stati Uniti profondi, quelli che hanno portato Trump alla Casa Bianca, dove la polizia, oltre a torturare i neri e perseguitare gli omosessuali, trascura pure di indagare sullo stupro e l'assassinio di una ragazzina bianca, cosa che fa mandare in bestia la madre, la dura Mildred Hayes, commessa al negozio di souvenir della cittadina di Ebbing, al punto da indurla a investire i propri scarsi risparmi per affittare tre tabelloni posti lungo una strada diventata secondaria dopo la costruzione della highway, in cui tira in ballo la negligenza dei "tutori dell'ordine" e del loro capo locale, lo sceriffo Willoughby. Il quale, benché impersonato dal cattivo per eccellenza Woody Harrelson, è in fondo il lato buono, oltre che a sua volta protagonista di una situazione disperata. Sarà conseguenza di un suo gesto il districarsi sorprendente della situazione, che porterà, se non alla consegna del colpevole alla giustizia, a una possibile soluzione del caso. La cosa interessante è come la richiesta della donna scateni a un tempo gli istinti peggiori come le qualità migliori di una comunità chiusa, che non ha mai superato gli steccati tra razze e i pregiudizi che si porta dietro assieme alla mentalità da pioniere che contraddistingue gran parte degli USA, in cui tutti conoscono tutto di tutti e dove ognuno porta su di sé il fardello di un qualche senso di colpa, perfino la "madre coraggio" che ha innescato (è il caso di dirlo) la bomba e il suo più acerrimo rivale, Jason Dixon, il poliziotto più indolente, stupido e violento della compagnia, anche lui a suo modo una vittima e capace di gesti di profonda solidarietà umana. Evito qualsiasi altro accenno perché la trama, infine, è quella di un noir a regola d'arte, ma oltre a una sceneggiatura coi fiocchi, che sta a metà strada tra quella dei migliori Coen e la prima serie di True Detectives (che vedeva coprotagonista con McConaughey proprio Woody Harrelson, qui nella parte dello sceriffo), la pellicola si avvale delle interpretazioni straordinarie di tutti gli attori, a cominciare da una Frances McDormand indimenticabile. Impeccabili anche fotografia e colonna sonora, si finisce col voler bene e capire anche personaggi in parte mostruosi, suscitando la curiosità di dove andranno a finire e a fare che cosa... Quesito lasciato aperto, benché non credo che questo sia la premessa per un sequel. Un filmone, da non perdere.
Al terzo lungometraggio dopo i più che promettenti In Bruges e 7 psicopatici, il commediografo, sceneggiatore e regista anglo-irlandese fa centro confezionando un prodotto notevole, di grande spessore, dietro a una facciata di commedia nera intrisa di ironia e situazioni anche grottesche, in cui si innestano da un lato la tragedia e dall'altro un'analisi a un tempo sociologica e psicologica non banale. Siamo nel Missouri, Stati Uniti profondi, quelli che hanno portato Trump alla Casa Bianca, dove la polizia, oltre a torturare i neri e perseguitare gli omosessuali, trascura pure di indagare sullo stupro e l'assassinio di una ragazzina bianca, cosa che fa mandare in bestia la madre, la dura Mildred Hayes, commessa al negozio di souvenir della cittadina di Ebbing, al punto da indurla a investire i propri scarsi risparmi per affittare tre tabelloni posti lungo una strada diventata secondaria dopo la costruzione della highway, in cui tira in ballo la negligenza dei "tutori dell'ordine" e del loro capo locale, lo sceriffo Willoughby. Il quale, benché impersonato dal cattivo per eccellenza Woody Harrelson, è in fondo il lato buono, oltre che a sua volta protagonista di una situazione disperata. Sarà conseguenza di un suo gesto il districarsi sorprendente della situazione, che porterà, se non alla consegna del colpevole alla giustizia, a una possibile soluzione del caso. La cosa interessante è come la richiesta della donna scateni a un tempo gli istinti peggiori come le qualità migliori di una comunità chiusa, che non ha mai superato gli steccati tra razze e i pregiudizi che si porta dietro assieme alla mentalità da pioniere che contraddistingue gran parte degli USA, in cui tutti conoscono tutto di tutti e dove ognuno porta su di sé il fardello di un qualche senso di colpa, perfino la "madre coraggio" che ha innescato (è il caso di dirlo) la bomba e il suo più acerrimo rivale, Jason Dixon, il poliziotto più indolente, stupido e violento della compagnia, anche lui a suo modo una vittima e capace di gesti di profonda solidarietà umana. Evito qualsiasi altro accenno perché la trama, infine, è quella di un noir a regola d'arte, ma oltre a una sceneggiatura coi fiocchi, che sta a metà strada tra quella dei migliori Coen e la prima serie di True Detectives (che vedeva coprotagonista con McConaughey proprio Woody Harrelson, qui nella parte dello sceriffo), la pellicola si avvale delle interpretazioni straordinarie di tutti gli attori, a cominciare da una Frances McDormand indimenticabile. Impeccabili anche fotografia e colonna sonora, si finisce col voler bene e capire anche personaggi in parte mostruosi, suscitando la curiosità di dove andranno a finire e a fare che cosa... Quesito lasciato aperto, benché non credo che questo sia la premessa per un sequel. Un filmone, da non perdere.
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