sabato 11 luglio 2009

Dal calvario delle strade polacche al viaggio che finisce in gloria

Bireria Cerna Hora - MoraviaCERNÁ HORA (Repubblica Ceca) -  Come avevo accennato nel post di giovedì sarebbe stata dura, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e, grazie a una accorta strategia dei pit-stop e dei cambi alla guida, ieri siamo riusciti nella ragguardavole impresa di abbattere il muro della media di 50 km/h su strade polacche, compiendo in sole 9 ore il tragitto che separa Grudziadz da Boboszów, località di frontiera con la Repubblica Ceca: 512 chilometri. Che il sito viamichelin prevede di compiere in 8 ore e 5 minuti: immagino  ipotizzati con strade completamente deserte e con tutti i semafori sintonizzati sul verde. E né io né il “Segretario” siamo gente che alla guida si dedica alla pennica. Due i nodi gordiani oltre a quelli meno impegnativi dei centri minori: Poznan (Posen in tedesco) e Wroklaw (Breslau), rispettivamente quinta e quarta città della Polonia per numero di abitanti, e anche fra le più belle, che avevamo visitato a fondo in un viaggio di qualche anno fa. Il primo nodo, Poznan, è toccato a me scioglierlo, perdendo oltre mezz’ora a percorrere una sorta di tangenziale interna alla città, condita da svolte repentine che fanno perdere il senso dell’orientamento. Della approssimazione del sistema di segnaletica ho scritto ieri: se non si ha a fianco un compagno di viaggio sveglio, con un occhio alla mappa e l’altro ai rari cartelli stradali, quella di perdersi non riveste i contorni dell’eventualità ma assume il carattere di una certezza. Regolatevi di conseguenza oppure dotatevi di un navigatore satellitare: si rivelerà un ottimo investimento in grado di far risparmiare tempo prezioso e scariche di adrenalina a raffica, dannose per il sistema nervoso e le coronarie. Comunque, nell’arco di mezz’ora ce l’ho fatta. Tagliare l’aggrovigliata matassa di quello costituito da Wroklaw è stato compito del “Segretario”: causa giganteschi lavori in corso sulla tangenziale, attualmente occorre attraversare la città da Nord a Sud, passare un fiume, l’Odra, due canali e dunque una serie di ponti intasati, transitare per il centro aggirando il nucleo storico e districarsi in una gimkana senza senso a passo d’uomo, circondati da una consistente maggioranza di automobilisti catatonici. Tempo: un’ora per riacciuffare il bandolo perduto, la fottuta Statale n° 8 che conduce verso il paradiso delle strade ceche (è tutto dire) in direzione Praga. E non era nemmeno l’orario di punta. Tra Poznan e Wroklaw, per ingannare il tempo io e il “Segretario” abbiamo provato a calcolare il numero di “porconi” tirati durante la nostra non breve esistenza (senza contare quelli solo pensati). Calcolando 40 anni di carriera, per stare schìsci (bassi, ossia per difetto, per i non milanesi) siamo arrivati a una stima di un milione e mezzo a cranio, con vertici assoluti durante gli incontri di calcio Italia-Francia, Italia-Brasile e, soprattutto, gli scontri delle rispettive squadre del cuore con la Juventus nonché le stracittadine, il “Segretario” sulla sponda rossonera e io su quella nerazzurra. Durante la traversata di Breslavia, questo il nome in  lingua italica, ieri pomeriggio, queste cime abissali sono state ampiamente superate. Solo per assurdo abbiamo provato a ipotizzare come reagiremmo se, una volta morti, ci fossimo trovati davanti davvero San Pietro con le chiavi e LUI in persona, col barbone bianco e i lunghi capelli ondulati, con tutta la salmodiante compagnia, a cominciare dal prete che ci diceva che a toccarci “lì” saremmo rimasti ciechi o alle angherie subite da qualche suora all’asilo o durante un ricovero ospedaliero, che ci avrebbero accolti con un “vi avevamo avvertito: adesso sono cazzi vostri. E pure acidi”. Insomma è iniziata una sorta di deriva mistica. O "percorso", secondo il linguaggio cattolico ma anche neuromarxista. Per rimanere in questo clima elevato, e dopo che il cielo si era sgomberato dalle ultime nuvole rimaste a gravitare su Wroklaw, abbiamo deciso di ripercorrere la strada già fatta in senso inverso quando eravamo venuti per la prima volta in Polonia 4 anni fa: la strada  panoramica che, dalla pittoresca Klodzko, si dirama dalla n° 8 per procedere, dopo il confine di Boboszów, verso Sumperk e da qui a Olomouc o Brno, quest’ultima la nostra direzione, e poi oltre verso Vienna, Graz e quindi la Terra dei Cachi quest’oggi. Bellissimi i paesaggi collinari di questa zona (sopra a destra) della Bassa Slesia, dove il passato tedesco si nota in modo particolarmente marcato dall’aspetto delle costruzioni e dall’urbanistica dei centri abitati. Nella precedente occasione non avevamo avuto modo di apprezzarli a causa di una piogga battente, della cupezza della giornata (un Ferragosto che cadeva di domenica) e del tramonto imminente. E’ stata la prima ricompensa dopo aver espiato in modo preventivo, sulle strade polacche, le nostre colpe, ma la vera epifania si sarebbe avuta un paio d’ore più tardi, al termine della discesa attraverso Landskrun e Svitavy in direzione Brno, nel cuore della Moravia. Dopo tre tentativi infruttuosi di trovare una sistemazione in una camera con due letti separati a Boskovice, centro turistico a sei chilometri a Est dalla strada principale, abbiamo deciso di puntare su Tisnov, a Sud-Ovest. Imboccata la deviazione per il nostro traguardo, dopo nemmeno un chilometro abbiamo fatto il nostro ingresso a Cerná Hora (collina nera in ceco) e qui è apparsa simultaneamente davanti Fabbrica di Birra Cerna Hora - Moraviaai nostri occhi la Rivelazione: luminosa e calda come il sole, gialla come l’oro: l’omonimo Pivovar, ovvero birrificio, in piena attività, il più antico della Moravia, anno di fondazione il 1298, con tanto di spacci, un grande ristorante e, soprattutto, annessa pensione! (cfr foto a sinistra) Mai ci saremmo immaginati, noi miscredenti, una simile ricompensa per le nostre fatiche. Ma avevamo portato a termine con successo una vera impresa e meritavamo un premio speciale. Compagni di avventura qui alla pensione e ieri sera nella taverna, un drappello di motociclisti, tutti di pelle nera bardati.  “Li vedo male, dopo la serata di ieri, i bikers cèchi su queste strade”, ha avuto modo di affermare poco fa, icasticamente, il “Segretario”, a dimostrazione che anche lui non era passato indenne dal crescendo birresco e di grado alcolico, dai 10 (questi saccarometrici) della non filtrata “Moravske Sklepni” passando per i 12 della “Lezak”, prodotta secondo la più antica ricetta morava risalente a sei secoli fa, fino ai 14 della “Kvasar”, birra speciale al miele: l’apoteosi finale. Tutte alla spina, rigorosamente in boccali da mezzo litro, hanno gioiosamente accompagnato un abbondante piatto di carne mista di maiale con canederli di pane e di patate e crauti sia bianchi sia rossi, chiamato "delizia del contadino", equivalente al tedesco "Bauernschmaus". Ora siamo reduci da una sostanziosa colazione a base di gustosi würstel, salumi, formaggio per la parte salata; pane, burro marmellata e miele per il settore dolce. Niente birra, perché bisogna guidare e il tasso alcolemico tollerato nella Repubblica Ceca è zero. Conto totale per tutto questo, pernottamento e prima naturalmente inclusa: 1400 corone, 50 €. In due. 25 a testa. Epilogo in gloria di questo bel viaggio, e ora ritorno nel Paese dell’eterno carnevale. E dei conti salati.

giovedì 9 luglio 2009

Da Kaunas alla Pomerania attraverso i Laghi Masuri

Municipio di KaunasGRUDZIADZ (Polonia) – Lasciata Vilnius questa mattina, per una volta imbroccando subito la direttrice per Kaunas grazie a un’indicazione piazzata a pochi incroci dalla via dell’albergo, preventivamente individuata e che non ci ha risparmiato una escursione nell’intrico di raccordi che ci avrebbero infine condotti sulla superstrada, siamo giunti a metà mattinata nella seconda città del Paese, poco meno grande della capitale ma infinitamente più dimessa e, in parte, desolante e all'apparenza priva di vita. La città si trova alla confluenza tra i fiumi Nemunas e Neris e il centro storico, situato nella penisola che ne risulta, coincide con il perimetro della fortezza che, nel XIV secolo, resistette per oltre cinquant’anni ai continui attacchi dei cavalieri dell’Ordine Teutonico, che conquistandola avrebbero potuto dominare un territorio ininterrotto dall’Estonia alla Prussia orientale, e congiunto i possedimenti di quest’ultima con quelli della Livonia a Nord-Est. Dal 1440 fu annessa alla Lega Anseatica e la sua importanza commerciale crebbe di conseguenza. Nel 1795 passò alla Russia e divenne capoluogo di un Governatorato fino ad assumere il ruolo, in seguito all’occupazione di Vilnius da parte della Polonia (che non è solo stata vittima, nel corso della sua storia, come vuole accreditarsi, ma a sua volta aggressore), di capitale dello Stato lituano tra il 1920 e il 1940, ed essere nuovamente contesa tra russi e tedeschi nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La visita è stata rapida, anche perché non è che vi sia moltissimo da vedere: il lungo viale pedonalizzato che divide in due il centro porta da un lato dalla cattedrale di San Pietro e Paolo all’ex Palazzo Presidenziale; dall’altro da quest’ultimo alla bella piazza dell’ex municipio (nella foto in alto), costruito a partire dal 1542, con una torre campanaria alta oltre 50 metri che lo fa assomigliare a una chiesa, simile a quella vera al suo lato, dedicata a San Francesco; a poca distanza, quella di San Giorgio, parte di un monastero cistercense. Affacciata al Nemunas, la chiesa di San Vito. A Est si estende la città nuova, sviluppatasi a partire dal XIX secolo, decisamente meno attraente. Una torre ricostruita e una parte delle mura e del fossato sono ciò che resta del Castello di Kaunas, ossia quel che rimane dell’antica città fortificata. A pochi chilometri dal centro, il “Nono Forte”, costruito nell’Ottocento come fortificazione dai russi e trasformato dai nazisti in campo di concentramento, dove furono sterminate almeno 80 mila persone, tra cui quasi tutta la popolazione ebraica della città. Nel Dopoguerra i sovietici completarono l’opera, utilizzandolo come prigione e luogo delle esecuzioni. Per mancanza di tempo, abbiamo dovuto saltarne la visita. Seconda in tutto rispetto alla capitale, per certi versi come Milano nei confronti di Roma (e mi viene un groppo allo stomaco a dirlo), Kaunas primeggia però nello sport: la squadra di calcio del FBK Kaunas è la più titolata del Paese così come la più celebre Žalgiris della pallacanestro, di cui fu stella, e ora presidente e maggiore azionista, il fenomenale gigante Arvidas Sabonis, probabilmente il migliore “centro” europeo di sempre, che gli appassionati sicuramente ricorderanno. Infine, nell’ultima sosta in terra lituana, e quindi occasione possibile, siamo riusciti a entrare in possesso di due bottiglie di midus, l’idromele di cui andavano ghiotte le popolazioni medievali, prodotto dalla benemerita Stakliskes con il procedimento originale, che avevamo cercato invano a Vilnius. Per acquistarle abbiamo dovuto fare buon viso di fronte all’incredibile scortesia e maleducazione della vecchia, orrida e acida bottegaia che gestisce l’emporio. Nel contempo, però, le abbiamo sbolognato gli ultimi Altarino a Michael Jackson - Kaunaslitas rimastici in tasca, investendoli in un acquisto fondamentale quanto prezioso. Di fronte al negozio, un grazioso altarino innalzato a Michael Jackson (foto a sinistra). Da Kaunas sono soltanto un’ottantina i chilometri al confine con la Polonia, e all’inizio della via crucis costituita dalle sue strade. Attraversarla a una velocità media superiore ai 50 all’ora è un’impresa titanica e, fino a questa sera, ci siamo riusciti. Via crucis in senso letterale, per la profusione di croci e statue di Madonne lungo il percorso e in senso figurato, perché un Paese così bello e interessante non si merita una rete viaria così malridotta, la peggiore che abbia sperimentato nel Continente dopo quella romena (a esclusione di quella della Russia, che ho qualche perplessità a considerare propriamente Europa). Alla strettezza delle carreggiate si aggiungono la sconnessione della pavimentazione, le indicazioni mancanti e, quando presenti, spesso demenziali nonché lo stile di guida degli indigeni, che definire carente è un complimento. E’ caratterizzato dall’originale “svolta polacca”, quella a destra in particolare, la cui manovra inizia con l’azionamento della freccia di segnalazione, nei casi fortunati, e dal simultaneo spostamento della vettura che precede nella carreggiata opposta, ossia in senso contrario a quello indicato dai lampeggianti, e dalla brusca sterzata a dritta, interrotta da un colpo di freni quando la vettura è in posizione obliqua rispetto a chi segue, pressoché sulla tangente del paraurti sinistro. Se il guidatore dell'automezzo che precede è un cretino assoluto, in assenza di segni di vita da parte degli indicatori di direzione, sarete convinti che stia preparandosi a sorpassare il veicolo che precede: ebbene, nel 20% dei casi non è così. Estote parati. Sempre. Un altro suggerimento è quello di prendere in considerazione le strade secondarie rispetto alle statali: l’estate è periodo di grandi cantieri sulla viabilità principale e in questo modo eviterete lunghe attese ai semafori mobili e, al contempo, l’esasperante  attraversamento dei centri più importanti. Grazie a questa scelta che si è rilevata geniale abbiamo avuto modo di goderci appieno i panoramiLaghi masuri davvero incantevoli della zona dei Laghi Masuri (da qui il probabile etimo della mazurka, cfr foto a destra), luogo di una delle prime battaglie sul fronte orientale durante la Grande Guerra, un’area di circa 50 mila chilometri quadrati a Est della Vistola, chiamata anche “Regione dei Mille Laghi” (in realtà i bacini sono oltre duemila), una specie di Finlandia a Sud del Baltici che fino al 1945 faceva parte della Prussia Orientale così come l’exclave russa di Kaliningrad, ovvero  la tedesca Königsberg, patria di Immanuel Kant. Il che spiega in buona parte la presenza relativamente massiccia di turisti germanici. Insignificante più ancora che brutto il capoluogo Olsztyn, abbiamo deciso di proseguire fino a Grudziadz, già parte del voivodato di Cuiavia-Pomerania, e fare tappa in questo centro, che si trova su una delle direttrici principali del Paese, la Statale n° 5 che collega da Nord a Sud Danzica a Poznan e Wroklaw (Breslavia), crocevia verso la Germania e la Repubblica Ceca. Grudziadz, pur dotata di un piacevole centro storico pedonalizzato, e nonostante abbia oltre 100 mila abitanti, alle otto di sera sembra una città fantasma se non fosse per la presenza di personaggi dall’aspetto vagamente inquietante, a cui bisogna pur rivolgersi per cercare di ottenere qualche indicazione al fine di trovare un albergo e un luogo di ristorazione vista la totale assenza di segnaletica. Alla fine non si riveleranno nemmeno malintenzionati o insidiosi, soltanto un po’ strani e completamente digiuni di qualsiasi idioma straniero, salvo, in un caso su dieci, di qualche rudimento di tedesco. Stessa situazione nell’unico locale aperto che non fosse soltanto una pizzeria, dove abbiamo dovuto improvvisarci glottologi per cercare di scovare comuni radici indoeuropee nelle parole stampate sul menù rigorosamente in polacco, ed è tornato utile il fondamentale linguaggio dei gesti, in cui noialtri italiani siamo particolarmente versati, considerata le generale insipienza nelle lingue straniere mediamente pari a quella degli indigeni di Grudziaz. Ci è andata bene: il risultato sono stati una cotoletta impanata per il “Segretario” e un sapido polpettone in sugo di  selvaggina e aneto, che però si chiama ingannevolmente “kotlett”, per me. Immancabili e squisite le patate, fritte (e non surgelate e precotte) oltre al cavolo cappuccio, ai cetrioli e al pomodoro pallido, che qui chiamano insalata. Ottima come sempre la birra, e da queste parti la fa da padrone la “Zubr”, che significa bisonte, e dà il nome anche a una celebre vodka polacca. Come dessert delle ricche omelette alle mele con abbondante cannella, deliziose. Il conto, come sempre in questo Paese, decisamente leggero rispetto ai livelli deliranti a cui siamo abituati nella Terra dei Cachi. 

mercoledì 8 luglio 2009

Vilnius: lituani, i latini del Baltico. E un vertice di "segretari"

Foto399VILNIUS (Lituania) – Adagiata su sette colli, 550 mila abitanti, fondata da Gedimino, granduca di Lituania attorno al 1320 in un’area però già abitata da altri 1000 anni, Vilnius è una città vitale, quasi scanzonata, in cui si respira un’aria completamente diversa da quella di Riga e, soprattutto Tallinn. Il centro storico, molto esteso anche a causa dell’altezza mediamente ridotta degli edifici, è il trionfo di un barocco piuttosto originale, tanto da essere dichiarato dall’UNESCO quello più vasto esistente al mondo e dunque anch’esso, come quello delle altre capitali baltiche, Patrimonio dell’Umanità. Il primo approccio, ieri nel primo pomeriggio, non è stato dei più felici: in città mancano completamente le indicazioni stradali anche verso le mete principali, e il fatto di essere attraversata da un fiume che compie un’ampia ansa e da un canale secondario contribuiscono a confondere le idee. Per capire da quale lato della città  ci trovassimo, il “Segretario”, con una trovata degna del suo leggendario pragmatismo, è sceso dalla macchina per controllare di persona in che senso scorresse il fiume e stabilire una volta per tutte le coordinate dei quattro punti cardinali. Questo dopo che un taxista, a cui mi ero rivolto per sapere in che direzione fosse situata la stazione ferroviaria, non aveva fornito l’informazione offrendosi in compenso di scortarci fin lì per la bellezza di 15 euro. Ovviamente gli abbiamo risposto col dito medio alzato, e poco dopo avremmo scoperto che ne eravamo distanti non più di un chilometro. Santa TeresaDella scorrettezza dei taxisti eravamo stati avvertiti così come della petulanza davvero molesta dei mendicanti, i quali non risparmiano nemmeno l’interno delle chiese e che non sono zingari né immigrati ma indigeni, generalmente tutt’altro che anziani né  particolarmente disadattati, perfino vestiti del tutto normalmente: semplicemente stronzi, così come i taxisti e buona parte dei guidatori, e qui gli stramaledetti SUV e i macchinoni, perfino limousine americane bianche o nere con tanto di vetri oscurati,  abbondano molto più che altrove nella regione, segno di una ricchezza anche un po’ ambigua che puzza di mafia russa bene inserita nei meccanismi della città. Personalmente a prima vista Vilnius mi ha ricordato Salisburgo in grande, sia per l’abbondanza del barocco, che in alcuni casi come il Duomo e soprattutto la chiesa di San Casimiro ricorda un laboratorio di pasticceria, sia per la discompiacenza degli indigeni: sempre il “Segretario”, che aveva poeticamente definito “intense” le donne di Tallinn ed estoni in genere, “sorridenti” quelle lettoni e di Riga in particolare, ha subito bollato come “sprezzanti” quelle di Vilnius. “Se la tirano peggio delle milanesi”, così ha sentenziato al termine della serata di ieri, confermando il giudizio dopo la giornata odierna. E’ una città un po’ tsigana e casinista, e anche le fisionomie non sono nordiche come quelle abituali nelle altre nazioni della regione: i lituani hanno spesso il baricentro più basso (eppure sono noti più come fenomenali cestisti che calciatori). E’ facile definirla “la Napoli baltica”: pur non essendo un porto come Riga e Tallinn, è decisamente più sporca. La Lonely Planet definisce i lituani “istintivi” e cordiali, io aggiungerei un po’ anarcoidi ma in modo piacevole: del resto “ognuno è il terrone di qualcun altro”, e i lituani lo sono degli altri baltici; d’altronde tra Tallinn e Vilnius ci sono più chilometri di distanza che fra Milano e Napoli. Detto questo la città è più che gradevole: bei negozi, tanti bar e ristoranti piacevoli, musei e, come detto, chiese a profusione. Non mancano, oltre a quelle cattoliche e protestanti, quelle ortodosse, come quella verde smeraldo dei Romanov, un pugno nell’occhio che si nota a chilometri di distanza, che incrementano l’effetto “torta nuziale”. C’è da aggiungere che la minoranza russofona qui è molto meno consistente che nelle altre due nazioni baltiche, in particolare le Lettonia, e di conseguenza l’omogeneità etnica dei lituani maggiore. A rendermi poi ancora più simpatica Vilnius, la scoperta di un monumento dedicato a Frank Monumaneto a Frank ZappaZappa (foto a sinistra), che del resto non deve meravigliare in una città che ama la musica ed è una delle capitali del jazz europeo. Tra i musei, impressionante quello delle Vittime di Genocidio che racconta le vicissitudini della nazione lituana, tra l’occupazione tedesca, che decimò la popolazione ebraica della città nell’ordine di qualche decina di migliaia di persone e quella russa, durata fino al 1991, proseguita anch’essa con deportazioni di massa in Siberia e altre zone invivibili dell’impero comunista e uccisioni arbitrarie. Il palazzo in cui è ospitato, in pieno centro e sulla via principale, Gedimino Prospektas, e sulla piazza dove si ergeva la statua di Lenin, è stato, non a caso, il quartier generale della Gestapo prima e della CEKA e del KGB poi, ben più a lungo: 45 anni. Nel piano seminterrato, sono conservate, così com’erano, le celle dei detenuti e le stanze in cui avvenivano interrogatori, torture ed esecuzioni, nonché le centrali di ascolto per tenere sotto osservazione, si potrebbe dire “sotto orecchio”, i cittadini, in una delle tipiche manifestazioni persecutorie di quel regime paranoico. Il sistema si chiamava, con grande sfoggio di fantasia, "OTO". La cosa più difficile, oggi, è immaginarsi, del resto, una città come Vilnius in versione sovietica, com’era soltanto fino a 18 anni fa. Vivace anche la vita culturale, a testimonianza basti l’università,  fondata dai gesuiti nel 1579 e da loro guidata per i successivi due secoli, la più antica dell’Europa orientale. Infine, per la serie “quanto è piccolo il mondo”, tra la Filarmonica di Vilnius e la chiesa di Santa Teresa, mi sento chiamare per nome da una voce ben conosciuta durante vent’anni di convivenza sul posto di lavoro: la “Segretaria”, che prima di essere mia compagna di lavoro lo è stata di liceo e di università, nonché di sindacato, finché non ho reso la tessera, e non vedevo da oltre un anno. Ora pari grado e compagna di “parrocchia” dell’altro “Segretario” mio compagno di avventure in questo viaggio, e a sua volta sposata e accompagnata da un ulteriore “Segretario”, di vertice,  questa volta ex, altra mia vecchia conoscenza che mi ha fatto un grande piacere rivedere. Al di là di essere circondato, a un tratto da ben tre milanisti. Ma quando si vincono quattro “tituli” di fila anche un’esperienza come questa ha i suoi risvolti piacevoli. 

lunedì 6 luglio 2009

Riga e i gatti liberty della "Parigi del Nord"


Confraternita delle Teste Nere e San PietroCon i suoi circa 800 mila abitanti, Riga è la città più grande delle tre Repubbliche Baltiche e quella che ha il maggiore peso culturale, politico ed economico della regione. Arrivati ieri pomeriggio, rinfrescati da una brezza frizzante che ha provveduto a rendere movimentato il cielo e a evitare che i nuvoloni plumbei e zavorrati di vapore scatenassero temporali sulla città, lasciando filtrare sciabolate di sole fino a metà serata, abbiamo potuto subito constatare che è l’unica città, visitata durante questo viaggio, in cui si respiri nettamente un’atmosfera metropolitana. Anche qui, come a Tallinn, il centro urbano è piuttosto compatto, ma più monumentale, e segnato da una quantità sorprendente di edifici in stile Liberty (secondo l’UNESCO, Vecriga, la città vecchia, ne ha per densità e qualità più di ogni altra città al mondo, tanto da inserirla nella lista dei Patrimoni dell’Umanità), ma anche fuori dal centro storico l’impianto della città rimane quello di una capitale, con tanto di Esplanade, viali alberati, edifici monumentali come ad esempio il Teatro dell’Opera (e i ministeri sono tra i meno appariscenti) e sempre tanta Art Nouveau: più che a Bruxelles e Vienna messe insieme, ed è proprio la capitale austriaca, benché molto più estesa, a essermi venuta in mente come termine di paragone. Piazza della CattedralePurtroppo alle 17 chiese e musei chiudono, per cui non ci è rimasto che gironzolare per il centro, che rimane peraltro il modo più gradevole per conoscere e godersi questa città. Locali all’aperto con musica che va dal blues al rock al jazz, ma senza essere fastidiosamente invadente, una quantità di ristoranti, bar, caffetterie, pub, ma nulla che sembra fatto apposta per i visitatori di passaggio: se li godono prima di tutto i locali. E del fatto che il turismo sia semplicemente un accessorio nella vita di Riga, e una componente secondaria della propria economia, ce ne siamo resi ancor più conto questa mattina quando, a musei chiusi essendo lunedì, come in quasi tutto il mondo, come prima cosa ci siamo diretti al Mercato Generale, uno dei più grandi d’Europa e dei più antichi, dato che risale almeno al 1201, data di fondazione della città da parte del vescovo tedesco Albrecht von Buxthoeven, arrivato da Brema con lo scopo di evangelizzare le popolazioni baltiche pagane della Livonia. Dopo aver cambiato varie sedi, generalmente lungo la riva del Daugava, il fiume che attraversa Riga prossimo allo sbocco al mare, il mercato fu spostato nella sede attuale nel 1930, alle spalle della stazione ferroviaria, quando il trasporto delle merci su rotaia aveva preso il sopravvento su quello fluviale. Si fecero arrivare in città 5 hangar Zeppelin, alti ciascuno 35 metri, che forniscono 57 mila metri quadrati al coperto (e, in inverno, soprattutto riscaldamento) per oltre 1250 commercianti. Tenendo presente che un’area almeno altrettanto vasta è occupata da bancarelle ambulanti e, più contano da baracche provvisorie, ci si può fare un’idea di quanto sia estesa l’area e quanto sia animata. Qui l’elemento russo, che è già prevalente in città (43% su 41% di lettoni) diventa decisamente schiacciante, per divenire incontrastato nelle zone più periferiche del mercato, cosa che si nota immediatamente dal cattivo gusto dell’abbigliamento in vendita e indossato dai frequentatori. Una chicca tra tutte il pantalone con l’elastico della mutanda (griffata) sporgente incorporata. Non la mutanda: proprio la “sporgenza”, il fascione elastico, come protesi della braga a vita bassa, quello che anche le nostre giovani leve amano esibire, insieme al solco delle chiappe. Possibilmente con un tatuaggio angiolesco sul fondo schiena, le femmine. Dopo questo doveroso omaggio alla vocazione mercantile di Riga, non per nulla città membro della Lega Anseatica, e rimasta sostanzialmente in mano al ceto dei commercianti tedeschi fino alla fine dell’Ottocento, nonostante il passaggio al dominio prima svedese in seguito russo, siamo rientrati in centro per visitare almeno la Piazza del municipio con di fronte la Casa delle teste Nere, la confraternita dei commercianti celibi che la eresse nel 1344 (nella foto in alto con sullo sfondo il campanile di San Pietro), le chiese più importanti tra cui il Duomo (la sua animata piazza nella foto sopra a destra) il castello che dà sul fiume, quel che  rimane delle mura di fortificazione, la zona dell’arsenale e la “Porta Svedese” (foto in basso), quindi la Torre delle Polveri, l’unica sopravvissuta delle 18 che facevano parte della cinta muraria. Lì a due passi, gli splendidi palazzi della Gilda Grande e della Gilda Piccola, quest’ultima visitabile, con facciate  Jugendstiel ma risalenti al XIV secolo, in buona parte conservate con elementi originali. Erano, per l’appunto, corporazioni di commercianti e artigiani germanici: per dispetto per non esservi accolto, all’inizio del Novecento un commerciante lettone fece collocare le statue che riproducevano i suoi due gatti neri, schiena arcuata e coda ritta, con il posteriore rivolto in direzione del palazzo della Grande Gilda, in cima alla sua nuova magione Liberty tinta di giallo canarino. In seguito a una lunga vicenda giudiziaria la sua candidatura venne finalmente accettata, a patto che ruotasse la posizione dei due gatti, da allora vero simbolo di Riga, in posizione più consona. Tante le curiosità e le cose da vedere in questa città stimolante, spigliata, intraprendente e positiva, la cui visita ci ha lasciato completamente soddisfatti. E domani si prosegue in direzione della capitale lituana, Vilnius.La Porta Svedese

domenica 5 luglio 2009

L'anima estone sull'isola di Saarema

Faro a Säare, Saarema, EstoniaRIGA (Lettonia) - Partiti da Tallin in una fresca mattinata di sole, da ieri mattina è iniziata la lenta discesa verso Sud. Evitando la costa Nord-Occidentale, ci siamo diretti su Haapsalu, già nota città termale e di soggiorno balneare fino agli inizi del secolo scorso, che ora sta tentando di tornare ai fasti del passato. Atmosfera estremamente rilassante, con le sue viuzze strette e le case di legno, la ragione della visita era però la fortezza vescovile. Il primo nucleo, chiamato “piccola fortezza”, venne fatto erigere dal vescovo feudatario nel 1265 e completato nei due secoli successivi, mentre il Piiskopilinnus, o castello vero e proprio, che si trova all’interno delle possenti mura, venne costruito invece tra il 1641 e il 1647 insieme alla cattedrale gotica. Da qui a Virtsu, dove ci si imbarca verso l’isola di Muhu, mezz’ora di traghetto, a sua volta collegata con un ponte a quella di Saareema, la più grande dell’Estonia e la seconda del Mar Baltico dopo quella di Gotland, in Svezia. 35 mila abitanti di cui 16 mila nel capoluogo Kuressaare, nella parte sud-occidentale, dove ci dirigiamo direttamente. La strada attraversa l’interno, e il panorama non cambia un granché rispetto alla terraferma: boschi di betulle misti a conifere,  campi di grano, improvvise macchie di un giallo violento, forse colza. Un aspetto poco isolano e marittimo, che sia a me sia al "Segretario" ha ricordato sotto molti aspetti l'irlanda. Ci si domanda dove siano questi abitanti: i dati ufficiali sembrano troppo generosi, ma ci accorgiamo che molte abitazioni sono letteralmente immerse nella foresta, non costruite ai margini dell’arteria principale, in modo disperso. Una volta sistematici a  Kuressaare, alla fine dell’Ottocento meta turistica dell’aristocrazia russa e non solo dopo la scoperta della presenza di fanghi curativi, imbocchiamo la strada costiera verso Sud-Ovest, che però tale non si rivela perché non si intravede ma il mare fino a quando non si giunge alla punta estrema della Penisola di Sövre, a Saäre, dove si trovano l’imponente faro, alcuni resti di postazioni sovietiche e alcuni bagnanti. In compenso transitiamo per alcuni borghi come Mandala, Anseküla e Salme, ridenti nonostante il nome che portano. Torniamo quindi verso Nord lungo la costiera occidentale della penisola, questa volta con più opportunità di vista-mare, incontrando alcuni lunghi tratti di strada sterrata e dove gli abitati che attraversiamo, come Jämaja, regolarmente segnati sulla cartina, sembrano villaggi-fantasma.  Però abbiamo l’opportunità di fotografare uno dei rari mulini a vento superstiti delle centinaia che erano attivi sull’isola fino all’inizio del secolo scorso, senza pale ma se non altro autentico: ve ne sono altri, perfino ridipinti con Säare, Saarema, Estoniasembianze umane, chiaramente posticci. Dopo aver avvistato una volpe che attraversava la strada e poco dopo probabilmente una cinghialessa con annessa prole intenta a compiere la stessa operazione, abbiamo incontrato anche un contadino che spingeva sorridente la carriola traboccante di fieno appena rastrellato. E’ stato immediatamente battezzato “Il Felice Contadino Estone” dall’ineffabile Segretario, ieri in una fase di creatività didascalica particolarmente fertile. Tra una fermata e l’altra sulla costa, dove notiamo che ci si dedica alla costruzione di innumerevoli tumuli di varia forma con la ghiaia della spiaggia, così come altrove ci si appassiona a quella dei castelli di sabbia, giungiamo a Kihelkonna, segnalato come il centro più abitato della parte occidentale dell’isola dopo il capoluogo. Atmosfera bucolica, una pregevole chiesa con un campanile altissimo circondata da alberi così imponenti e rigogliosi, in questa stagione, da rendere impossibile un’inquadratura completa. Accanto un bed & breakfast, dal cui camino si spargevano i fumi aromatici di un’inequivocabile attività di affumicatura di carne e di distillazione di liquori. Una decina di case, prevalentemente in legno, sparse nei dintorni, con giardini pieni di piante da frutto, curatissime e adornate di fiori e nient’altro. A Veere, circa a metà di un’altra penisola che si protende sul versante nord-occidentale di Saareema, le uniche costruzioni appartengono a una dogana-merci che parrebbe in fase di dismissione. A Mustjala, come a Kihelkonna, un’altra chiesa deliziosa in mezzo a una Piiskplillinus di Kuressaaredecina di case sparpagliate, e quindi a Tagaranna, all’estremità settentrionale di Vinose Pank (Punta Vinose), con vista su Panga Pank, l’unico luogo di Saarema in cui le coste hanno forma di scogliera. Transitando ancora per Valjala, al centro dell’isola, con un’altra notevole chiesa gotica in mezzo a un borgo sonnolento, siamo rientrati a Kuressaare per l’ora di cena, domandandoci dove potessero essersi cacciati i sedicimila abitanti della cittadina, perché l’impressione è stata che ci fossero soltanto turisti, poco numerosi e in buona parte finlandesi. Oltretutto è la stagione migliore, perché in agosto l’estate, a queste latitudini, volge ormai decisamente al termine. Un ultimo accenno alla gastronomia: si trovano piatti locali come zuppe di crauti, di fagioli o a base di panna acida, così come sapidi arrosti di maiale, piatti di cinghiale e di alce, oltre agli immangabili "pankuki", crêpes dai ripieni più vari; ma  sono presenti anche i fast food, all'americana, e qualcosa che chiamano pizza nonché piatti di pasta sono purtroppo reperibili ovunque. Deliziose le fragole da coltivazione e quelle di bosco, in quantità industriali, nonché i mirtilli, venduti spesso lungo le strade ma anche nelle città direttamente da chi le ha raccolte. A prescindere dal tono un po’ ironico sulla rarefazione degli abitanti, l’ambiente particolarmente agreste e la vita sociale poco frenetica, Saarema è il luogo ideale per chi cerca una vacanza a contatto con la natura, detesta avere rompiscatole attorno, ama fare passeggiate ed è un vero paradiso per i cicloturisti, e infatti ne abbiamo visti tanti di ogni età. La struttura alberghiera è più che adeguata per qualsiasi esigenza, volendo andare al risparmio ci sono anche campeggi, spesso dotati di bungalow, e anche chi si muove in camper non troverà problemi. Senza dimenticare che qui si ritrova probabilmente l’anima estone più autentica, considerato che l’isola è sempre stato l’ultimo posto occupato dalle potenze straniere, come documenta la ricca esposizione che si può visitare nel suggestivo Piiskopillinus di Kuressaare, un'altra fortezza vescovile perfettamente restaurata e conservata (foto più in alto, a destra)

sabato 4 luglio 2009

Tallinn, severa e lieve, un pezzo di medioevo lanciato nel futuro


TallinnTALLINN - La capitale dell'Estonia e principale porto del Paese, a soli 80 chilometri da Helsinki e da sempre centro commerciale sulla rotta fra Russia e Scandinavia, è una città vivace, giovane, che fonde in un insieme armonioso la città vecchia, d'impronta medievale e restaurata con cura negli ultimi decenni, all'interno dell'antica cinta muraria in buona parte ben conservata, e la parte più moderna, commerciale, che si estende intorno. 400 mila abitanti, la città ha conosciuto negli ultimi anni un ulteriore sviluppo del suo porto, soprattutto passeggeri, con un notevole intensificarsi dei traghetti da e verso la Scandinavia. In pieno sviluppo il settore informatico, tanto da essere stata definita qualche anno fa dal New York Times come una sorta di "Silicon Valley sul Ma Baltico". La riprova si ha con la conessione Wi-Fi, quasi sempre gratuita, e velocissima, disponibile pressoché ovunque. Molti turisti in questo periodo, anche per via di un festival di musica folcloristica che si chiudeva giovedì sera: la piazza del Municipio e le vie adiacenti mi hanno ricordato Praga, non solo per lo stile architettonico ma anche per il brulicare di turisti. Non solo finlandesi, russi, e svedesi ma anche tedeschi, spagnoli, francesi e italiani, spesso sbarcati durante il giorno dalle navi da crociera che fanno tappa qui nel giro delle città baltiche. Con la speranza che non diventi presto infrequentabile come la capitale ceca e un baraccone turistico. Alcuni segni in questo senso si vedono già: i prezzi sono relativamente alti, i negozi di ciarpame suoveniristico spuntano come funghi (e anche i primi indiani specializzati nella vendita di cappellini, bandierine, magneti e bamboline), si paga per vedere ogni cosa e non poco per gli standard locali: la media è di due o tre euro di ingresso, il più delle volte anche per le chiese. Con orari di chiusura abbastanza assurdi in questa stagione: alle 17 quando il sole è ancora alto, e le giornate si protraggono all'infinito. Ristoranti e locali a profusione, di ogni tipo, non è scomparsa una vera e propria cultura del caffè tipica della città: ce n'è per tutti i giusti. Come non è passata la passione per il canto, che accomuna le tre nazioni baltiche e ne costituisce l'anima: non è raro imbattersi in cori per strada, anche a presindere dai festival, e vedere persone di ogni età spostarsi vestiti in costumi tradizionali con dietro gli strumenti. D'altronde esiste uno stadio del canto, lungo la costa, capace di contenere 150 mila spettatori. La storia è quella tipica delle città baltiche, passate da un dominio all'altro: danese, russo, svedese ma soprattutto segnate dall'aver fatto parte della Lega Anseatica, per cui l'influenza tedesca è stata molto forte: Reval è il nome in quella lingua, spesso usato dai locali. Katarina KäikNella parte più interna della città vecchia (nella foto a destra uno scorcio di Katarina Käik) fino alla fine dell'Ottocento vivevano esclusivamente maggiorenti tedeschi, in quella vecchia commercianti in prevalenza germanici, e fuori dalle mura la allora minoranza estone. In seguito, un marcato tentativo di russificazione, che raggiunse il suo culmine in era sovietica, dal 1944 al 1989. E ancora oggi la presenza di un 35% circa di popolazione russa, ma nata qui o magari già alla seconda o terza generazione, crea qualche problema. Per ottenere la cittadinanza estone ed essere naturalizzati, i russi hanno dovuto sostenere un esame nella lingua locale, e la popolazione è calata del 20% dal 1991, data dell'indipensenza estone, ma anche ora il russo è la lingua che più si sente palare tra le persone di condizioni più modeste. Che sono anche quelle che più hanno subito la crisi degli ultimi anni: con i prezzi che corrono attualmente, i salari mensili medi tra i 500 e i 600 € e i sussidi di disoccupazione sui 350 per il primo anno non consentono di scialare, e spesso le merci acquistate in Finlandia e Svezia sono più convenienti di quelle in vendita qui, oltre che di qualità superiore. Il doppio lavoro è pratica diffusa, ma non ho visto gente né triste né eccessivamente preoccupata, e questo è segno di vitalità. La città vecchia, come dicevo, è incantevole e merita un paio di giorni di visita. Ha subito gravi danni durante l'ultima guerra ma è stata ricostruita con infinito amore e si vedono i risultati: nulla che risulti improvvisato o, peggio, posticcio. A parte le mura turrite e le guglie slanciate che caratterizzano il profilo della città, spicca Raekoja Plats (piazza del municipio) dominata dal palazzo comunale, su cui sovrasta una torre che può ricordare un minareto in cima alla quale il "Vecchio Tommaso", un buffo soldato armato di picca in metallo che funge da segnavento, sorveglia la città da centinaia d'anni e ne è diventato il simbolo. Nella piazza una delle più antiche farmacie del mondo, ancora in attività e con un piccolo ma interessante museo (per una volta gratuito) e nelle vicinanze chiese notevoli tra cui primeggia quella straordinaria del Santo Spirito, quindi Sant'Olaf, il Monastero Domenicano, San Pietro e Paolo, quella gotica di san Nicola, fatta erigere dalla corporazione dei commercianti germanici, dove sono conservate la quattrocentesca "Danza macabra" opera del tedesco Berndt Notke e una collezione di opere, tele ma Gilda delle Teste Nereanche trittici in legno e statue, provenienti dalle chiese medievali estoni. Nella parte bassa della città, notevoli i palazzi delle "gilde", o corporazioni, raccolte nella stessa via, a farsi concorrenza tra loro e competere per possedere la sede più prestigiosa (a sinistra, il portale della Confraternita delle Teste Nere, il cui fondatore era un moro convertito al cristianesimo). Infine a Toompea, in cima alla collina, a sua volta murata, che al tempo del regno germanico era riservata al vescovo e alla nobiltà feudale (e rimase "tedesca" anche fino a epoche recenti), oltre alle torri più caratteristiche, come quella della Vergine e la "Kiek-in-de-Kök" (letteralmente "guarda in cucina" in basso tedesco), l'imponente e suggestiva cattedrale Russo-Ortodossa Alexaner Nevskji, una delle tante costruite alla fine dell'Ottocento nel primo tentativo, accennato sopra, di "russificare" le province baltiche. In cima alla collina anche il neoclassico palazzo del Parlamento e una serie di belvedere da cui ammirare il panorama della città. Le attese mie e del "Segretario" non sono certo andate deluse. 

mercoledì 1 luglio 2009

Fortezze e castelli della Lettonia e il Lenin deposto


Bauskas Pils - LitvaTARTU (Estonia) - Superata d'un balzo la Lituania, l'altroieri, nel giro di sei ore da Bialystok, la prima presa di contatto con i Paesi Baltici, considerata la totale assenza di controlli alle frontiere, è avvenuta a Bauskas, con una temperatura di 30 gradi all'ombra, la gente che gira in prendisole se non direttamente in tenuta da spiaggia e che affolla le rive dei fiumi, e dove abbiamo provveduto a fare un primo bancomat in moneta locale. Siamo nello Zemgale, nel cuore della Lettonia, a Sud di Riga, regione che prende il nome dall'antica popolazione dei semigalli (che però coi galli nostrani non c'entrano nulla, per quanto indoeuropei). In centro la prima visita è stata al "pils", o castello, cittadino, appartenuto all'ordine dei Cavalieri Teutonici, da essi stessi costruito alla metà del XV secolo e modificato man mano nel loro stile pressoché inconfondibile (foto in alto). A una decina di chilometri di distanza, a Rundales, il "palazzo d'inverno" lettone, la residenza estiva dei duchi di Curlandia, un magnifico palazzo disegnato dall'architetto italiano Francesco Bartolomeo Rastrelli, allora attivo a San Pietroburgo, e che da lì fece venire le maestranze, e che fu costruito in due fasi tra il 1735 e il 1768, commiettente Ernst Johann Biron. Un maestoso edificio barocco con elementi rococò, oggi sede di esposizione permanente delle varie sale arredate e rdelle accolte dei duchi, e sul suo retro uno splendido e curatissimo giardino all'italiana che in questa stagione e nelle condizioni meteorologiche attuali è un'esplosione gioiosa di colori. Ultima visita nella zona, quella alla residenza nobiliare realizzata alla tra il 1797 e il 1802 in stile neoclassico dal berlinese Johann Berlitz su progetto di Giacomo Quarenghi e poi donato dallo zar Paolo I alla governante dei suoi figli, Charlotte von Lieven e appartenuta a quest'ultima famiglia fino al 1937. In epoca comunista, vi fu installata un'azienda agricola. Venne restaurata alla fine degli anni Novanta e il terzo piano del palazzo trasformato in albergo di charme. E tale sarebbe, se il ristorante non fosse desolatamente chiuso e a presidiare il palazzo non fosse rimasto un personaggio inquietante e dall'aspetto malsano che funge da cassiere del museo e factotum, che ricorda l'Igor del film Frankenstein e incarna il perfetto sopravvissuto all'epoca del passato regime. Fortezza di TuraidaNon a caso, russofono. In serata siamo arrivati e abbiamo pernottato a Jeglava, già capitale del ducato di Curlandia e oggi tranquillo capoluogo provinciale di circa 60 mila abitanti, ma dalla viva tradizione culturale. Anche qui, nel castello sul fiume Lielupe, ha lasciato il segno l'architetto Rastrelli, per lo stesso committente del palazzo di Rundales, Ernst Johann Biron, un palazzo imponente che assomiglia ancor più a quelli pietrobughesi, oggi sede della facoltà di agraria della Lettonia. Sopravvissuto alle distruzioni della guerra e restaurate a regola d'arte l'edificio barocco dell'Accademia Petrina (dal nome del figlio del duca Johann Biron), per lungo tempo centro dell'attività culturale di Jelgava e ginnasio accademico, oggi sede museale. Questa mattina, sulla strada verso l'Estonia, sosta d'obbligo a Sigulda, capoluogo di quella che viene chiamata "Svizzera lettone" per via dei suoi rilievi (colline alte al massino 150 metri), all'ingresso del Parco Nazionale di Gauias, dal nome del fiume che l'attraversa. Anche qui tracce notevoli della presenza dei cavalieri teutonici: alle spalle del Castello Nuovo costruito a fine '800 in stile Tudor (a me e al segretario pareva Disneyland), i resti della possente fortezza dell'ordine, e di là dal fiume, a Turaida (cfr foto più in alto, a snistra), antico insediamento dei livi, popolo di origine finnica, la "riserva-museo" che comprende la fortezza del vescovo di Riga, in mattoni, restaurata a metà degli anni Cinquanta.Cesis-Buonanotte, signor Lenin Ultima sosta prima della frontiera estone, sempre nel cuore del Parco nazionale del Gauias, nella antica, vivace e ben conservata città di Cesis, fondata attorno al 1200 e a lungo capitale dell'Ordine dei Portaspada, che vi eressero la fortezza omonima oggi tra le rovine meglio conservate della Lettonia, poi sede dell'ordine di Livonia, trasferitovi a Cesis da Riga. In seguito fu anche città anseatica col nome tedesco di Wenden. Edifici d'epoca sulla piazza principale, tra cui spicca la chiesa gotica di San Giovanni, eretta alla fine del 13° secolo e distrutta da un incendio a metà del '700 e ricostruita allora nella forma visibile oggi. Nel parco che circonda invece i resti della fortezza, in parte restaurata e comunque agibili, abbiamo invece scoperto una statua in metallo di Lenin in perfetto stato, adagiata in una specie di sacrofago all'aperto, opportunamente accostata, per non dire nascosta, in un angolo sotto le mura di cinta. Fu deposta il 21 agosto del 1991, giorno in cui la Lettonia riconquistò l'indipendenza dall'Unione Sovietica, già dichiarata un anno prima. La citazione del magistrale libro "Buonanotte, signor Lenin" di Tiziano Terzani è d'obbligo!