tag:blogger.com,1999:blog-41668482625448479452024-03-14T07:18:06.117+01:00Abastomscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.comBlogger2014125tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-74136263103740702992024-02-07T17:21:00.005+01:002024-02-07T17:21:52.001+01:00Upon Entry - L'arrivo<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQbksqE2-6yYuaieUV1U-dm5hxUVUAaNUVLLIpZf722_vLl2_-BzMi8e0P6-z4f3BFkSDCUmBAPyTFvFjF3h1PXe-EqM5Vef2xgbMmYT337hT2F3OgNjwC2JUhOjQDUlx3gcRgmwyigBQ5c7SMqdtDJA8rwm15bqSZGdGlm5zKWbJUNc88Ps2veypaCSDB/s605/Upon%20Entry.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="605" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQbksqE2-6yYuaieUV1U-dm5hxUVUAaNUVLLIpZf722_vLl2_-BzMi8e0P6-z4f3BFkSDCUmBAPyTFvFjF3h1PXe-EqM5Vef2xgbMmYT337hT2F3OgNjwC2JUhOjQDUlx3gcRgmwyigBQ5c7SMqdtDJA8rwm15bqSZGdGlm5zKWbJUNc88Ps2veypaCSDB/w278-h400/Upon%20Entry.jpg" width="278" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"Upon Entry - L'arrivo" (La llegada) di Alejandro Rojas (III) e Juan Sebastián Vásquez. Con Alberto Ammann, Bruna Cusí, Laura Gómez, Ben Temple, Nuris Blu, David Comrie, Colin Morgan (II), Gerard Orms e altri. Spagna 2022 </span></b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★+</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Dedicato ironicamente a Donald Trump per la sua fissazione di erigere un muro al confine tra USA e Messico per impedire l'entrata di immigrati illegali nel Paese (che senza di essi chiuderebbe bottega nell'arco di pochi mesi), in un'ora e un quarto questo film d'esordio alla regìa della coppia ispano-venezuelana Rojas-Vázquez illustra in maniera esemplare cosa sono gli Stati Uniti e cosa sta diventando anche l'Europa, che ne segue pedestremente il preclaro esempio, nei confronti di chi arriva da fuori. In questo caso una coppia ispano-venezuelana (come gli autori): Elena, ballerina catalana e Diego, urbanista nato a Caracas con passaporto spagnolo che, uniti un unione civile e avendo convissuto alcuni anni a Barcellona, intendono stabilirsi a Miami dopo che lei ha vinto la <i>Green Card Lottery</i> (una trovata che già definisce chi l'ha ideata). Durante uno scalo a Newark, nel New Jersey, vengono bloccati dagli agenti dell'immigrazione per un controllo, pur essendo in possesso di tutta la regolare documentazione richiesta, e fermati per ulteriori "approfondimenti". Inizia un calvario, perché vengono isolati, non viene inizialmente data loro alcuna spiegazione, perdono ovviamente il volo in coincidenza ma capiscono presto che non è il caso di protestare davanti all'atteggiamento arrogante dell'uomo in divisa che hanno davanti e dei suoi colleghi in borghese più alti in grado e addetti agli interrogatori. Viene loro impedito ogni contatto con l'esterno, fatti spegnere i cellulari, sequestrati <i>notebook</i> e<i> tablet </i>(richiesta anche la password per sbloccarli e accedervi), vengono isolati in uno stanzino e sottoposti a una vera e propria inquisizione, una sorta di tortura psicologica con sui si dedicano con evidente sadismo una funzionaria di origine ispanica (ancora più incarognita perché si ritiene al corrente di tutti i "trucchi" usati per ottenere l'agognato visto di ingresso e soggiorno nella "Terra delle opportunità") e il suo socio, interrogati separatamente e poi di nuovo assieme nel tentativo, riuscito, di seminare dubbi anche sul loro rapporto. Perché sanno già tutto, sono al corrente di dettagli della loro vita privata e famigliare, usano ogni appiglio per metterli in difficoltà: un'autentica tortura psicologica. Alla fine di questo incubo, li faranno entrare: Welcome in The United States. Ma a che prezzo? Una pellicola claustrofobica, girata in soli 17 giorni e con poche prove, di cui sono interpreti straordinari </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Alberto Ammann e Bruna Cusí, che meritano entrambi un encomio così come i due registi: la sceneggiatura si basa sul racconto di fatti veri accaduti a conoscenti e amici degli autori, così come degli attori, e a loro stessi, e chiunque abbia avuto la sventura di mettere piede in quel Paese incivile, sa per esperienza cosa lo aspetta quando arriva al controllo passaporti anche da semplice turista, con regolare visto d'ingresso: personale che ti guarda con aria schifata e con disprezzo, comportamento tracotante e spesso insolente, cavillosità, supponenza, rischio concreto di perdere coincidenze, figurarsi cosa deve affrontare chi ha l'ardire ci volersi stabilire in uno schifo di Paese del genere. Personalmente non li capisco proprio questa smania di andarci a viver e tendo a non solidarizzare con chi si fa abbagliare dal "mito americano" che poi si traduce solo in una cosa: il dollaro. Io ci sono stato due volte, due <i>stop-over</i> prolungati diretto a Sud, l'ultima 20 anni fa, e ho giurato a me stesso di non rimetterci piede per nessun motivo, nemmeno per uno scalo intermedio. Spero soltanto che gli USA vadano a fondo, possibilmente senza tirarsi dietro anche noi. </span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-85190117243731947832024-02-05T17:33:00.003+01:002024-02-05T17:34:42.525+01:00Una isla<p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2nDL73MJ6-62ra1VsLe5caYupQM5hO5GbO_0Ve4Zva5cAQXnngQwkK7rM7owScK06OrHLsfLacZyf0oINvHnMH3KWN33aL3hincwEcQVxwGuAjNE1M2funHELr-cotg5-yvAJ-mDjlGdK-fZLKmKqM2FP5cmCoGvHkColSWV2TDV0kQ1tsnoc2EYL4LeI/s2110/Una%20isla%201.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1164" data-original-width="2110" height="354" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2nDL73MJ6-62ra1VsLe5caYupQM5hO5GbO_0Ve4Zva5cAQXnngQwkK7rM7owScK06OrHLsfLacZyf0oINvHnMH3KWN33aL3hincwEcQVxwGuAjNE1M2funHELr-cotg5-yvAJ-mDjlGdK-fZLKmKqM2FP5cmCoGvHkColSWV2TDV0kQ1tsnoc2EYL4LeI/w640-h354/Una%20isla%201.jpg" width="640" /></a></b></span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><br />"Una isla" / Agrupación Señor Serrano. Regia e drammaturgia di Àlex Serrano e Pau Palacios; assistente Carlota Grau. Con Lia Coelho Vohlgemuth, Sara Montalvão, Bartosz Ostrowski, Carlota Grau; scenografia e costumi Xesca Salvà; disegno luci Cube.bz; musiche Nico Roig; coreografia Núria Guiu; creazione video olografico David Negrão; programmazione video David Muñiz. Produzione </b></span><span style="background-color: white; caret-color: rgb(51, 51, 51);"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b>GREC Festival de Barcelona, Câmara Municipal de Setúbal, Rota Clandestina, Festival Internacional de Teatro de Expressão Iberica (FITEI), Centro Cultural CondeDuque, Laboratorio de las Artes de Valladolid (LAVA), CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Festival delle Colline Torinesi, Feikes Huis, SPRING Festival, Departament de Cultura de la Generalitat. </b></span></span><b style="caret-color: rgb(51, 51, 51); color: #20124d; font-family: helvetica;">Al Teatro Palamostre di Udine per CSS Teatro Contatto sabato 3 febbraio 2024</b></span><p></p><p><span style="caret-color: rgb(51, 51, 51); color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">La prima sorpresa entrando in sala è il palcoscenico completamente deserto: <i>Agrupación Señor Serrano</i> sono vecchie conoscenze del CSS Teatro Contatto, che coproduce gli spettacoli del gruppo catalano, la sala è colma e il pubblico è abituato a vedere la scena occupata da video, modellini in scala, telecamere, membri del gruppo che si danno da fare con le varie apparecchiature elettroniche o semplicemente cazzeggiano in attesa di dare inizio alla <i>performance</i>. Invece, il vuoto: un fondale nero. Si rivelerà uno schermo, dopo che è entrata in azione Lia Coelho Vohlgemuth che, non cambiando mai espressione per tutta la durata della rappresentazione, si esibirà, instancabile, in esercizi ginnici che che si risolvono in un fluido <i>stretching</i> con movenze che ricordano lo yoga e il <i>tai chi</i> mentre sullo schermo si svolge la conversazione, per iscritto, fra la compagnia (Joel) e l'Intelligenza Artificiale (Aisha). Perché la <i>Agrupación</i>, come spiegherà dopo lo spettacolo Pau Palacios, storico sodale di Àlex Serrano, nell'intento di intraprendere strade diverse da quelle già percorse, ha voluto provare a interagire con essa per verificare se fosse possibile creare uno spettacolo assieme. Spettacolo che ruota, per l'appunto, sull'incontro tra realtà diverse: come si reagisce quando si entra in un territorio che non si conosce, un'isola, per esempio, in contatto con l'altro, completamene diverso da noi? Magari un gruppo coeso, e si è in minoranza? Fino a che punto si può arrivare nella ricerca di un terreno comune? Questo vale anche per l'interlocuzione con l'IA, che sarà pure il "raccoglitore" di tutta la conoscenza elaborata dall'uomo nel corso dei millenni, ma non ne ha l'esperienza sensoriale, che è fondamentale non solo per intendersi ma per lavorare a uno scopo "condiviso", per quanto la rappresentazione teatrale che di questa forma di “cooperazione” è il frutto, alla fine ne sia il risultato tangibile, lasciando ovviamente senza risposta tutte le domande che il pubblico, come gli autori, si pongono a proposito di questa "collaborazione". Quando sul palco si forma una bolla in cui si agitano, a ritmo completamente diverso dal suo, altri tre <i>performer</i>, la “ginnasta” apparsa per prima inizialmente vi gira attorno perplessa, poi decide di entrarvi ma i suoi movimenti risultano inevitabilmente fuori sincrono con quelli degli altri; quando alla fine </span><span style="font-size: large;"><span style="caret-color: rgb(51, 51, 51); color: #20124d; font-family: helvetica;">a questo gruppo già eterogeneo </span><span style="caret-color: rgb(51, 51, 51); color: #20124d; font-family: helvetica;">si aggiunge una moltitudine di colorati "fanatici" del rugby che circonda le due realtà già presenti sul palco, quindi con modalità e dinamiche proprie e completamente estrane, la confusione diventa totale e si dovrà trovare un sistema di convenienza nello stesso spazio in cui ora si trovano a coesistere tre mondi (o modi di essere) completamente differenti. Ci si riuscirà? Domanda senza risposta. 65 minuti tirati, ipnotici, che ti inchiodano sulla sedia e ti coinvolgono; cambiamenti improvvisi, ologrammi che compaiono, trasformano volti e li fanno diventare altro; spuntano immagini di isole tropicali (dove secondo l'IA potrebbe pure nevicare) ma anche di alcune opere d'arte significative; la musica, intesa soprattutto come ritmo, spesso forsennato, è sempre una componente fondamentale nelle sperimentazioni del gruppo teatrale catalano a rappresentare il quale, come accennato sopra, si è presentato dopo lo spettacolo (applaudito calorosamente ma che ha forse lasciato tra il sorpreso e il perplesso una parte del pubblico) Pau Palacios, che si è intrattenuto coi presenti per un'ora abbondante, con una disponibilità rara ed esprimendosi in un italiano esemplare. </span></span><i style="caret-color: rgb(51, 51, 51); color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;">Hasta pronto!</span></i></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-8391252619633726532024-02-03T13:05:00.000+01:002024-02-03T13:05:02.325+01:00Povere creature - Poor Things<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3akbmaiGThNslebqengK5Vz3EuIgygdhGh_w2B7o4uxbLL0TYERDJ760M1yKmcGqtKEY0UtMjNTB29dlomUZ8ezDRrjzqe7AasC-wQos_GOCPL70e8iQR4zvmlLoRbqnfiNFKdy8kK6ZOMPNZcLMqRF8d4uvS3D25F0S7CnZAMuN5a86ArAGZxjjocFAi/s738/Povere%20creature!.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="738" data-original-width="591" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3akbmaiGThNslebqengK5Vz3EuIgygdhGh_w2B7o4uxbLL0TYERDJ760M1yKmcGqtKEY0UtMjNTB29dlomUZ8ezDRrjzqe7AasC-wQos_GOCPL70e8iQR4zvmlLoRbqnfiNFKdy8kK6ZOMPNZcLMqRF8d4uvS3D25F0S7CnZAMuN5a86ArAGZxjjocFAi/w320-h400/Povere%20creature!.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"Povere creature - Poor Things" (Poor Things) di Yorgos Lanthimos. Con Emma Stone. Willem Dafoe, Mark Ruffalo, Ramy Youssef, Christopher Abbott, Hannah Schygulla, Jerrod Carmichael, Suzy Bemba, Margaret Qualley, Cathrin Hunter II, Damien Bonnard e altri. USA 2023 </span></b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★★</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Eh sì, qui siamo proprio a livelli altissimi, e per una volta il <i>Leone d'Oro</i> dell'ultima <i>Biennale Cinema </i>di Venezia è stato assegnato al film che lo meritava: Yorgos Lanthimos si conferma ancora una volta un regista geniale quanto fuori dagli schemi, che sa scegliersi gli interpreti più adatti per i suoi personaggi particolarmente ostici e a cui lascia, con tutta evidenza, lo spazio che serve loro per ritagliarseli addosso. E' il caso, innanzitutto, di una strepitosa Emma Stone (già sodale dell'autore greco ne <a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2019/01/la-favorita.html"><i>La Favorita</i></a> e qui anche nella veste di co-produttrice), che ritengo la più intelligente e talentuosa attrice della sua generazione, e poi di un grandioso Willem Defoe, la cui bravura conosciamo da decenni, alle prese con due versioni di Frankenstein: padre e figlia, con le relative "deformazioni", fisiche e mentali; ma anche Mark Ruffalo è all'altezza, nei panni di una sorta di<i> gagà</i> dell'Epoca Vittoriana. Siamo a cavallo tra XIX e XX Secolo a Londra e God(win) Baxter, scienziato positivista, chirurgo di perizia ineguagliabile, nonché eccentrico e anticonformista, si dedica alla sperimentazione più audace essendone lui stesso stato "vittima" da parte di suo padre, da cui ha ereditato mestiere, competenze, tare di ogni genere ma soprattutto la spregiudicatezza intellettuale. Il suo capolavoro è Bella, trovata cadavere dopo essersi suicidata gettandosi nel fiume da un ponte, e riportata in vita innestandole il cervello del feto, ancora vivente, che portava in grembo. Il risultato è l'organo di una bimba che si sta sviluppando nel corpo di una donna, senza subirne le limitazioni di ruolo: particolarmente "stringenti" ai tempi, ma che Lanthimos ci fa capire essere una costante nella storia dell'umanità, almeno quella "occidentale", fino ai nostri giorni compresi. C</span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">ome la Stone sia capace di esprimerne corporalità disarticolata, senza filtri, infantile entusiasmo e amoralità, anche nelle movenze, è prodigioso, in questa fase di "formazione accelerata" da parte di Bella e di presa di coscienza del proprio corpo e delle sue pulsioni. Il suo è un percorso di graduale "crescita", che la porterà a sperimentare qualsiasi cosa senza filtri morali con una razionalità lucida e una logica impeccabile ereditate dagli insegnamenti di "God" che, considerandola del tutto umana e dotata di Libero Arbitrio, non le impedirà di "conoscere il mondo" e di cimentarvisi a sua volta e, benché a malincuore, le consentirà di prendere la sua strada. </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Perché Bella, pur promessa sposa a un fidanzato a cui vuole bene (Max, l'allievo prediletto e assistente di Godwin, a cui dà il volto Ramy Youssef) vuole provare a sua volta qualsiasi aspetto della vita "là fuori". Godwin la lascerà andare, </span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">a costo di lasciarla tra le braccia di una sorta di Dongiovanni da strapazzo (l'avvocato Duncan Wedderbrun), bellimbusto col quale attraverserà il Mediterraneo a bordo di una nave da crociera, conoscerà persone che le apriranno gli occhi, per esempio facendole conoscere la povertà e lo sfruttamento del prossimo (delizioso il Cameo della mitica Hanna Schygulla nei panni di una anziana e saggia crocierista che la introduce all filosofia). Vedrà Alessandria, Atene, Marsiglia, dove faranno sbarcare lei e Duncan perché lei ha donato tutti i suoi averi ai poveri mentre lui ha perso i suoi al gioco) e da lì andrà a Parigi, dove atterrerà in un bordello in cui eserciterà pure, in modo sperimentale e "illuminato", il mestiere della meretrice. Lì conoscerà Toinette, e con lei sia i piaceri dell'amore saffico sia il socialismo. Su invito di God(win), ormai malato terminale, e Max tornerà a Londra, riconciliandosi col suo mentore e decide di diventare anche lei medico. Mentre sta per sposarsi con Max, che la ama e l'accetta per quello che è, compresa una vita sessuale variata oltre che vivace, riappare anche il marito di quando era la donna suicidatasi per sfuggire proprio al matrimonio e a una gravidanza indesiderata, il generale Alfie Blessington, imbecille come soltanto un militare di carriera può essere, che per tenerla sotto controllo pretende di imporle la clitoridectomia, ma sarà il suo cervello a fare una brutta fine, scambiato con quello di una capra, così non potrà andare alla polizia per accusarla di averlo ferito. Quando God(win) morirà, sarà lei a sostituirlo, novella Dottoressa Frankenstein, e vivranno tutti felici e contenti, Bella, Max e Toinette, nella magione dei Baxter. Fantasiosa l'ambientazione, un fumetto a colori elaborato come in un romanzo grafico (latro che Wes Anderson...), che riflette luoghi e situazioni visti con gli occhi di un bambino, mentre altre parti sono girate in un bianco e nero molto suggestivo; la fotografia, va da sé, è eccellente come in ogni lavoro di Lanthimos, e adeguata è la colonna sonora. Un gran bel film, femminista, libertario e liberatorio, e pure divertente: da non perdere. </span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-87895008362288029792024-01-31T10:48:00.001+01:002024-01-31T10:48:39.902+01:00Il cielo brucia<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEit68ZF6COiYDm2StJaU1yKRMAgR6K11U3KSiikR5dIjz58rw_AzMMsBiSrz4X-k9yb0prQDldn48VvTY7jMEcBa5QdAjWhDyh0gQz4dMrZ0vM7sW_BYMN6IfkqNwmwlWs57ieT36A0aA-4RELNP72Syu7oJA5puY2Ci0DkzByM-zmXzv29GM6OU2pgIYN0/s600/Il%20cielo%20brucia.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEit68ZF6COiYDm2StJaU1yKRMAgR6K11U3KSiikR5dIjz58rw_AzMMsBiSrz4X-k9yb0prQDldn48VvTY7jMEcBa5QdAjWhDyh0gQz4dMrZ0vM7sW_BYMN6IfkqNwmwlWs57ieT36A0aA-4RELNP72Syu7oJA5puY2Ci0DkzByM-zmXzv29GM6OU2pgIYN0/w280-h400/Il%20cielo%20brucia.jpg" width="280" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Il cielo brucia" (Roter Himmel) di Christian Petzold. Con Thomas Schubert, Paula Beer, Langstom Uibel, Enno Trebs, Matthias Brandt e altri. Germania 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★1/2</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Sempre emotivamente coinvolgente, il cinema di Christian Petzold, che riporta a superficie sensazioni profonde toccando corde che hanno a che fare con il lato più autentico di noi, per quanto lo so voglia tenere nascosto: non si fa fatica a identificarsi con almeno uno dei personaggi dei suoi film e nelle situazioni in cui vengono a trovarsi nella vita quotidiana dove, per un motivo o per l'altro, compiono scelte decisive in base a eventi imprevedibili o a un qualcosa che incombe dall'esterno. In questo caso abbiamo due amici berlinesi, Leon (il viennese Thomas Schubert, bravissimo) e Felix (Uibel), che vanno a trascorrere alcuni giorni nella casa di vacanze della famiglia di quest'ultimo: Leon per finire di lavorare al suo secondo romanzo, Felix al <i>portfolio</i> da allestire per essere ammesso all'Accademia di belle arti; un edificio circondato mezzo da un bosco sulla costa del Mar Baltico, quasi al confine con la Polonia, e il programma è una sorta di villeggiatura operosa per entrambi. La prima sorpresa è che la loro auto va in panne e si blocca obbligandoli a raggiungerla a piedi, lungo un percorso disagevole, di cui solo Felix conosce le scorciatoie, e quando arrivano, trovano tracce evidenti della presenza di qualcun altro nell'alloggio, benché non ci sia nessuno: si tratta Nadja, un'amica della madre di Felix, che si è dimenticata di avvertirlo. Una presenza che restringe gli spazi vitali, già angusti, di cui si accorgeranno di notte per i movimenti e i gemiti provenienti dalla stanza accanto alla loro, quando la ragazza e il suo occasionale amico (Devid, un tipico <i>Ossi</i>, ovvero ex DDR, </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">come si evince anche dal nome, opportunamente teutonizzato</span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">) si danno da fare. Il disagio in Leon cresce, assieme alla curiosità nei confronti dalla fantasmatica fanciulla, per cui prova un misto di avversione, gelosia e attrazione prima ancora di incontrarla di persona, mentre Felix si adegua, la prende alla leggera, fa conoscenza anche con Devid e ne finisce attratto, pensa più a rilassarsi, andare in spiaggia, occuparsi della cena, condividerla coi nuovi amici, mentre Leon si isola via via sempre si più, diventa scontroso, sgradevole. La motivazione apparente è l'impegno lavorativo, in realtà non fa nulla, cincischia, va in spiaggia, vi si addormenta vestito e non fa nemmeno un bagno, il tutto perché è in crisi e </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">si avvita su sé stesso, refrattario a chi e a cosa lo circonda perché in fondo </span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">sa di avere scritto una merda e che </span><i style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Club Sandwich</i><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">, il suo secondo lavoro, non funziona. A certificarlo sarà proprio Nadja, che man mano si "materializza" e la conosciamo meglio (la interpreta la splendida Paula Beer, già protagonista di </span><i style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2020/09/undine-un-amore-per-sempre.html">Undine</a></i><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">), a cui fa leggere il manoscritto, e il suo giudizio lo manda in crisi definitivamente, proprio alla vigilia della visita di Helmut, il suo editore, per una revisione del romanzo. E glielo conferma quest'ultimo, che trova molto più interessante il lavoro fotografico di Felix, fatto nei ritagli di tempo, seguendo un'idea, e parlare con Nadja della sua tesi di dottorato: Leon, finora, l'aveva ritenuta una semplice gelataia avventizia, stagionale in un albergo, mentre invece studia letteratura, e memorabile sarà la recitazione della Beer, ripetuta due volte, </span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">di<i> Der Asra</i>, una delle<i> Historien</i> di Heinrich Heine. Nel frattempo gli incendi boschivi nei dintorni si fanno incombenti, l'aria si arroventa, il cielo si arrosa e i passaggi del <i>Canadair</i> diventano sempre più frequenti, ma Leon pare non accorgersene, finché non lo toccherà una doppia tragedia che, forse, lo riporterà alla realtà e in contatto col prossimo, e troverà l'ispirazione per scrivere qualcosa di autentico e non in preda a solipsismo parossistico. Il tutto sulle note dell'ipnotica <i>In My Mind</i> dei <i>Wallners</i>, gruppo<i> Indie/Pop</i> viennese come l'attore protagonista. Nonostante l'atemporalità, un vago senso di straniamento e sfasamento che però invece di annoiare tiene viva l'attenzione, il film ha qualcosa di ipnotico che agisce sottotraccia</span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">, e funziona. Encomiabili gli interpreti, Beer e Schubert su tutti, d'altronde li aveva scelti Simone Bär, scomparsa un anno fa, che del <i>casting</i> dei film di Petzold si era occupata fin dal 2000 (e, tra gli altri, anche di quello </span><i style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Bastardi senza gloria</i><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"> di Quentin Tarantino). Con <i>Il cielo brucia</i> Petzold ha conquistato l'<i>Orso d'Argento</i>, gran premio della giuria, all'ultima<i> Berlinale</i>; inizialmente pareva che fosse la seconda parte di una trilogia dedicata agli elementi: dopo l'acqua di <i>Ondine</i>, il fuoco. Congetture onanistiche del criticume prezzolato, che il regista ha ridicolizzato in un'<a href="https://www.hollywoodreporter.it/film/festival-e-premi/christian-petzoldsi avvita su sé stesso, refrattario a chi e a cosa lo circonda.-intervista-il-cielo-brucia-trama-cast-uscita-undine-trilogia/69293/">intervista</a> rilasciata quando questo suo ultimo lavoro era stato presentato al recente <i>Torino Film Festival</i> osservando che sulle spiagge baltiche del suo film, che evocano alcune altre di Rohmer o di Truffaut, oltre al fuoco troviamo già gli altri tre elementi, acqua-aria-terra (perché in tutto sono quattro e non tre), e così il cerchio risulta chiuso e potrà dedicarsi ad altro. Sicuramente la cosa giusta, conoscendolo. </span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-22966920555767909152024-01-28T18:51:00.002+01:002024-01-28T19:31:04.805+01:00Il punto di rugiada<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx8PVby4p9vLEKZvnI3g7h23Jh4AUeYVySPhIvo_J6YR9A7tJ6HFzDYfVxQb95awzKzkMFhAgJBavv9vdaTlZMyqppIWa32mwwM3sRmTqUH0V-GifZl9wr-uWO1Cn8Y5CVaRwer6P0w_SfvPVDgbahDHlNKC9hsEUzRvHI2hyphenhyphenxGfAg9qvA3OwzO903-_mA/s600/ll%20puntio%20di%20rugiada.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx8PVby4p9vLEKZvnI3g7h23Jh4AUeYVySPhIvo_J6YR9A7tJ6HFzDYfVxQb95awzKzkMFhAgJBavv9vdaTlZMyqppIWa32mwwM3sRmTqUH0V-GifZl9wr-uWO1Cn8Y5CVaRwer6P0w_SfvPVDgbahDHlNKC9hsEUzRvHI2hyphenhyphenxGfAg9qvA3OwzO903-_mA/w280-h400/ll%20puntio%20di%20rugiada.jpg" width="280" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"Il punto di rugiada" di Marco Risi. Con Massimo De Francovich, Alessandro Fella, </span></b></span><span style="font-size: large;"><b style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Eros Pagni, </b><b style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Luigi Diberti, Lucia Rossi, Roberto Gudese, Erika Blanc, Elena Cotta, Valerio Binasco, Ariella Reggio, Maurizio Micheli e altri. Italia 2023 </b></span><b style="font-family: "PingFang SC";"><span style="color: #20124d; font-size: medium;">★★=</span></b><p></p><p><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;">Mi dispiace proprio ma non ci siamo. Non metto in dubbio la sincerità delle intenzioni di Marco Risi, che probabilmente ha avuto in mente il rapporto avuto col suo celebre e forse ingombrante padre, di mettere a confronto due mondi diversi come quello appartenente a un passato ormai remoto e velato dalla fragile memoria degli ospiti di Villa Bianca, una casa di riposo di lusso, e due ragazzi poco più che ventenni, Carlo e Manuel, che vi si ritrovano a fare gli inservienti perché devono scontare rispettivamente un anno e un anno e mezzo ai servizi sociali. Il primo, un ragazzo ricco e viziato (Alessandro Fella: un brombolo del tutto inespressivo), condannato perché guidando ubriaco ha causato un incidente in cui è rimasta sfregiata la ex fidanzata, con cui non ha avuto più il coraggio di farsi vivo; l'altro, un simpatico "ganassa", è stato beccato con le mani nel sacco per spaccio: lo interpreta Roberto Gaudese, che a differenza del suo collega di stoffa ne ha un bel po', peccato che il suo personaggio abbia un ruolo del tutto secondario, e questo già è un difetto imperdonabile. Ci sono anche il direttore, che mal li sopporta, la bella e misteriosa infermiera Luisa (Lucia Rossi), e naturalmente gli ospiti (non bisogna chiamarli anziani: strano che la direzione non li onori del titolo di <i>clienti, </i>ché questo siamo ormai tutti, oltre che dei numeri), interpretati da vecchie glorie del cinema e del teatro nostrano, tra cui spiccano Eros Pagni (nei panni di un ex colonnello mai divenuto generale), Luigi Diberti (un poeta che non si ricorda quel che ha scritto) e il suo ex rivale in amore Dino, il più lucido di tutta la brigata, imopersonato da Massimo De Francovic: è lui che instaura un rapporto particolare con Carlo che col passare del tempo (il film si articola sulle quattro stagioni dell'anno, da estate a estate) diventa di confidenza e fiducia reciproca, e servirà, forse, a quest'ultimo, a guardarsi un minimo dentro e darsi una regolata. Non a caso Dino, un ex fotografo fissato coi leoni ma che non è mai stato in Africa (e che in qualche maniera, attraverso uno <i>smartphone</i> basico, mantiene in esercizio le sue attitudini professionali), porta il nome del padre del regista e ricorda fisicamente come anche nella dizione, ma soprattutto per il suo rapporto con la vecchiaia estrema, Mario Monicelli, che si era suicidato a 95 anni, nel 2015. Insomma il film si basa sul gioco degli opposti che in qualche modo si completano e si accettano, un po' per necessità e un po' per curiosità e umana simpatia (ne è sicuramente più dotato Manuel), si basa un una sceneggiatura flebile e al contempo grossolana, che da un lato indulge su luoghi comuni ritriti e dall'altro perde per strada i personaggi, non approfondendoli minimamente e limitandosi spesso a delle mere caricature; non bastano un paio di scene azzeccate (quella della nevicata, da cui il titolo, che è l'occasione per gli anziani di "trasgredire", per una volta, con la complicità dei due giovani inservienti) a salvare la baracca perché vengono più che compensate da altre francamente penose: ancora una volta mi chiedo se esista un film italiano degli ultimi 30 anni in cui ci venga risparmiata una scena di ballo, come se fosse l'attività precipua di un popolo di macachi tarantolati. Non bastasse, scene di incontinenza a parte, per la festa di Capodanno il film ci propina pure il trenino con tanto di lingue di suocera e cappellino di carta a cono, roba da cinepanettone che mi ha fatto sentire in imbarazzo per chi ha dovuto interpretare la scena e a fatica ho represso la tentazione di abbandonare la sala. Nonostante il tema (aleggia la morte, in arrivo per tutti, per alcuni prima e per altri poi) e l'ambientazione (tra l'altro falsa: perché dalla parlata prevalente Villa Bianca dovrebbe trovarsi in riva a un lago tra Brianza e Varesotto, mentre palesemente nessun lago lombardo vi assomigli neanche lontanamente, tant'è vero che il film ha avuto il contributo della <i>Lazio Film Commission</i>, e questa a un milanese come Risi non gliela perdono) e la si butti un po' in farsa, siamo lontani anni luce non solo dal celebre <i>Cocoon</i>, uno dei capostipiti del genere "ospizio", e da <i>Amici miei - Atto 3°</i>, l'ultimo della gloriosa trilogia, quello girato da Nanni Loy, ma perfino da <i>Villa Arzilla, </i>storica<i> </i>serie TV di oltre trent'anni fa che sicuramente era più ispirata di questo <i>Punto di rugiada</i>. Concludendo: luoghi comuni a profusione; uno degli interpreti principali improponibile; pare che nessuno degli autori abbia mai frequentato una casa di riposo, nemmeno una per ricchi, né abbia realmente avuto contatto con qualcuno che abbia meno di trent'anni; la sensazione di qualcosa senza capo né coda, palesemente posticcio. Marco Risi ha mestiere, una solida carriera alle spalle, alcuni film, specie di impegno civile e basati su fatti reali gli sono riusciti molto bene: non capisco perché si ostini con la commedia "fu" italiana, forse per confrontarsi col padre. Rassegnati, <i>te set minga bun...</i></span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-51032347728172307382024-01-26T11:40:00.001+01:002024-01-26T11:40:12.670+01:00The Holdovers - Lezioni di vita<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbg_F1g-Gt9VPHf8xZP9GW9zzKi3plp4Hbx7hIQi6mqEVxrSYS32VybljFQPioj5Rpbye6JUtuKXyHMlbItDsxNYthP5J6odc2mRWN-RlMC5R8SfVP55ye2Ltvrq0ufC_Q38jPjyLrl0XaX-zjDdejIbZAGEect2rk9wKR7hHeP-GvZt_cYvzDT3eStg5x/s622/The%20Holdovers.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="622" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbg_F1g-Gt9VPHf8xZP9GW9zzKi3plp4Hbx7hIQi6mqEVxrSYS32VybljFQPioj5Rpbye6JUtuKXyHMlbItDsxNYthP5J6odc2mRWN-RlMC5R8SfVP55ye2Ltvrq0ufC_Q38jPjyLrl0XaX-zjDdejIbZAGEect2rk9wKR7hHeP-GvZt_cYvzDT3eStg5x/w270-h400/The%20Holdovers.jpg" width="270" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"The Holdovers - Lezioni di vita" (The Holdovers) di Alexander Payne. Con Paul Giamatti, Dominic Sessa, Da'Vine Joy Randolph, Carrie Preston, Tate Donovan, Brady Hepner, Gillian Vigman, Michael Provost e altri. USA 2023 </span></b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★1/2</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Sì, va beh, però che palle... Non so quante volte il cinema USA ci ha riproposto, in salse e sotto angolature diverse, <i>L'attimo fuggente:</i> questa è l'ennesima occasione e, quando si parla di scuola e del rapporto tra insegnanti geniali ma strani e studenti alle prese con gli ormoni adolescenziali e con la propria situazione famigliare disastrata, sempre fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta si va a parare, con la guerra del Vietnam sullo sfondo e la discesa sulla Luna nei paraggi (questa volta anche dal punto di vista stilistico: la fotografia è di grana grossa e il film sembra girato in pellicola e non in digitale). E, guarda caso, la vicenda si svolge in un un <i>college</i> o in una scuola superiore per ricchi. Come in <i>The Holdovers</i>, ossia "i rimanenti": un improbabile terzetto che, durante le vacanze di Natale, rimane confinato alla <i>Barton Academy</i>, blasonata scuola privata del New England, ovviamente, mica del South Dakota, che sforna diplomi per rampolli di famiglie danarose per avviarli alle università più prestigiose. Anche i più immeritevoli: basta che paghino. Come ogni anno tocca a Paul Hunham (Giamatti), professore di storia di civiltà antiche (leggi greca-latina), rimanere a guardia degli studenti che, per un motivo o per l'altro, non possono rientrare in famiglia per le ferie: inizialmente sono 5 studenti più la cuoca e un guardiano, poi dei ragazzi rimane il solo Angus Tully (Dominic Sessa, che pare il sosia di Steve Winwood da giovane), intelligente, ribelle, falso, in una parola problematico, "abbandonato" dalla madre che durante le festività natalizie ha preferito piantarlo in asso per trascorrere la luna di miele col nuovo marito miliardiario, difficile da contenere e che si sente in gabbia mentre, al contrario, l'insegnante, sostanzialmente una sorta di orso asociale, in gabbia ci si è messo da solo, rintanandosi nel collegio che aveva frequentato da ragazzo e costretto a subire le angherie e le opportunistiche pressioni di un suo ex studente, diventato preside, che considerava e ritiene tuttora un perfetto imbecille. Insomma l'incontro tra due disadattati, cui si aggiunge la terza, la corpulenta cuoca di colore Mary Lamb (</span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Da'Vine Joy Randolph), che ha da poco perso il figlio, a sua volta ex studente del collegio, nel Sud Est Asiatico. Mentre la prima parte del film si svolge per così dire "in clausura", nell'ambito scolastico, la seconda, per motivi che non sto a rivelare, è <i>"on the road"</i>, spingendosi fino a Boston, dove il rapporto tra Paul e Angus prende una svolta, perché l'insegnante scopre il motivo per cui l'allievo ha voluto andarci a tutti i costi e che è anche quello delle balle che è abituato a raccontare e della sua personalità contorta, ma "sveglia". Quando si scoprirà la trasgressione alle regole del convitto, e i genitori di Angus sono sul punto di ritirare il ragazzo dalla scuola per spedirlo all'accademia militare, perché si "raddrizzi" una volta per tutte, sarà Paul a prenderne le difese e a impedire che Angus venga quindi destinato alla carneficina che quel meraviglio Paese faro della civiltà stava perpetrando dall'altra parte del Mondo, assumendosi la responsabilità di tutte le trasgressioni che hanno avuto luogo nel suo periodo di "reggenza": verrà licenziato in tronco e forse sarà lui a prendere finalmente il volo verso un altrove meno claustrofobico. Insomma una pellicola edificante, con non poche battute godibili e situazioni divertenti, politicamente "scorretto" quel tanto che basta per renderlo digeribile (i personaggi bevono e fumano di tutto, ma non vengono approfonditi più di tanto mentre altri filoni della trama vengono abbandonati all'improvviso, per cui non si capisce perché siano stati iniziati), ma tremendamente "già visto": nonostante la bravura di Giamatti e Sessa, la sceneggiatura è tirata via così come viene, viene, col risultato che il film va bene per una visione in TV in una serata di stanca, ma spostarsi in sala apposta per vederlo sul grande schermo francamente è chiedere troppo.</span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-80205912461264827652024-01-23T21:04:00.003+01:002024-01-23T21:04:25.312+01:00Palazzina LAF<p><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"></span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEszVp_xh5JbfbM9BsOwFK6OkYBN1O5Gsdnt3WEnYjSxU6aj3-NFL9k9MIExnBqxFSdv7FzTSdY02j2cRUYcaeN4VsAIdeMmuCfLoQJwtx_PNcNrXNmo2k7Et0_g9hpPFcmlCgxbuvXF1b0lCZqz4witR1p2xyEVv7m4XfxBTadO8aboC8uu-4_xrPWeU6/s600/Palazzina%20LAF.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEszVp_xh5JbfbM9BsOwFK6OkYBN1O5Gsdnt3WEnYjSxU6aj3-NFL9k9MIExnBqxFSdv7FzTSdY02j2cRUYcaeN4VsAIdeMmuCfLoQJwtx_PNcNrXNmo2k7Et0_g9hpPFcmlCgxbuvXF1b0lCZqz4witR1p2xyEVv7m4XfxBTadO8aboC8uu-4_xrPWeU6/w280-h400/Palazzina%20LAF.jpeg" width="280" /></a></span></b></div><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">"Palazzina LAF" di Michele Riondino. Con Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Gianni D'Addario, Domenico Fortunato, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Paolo Pierobon, Anna Ferruzzo e altri. Italia 2023 </span></b><b style="font-family: "PingFang SC";"><span style="color: #20124d; font-size: medium;">★★★★1/2</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Un fulminante e salutare cazzottone nello stomaco, ecco cos'è in sintesi <i>Palazzina LAF</i>, uscito inopinatamente (o meglio: proprio per questo) troppo presto dal circuito delle sale principali e recuperato per caso qualche giorno fa a San Daniele del Friuli. Considerata la riottosità con cui il cinema italiano affronta il tema del lavoro nella sua cruda realtà, a dispetto di quello d'impegno civile, da Rosi a Petri a Montaldo, che risale ormai a mezzo secolo fa (una rara eccezione, a mia memoria, era stato <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2016/11/7-minuti.html">7 minuti</a></i> di Michele Placido uscito nel 2016), è già un miracolo che a Michele Riondino abbiano concesso di girare questo suo meritorio film d'esordio alla regìa, tratto dal libro <i>Fumo sulla città</i> di Alessandro Leogrande, che avrebbe dovuto esserne anche lo sceneggiatore se non fosse prematuramente scomparso, a soli 40 anni, nel frattempo. Era tarantino anche lui e, come Riondino, l'ILVA la conosceva bene per esperienza diretta, e così il regista non ha avuto problemi a indossare anche i panni, o meglio la tuta, di Caterino Lamanna, operaio "senza coscienza di classe" addetto ai pesanti lavori di manutenzione, un qualunquista che ce l'ha coi sindacati parolai e con chi, a suo dire, non ha voglia di lavorare. In realtà desidera condividere i "privilegi" di alcuni suoi colleghi superiori di rango, tanto che dopo essere stato ingaggiato come informatore sui "movimenti" e gli umori nella base da parte di Giancarlo Basile (il sempre efficacissimo Elio Germano), un viscido dirigente che si occupa delle "risorse umane" per il <i>Gruppo Riva</i> che da poco ha preso il controllo della colosso siderurgico (siamo nel 1997), e avere perfino ottenuto come prestigioso <i>benefit</i> una scassatissima auto aziendale, gli chiede di essere spostato, anzi "promosso", alla Palazzina LAF, a suo modo di vedere una sorte di paradiso per nullafacenti, in realtà un vero e proprio reparto punitivo dove venivano confinati i reprobi, soprattutto impiegati e tecnici qualificati, che non avevano accettato il demansionamento che aveva prospettato loro la nuova dirigenza, una "novazione contrattuale" che faceva pagare, come sempre, ai lavoratori i costi delle fantomatiche e mai avvenute "ristrutturazioni", sia in termini salariali sia di condizioni d'impiego, nonché alle casse dello Stato, attraverso sovvenzioni di vario genere oltre alla cassa integrazione (elargita, come se fosse una regalìa, in definitiva, con le tasse dei contribuenti, quindi ancora prevalentemente i lavoratori e pensionati dipendenti). Retribuiti per non fare niente, relegati in un reparto fantasma, in attesa del nulla; una sorta di manicomio, altro che "paradiso" per privilegiati, come riteneva Caterino Lamanna, che comunque teneva d'occhio l'attività del sindacalista che lo frequentava e ne riferiva al Basile. Pratiche simili per indurre i "rompiscatole" al silenzio e possibilmente a licenziarsi, erano utilizzate in altri grandi gruppi industriali, spesso foraggiati dallo Stato, specie quando versavano in cattive acque a causa di gestioni e scelte produttive demenziali, secondo il vecchio adagio caro al capitalismo: "provatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite"; nel caso dell'ILVA si giunse, nel 2006, alla condanna del suo presidente: il primo caso di <i>mobbing</i>, termine in uso da allora, che si sia concluso a sentenza. Nel film di Riondino ce n'è per tutti, perché il vergognoso <i>Caso ILVA</i>, che si trascina da decenni e ancora è in corso, è esemplare perché evidenzia la commistione di interessi, connivenze, silenzi, ignavia di tutte le parti in causa, compresa la "sinistra" che, in cambio di posti di lavoro (insalubre e a condizioni via vie peggiori), ha sacrificato non solo la sicurezza ma anche la salute degli operai e delle loro famiglie, specie quelle che sono andate ad abitare a Tamburi, a ridosso della fabbrica (come Caterino, che ha abbandonato la cadente masseria in cui viveva, dove gli animali morivano per gli effluvi provenienti dalla cokeria e dagli altiforni, in un'illusione di modernità e benessere, non rendendosi conto che le probabilità di avvelenarsi sarebbero aumentate ulteriormente). <i>Palazzina LAF</i>, pur aderendo alla realtà, non è una pellicola documentaristica: sviluppa una storia con dei personaggi esemplari che interagiscono rendendo plastiche situazioni che si creano negli ambienti di lavoro e, in particolare, in strutture complesse e di grandi dimensioni come la ILVA di Taranto, e tutti gli interpreti sono funzionali alla causa e scelti con cura esemplare: oltre ai due protagonisti principali, Fulvio Pepe nella parte del sindacalista Renato Morra, Vanessa Scalera, Gianni D'Addario, Domenico Fortunato, Michele Sinisi e Marina Limosani in quelle di alcuni "confinati"; Anna Ferruzzo in quella della sostituta PM; le musiche originali sono di Theo Terado (una garanzia) e la canzone finale di Diodato, originario della Città dei due mari pure lui. Da vedere e pubblicizzare. </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-12088608819013448972024-01-19T16:52:00.003+01:002024-01-19T16:52:49.140+01:00Viaggio in Giappone<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZ8JTTu_TElqVIdkj8ynckU82nq2bLxAw7iPv0oOjMsLRRTctcARSXoJBgHtiWWd5_uTxadtBQKbHNx-5Lc0X93_Q4yZhp1w1lKFD6_WUDVjNvCltxysX77Y882hAcNkdxZR_B4PAIN4kFkR17g7JMjh3QYn9F65JCWEeedGcxiUwZCBKIAJ2GDFVXEdoZ/s600/Viaggio%20in%20Giappone.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZ8JTTu_TElqVIdkj8ynckU82nq2bLxAw7iPv0oOjMsLRRTctcARSXoJBgHtiWWd5_uTxadtBQKbHNx-5Lc0X93_Q4yZhp1w1lKFD6_WUDVjNvCltxysX77Y882hAcNkdxZR_B4PAIN4kFkR17g7JMjh3QYn9F65JCWEeedGcxiUwZCBKIAJ2GDFVXEdoZ/w280-h400/Viaggio%20in%20Giappone.jpeg" width="280" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Viaggio in Giappone" (Sidonie au Japon) di Élise Girad. Con Isabelle Huppert, Tsuyoshi Hirara, August Diehl e altri. Francia, Germania, Giappone, Svizzera 2023 </b></span><b style="font-family: "PingFang SC";"><span style="color: #20124d; font-size: medium;">★★★+</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); font-size: large;">Isabelle Huppert è una garanzia per qualsiasi film interpreti, a maggior ragione quando ne è la protagonista, come in questo caso, in cui i personaggi sono soltanto tre: Sidonie (lei), Kenzo (Tsuyoshi Hirara) e il fantasma del marito (August Diehl). La morte in un incidente automobilistico di quest'ultimo, mentre lei era rimasta illesa, ha lasciato un vuoto incolmabile in Sidonie, che vediamo aggirarsi per casa, col bagaglio già pronto, indecisa fino all'ultimo se partire o no per Osaka dove il suo editore giapponese l'ha invitata in occasione della riedizione del suo primo e fin qui unico romanzo, tant'è vero che arriverà in aeroporto convinta di aver perso il volo, ma il caso vuole che la partenza sia stata ritardata di tre ore. Ad attenderla, Kenzo in persona, che l'accompagnerà nelle varie tappe della presentazione del suo libro, agli incontri con la stampa, ma soprattutto sarà la sua guida attraverso le principali attrazioni del Paese che attraversano, in particolare templi e parchi, il tutto a inizio primavera, il periodo della spettacolare fioritura dei ciliegi. Racconto di un viaggio, dunque, in tutte le possibili accezioni del termine: in senso proprio e figurato, dunque anche all'interno di sé stessa, proprio grazie all'estraneità di un mondo che non conosce. Guida in questo caso sarà Kenzo: i loro colloqui, inizialmente ridotti all'essenziale e professionali, man mano, pur rimanendo molto formali, affrontano anche temi personali, e scoprirà che Kenzo ha avuto un rapporto rivelatosi inesistente con la moglie e soprattutto ha i suoi fantasmi, con cui dice di convivere (come tutti in Giappone), e che nel suo caso sono la famiglia d'origine, colpita dalla tragedia di Hiroshima: sarà lui a farle capire che per coesisterci, bisogna "lasciarli andare", e lo chiede anche Antoine, l'adorato marito scomparso, che le compare davanti, visibile ma inconsistente, stanco della "parte" che lei gli ha assegnato (mi ha ricordato il <i>Vadinho di Dona Flor e i suoi due mariti</i>). Quando Sidonie lo farà, si lascerà aperta la porta per eventuali nuove relazioni e, forse, le tornerà l'ispirazione per riprendere a scrivere. Insomma, vivere. Film dalla trama esilissima, quindi, un bozzetto più che una storia, trattata con pennellate lievi, un tocco di ironia, dialoghi essenziali (cosa rara nel cinema d'oltralpe, spesso compiaciutamente verboso),perlopiù in forma di brevi battute che, avvenendo in francese tra una nativa e un giapponese che, pur parlandolo bene, non si esprime a mitraglia, per questa caratteristica si godono ancora di più in lingua originale. Bella la fotografia e gradevoli i paesaggi e le ambientazioni, che ci fanno intuire qualcosa di un Paese che ci è lontano da tutti i punti di vista, si trascorre un'ora e mezza piacevole in compagnia di un'attrice straordinaria e di un coprotagonista anch'esso perfettamente in ruolo. </span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-36188240511602652132024-01-14T18:22:00.002+01:002024-01-14T18:43:13.156+01:00Perfect Days<p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj59M_1k4rDbA6q3uPUOPR6hDrgOGr-l5cwE6YZAv0hOc1Q0yRz8ngQVGwJPl4Nx-rogPhZ-N6vf01UF-c9ehjco9wio2yLsmbG0-pVHD2-Tl0dQOL2aB3g9-IC8cmjIWFQJMV-91q2cTT-YCvzrbEP5YwDGM1opT8kHhHlPb1xFt1eAcqEIOB0KbtxU-BD/s588/Perfect%20Days.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="588" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj59M_1k4rDbA6q3uPUOPR6hDrgOGr-l5cwE6YZAv0hOc1Q0yRz8ngQVGwJPl4Nx-rogPhZ-N6vf01UF-c9ehjco9wio2yLsmbG0-pVHD2-Tl0dQOL2aB3g9-IC8cmjIWFQJMV-91q2cTT-YCvzrbEP5YwDGM1opT8kHhHlPb1xFt1eAcqEIOB0KbtxU-BD/w286-h400/Perfect%20Days.jpg" width="286" /></a></b></span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b>"Perfect Days" di Wim Wenders. Con Kôji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Aoi Yamada, </b></span><b style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Arisa Nakano, </b><b style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Yumi Asô, Sayuri Ishikawa, Tomokazu Miura, Min Tanaka e altri. Giappone, Germania 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★★</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Nato come un documentario appositamente commissionato a Wenders nell'ambito di <i>The Tokio Toilets</i>, progetto di riqualificazione urbana del municipio di Shibuya, uno dei 23 che formano l'area metropolitana della capitale nipponica, anche in virtù delle precedenti frequentazioni cinematografiche in Giappone del regista tedesco, durante la fase di lavorazione si è fortunatamente trasformato in un'opera autonoma e il risultato è stato, nelle sue mani, un <i>Perfect Movie</i>, parafrasando il titolo, che a sua volta rimanda a uno dei pezzi più famosi scritti e interpretati da Lou Reed. Un film memorabile, definitivo, che riesce a inchiodarti davanti allo schermo per due ore raccontando il susseguirsi sempre secondo lo stesso schema delle giornate di Hirayama, un uomo di mezza età che pulisce i cessi (d'autore, però) di Shibuya, e lo fa con la dedizione, la solerzia, la metodicità e, soprattutto l'amore che dedica a tutte le cose che fa nella sua apparentemente monotona esistenza: la cura delle piantine che "salva" dalla disattenzione dei giardinieri aspergendole quotidianamente, all'alba, di vapore acqueo; al <i>tatami </i>che ripone sempre nel medesimo modo e nello stesso angolo; la rasatura; il tragitto sempre uguale tra un gabinetto e l'altro; il panino per pranzo nel parco; la cena sempre nello stesso ristorantino che propone cibo da strada; </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">lavacri personali dopo il lavoro al bagno pubblico, ché la sua modesta abitazione non me possiede uno;</span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"> una volta a settimana la distrazione in un locale, gestito da Mama, dove gli avventori sono sulla sua stessa onda: analogici in un mondo ormai digitalizzato (e disumanizzato). Infatti durante i suoi spostamenti ascolta musica anni Settanta rigorosamente su musicassetta (la colonna sonora, in stile Wenders, spazia dagli <i>Animals</i> di <i>The House of the Rising Sun</i>, proposta anche in versione giapponese a Otis Redding, da Patti Smith ai <i>Velvet Underground</i>, dai <i>Kinks</i> a Van Morrison, da Nina Simone al già citato Lou Reed), scatta fotografie alle fronde degli alberi con una <i>Olympus</i> utilizzando rigorosamente pellicole in bianco e nero per afferrare il </span><i style="color: #20124d; font-family: helvetica;">komorebi</i><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">, espressione che in giapponese significa "il riflesso del sole tra le foglie degli alberi", e già questo è rivelatore di tutta una filosofia e di un'estetica, foto che poi seleziona e archivia scrupolosamente in cartelline ordinatissime. La sera, prima di dormire, legge libri (che vengono conservati come gioielli in una libreria essenziale): quelli che gli vediamo tra le mani sono di Faulkner, Patricia Highsmith ma anche uno di racconti brevi della sottovalutata autrice locale Aya Kōda. In tutto il film Hirayama pronuncerà al massimo in centinaio di parole, sempre con gentilezza e quando viene richiesto o ha qualcosa da dire; preferisce esprimersi con le azioni, anche quelle sempre precise, attente e adeguate alla situazione. Succede che interloquisca col suo giovane collega Takashi, con la ragazza di quest'ultimo Aya, con "Mama", soprattutto con Niko, la nipote adolescente, figlia della sorella, che non vedeva da quando era piccola e che si rifugia da lui durante una fuga da casa: con lei sarà più loquace, e molto misurato però puntuale quando la "riaffiderà" alla madre, così come quando parlerà con l'ex marito di Mama, che pensava fosse il suo nuovo compagno, in un'altra scena memorabile e di rara umanità. Nulla viene detto del passato di Hirayama: l'unica cosa certa è che la sua scelta di vita solitaria ed essenziale è stata voluta, convinta, anche se non sappiamo, perché in fondo non importa, quale ne sia stata la causa, e comunque ha a che fare con l'armonia, che è cosa diversa dalla felicità, e con l'accontentarsi di quello che si ha, ché a farlo accuratamente e con coscienza c'è sempre da riempire la giornata e concluderla serenamente e senza rimpianti, e nulla ha a che vedere con la rassegnazione e l'accettazione supina dello stato delle cose, anzi: piuttosto con la resistenza a un'esistenza "digitale", a tratti se non del tutto virtuale, dalla visione binaria e però a senso unico. Insomma un film che procura un senso di pace e serenità, profondamente umanista e da cui traspare il fondo buddhista dell'animo nipponico. Alla fotografia, eccellente, ci pensa Franz Lustig, che con Wenders aveva già lavorato in precedenza, e il formato scelto è 4:3, ideale per "inquadrare", seguendolo passo passo nel corso delle sue giornate, il protagonista, a cui dà corpo e anima e, soprattutto, uno sguardo che parla da solo il fenomenale </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Kôji Yakusho, giustamente premiato come miglior attore protagonista all'ultimo Festival di Cannes. Per la <i>Palma d'Oro</i> a <i>Perfect Days</i> gli è stato preferito <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2023/11/anatomia-di-una-caduta.html">Anatomia di una caduta</a></i>, che è senz'altro un buon film, però qui si è a livelli di eccellenza: forse il motivo è che si entra nell'ambito della poesia pura, e non più in quello cinematgrafico e dello spettacolo <i>tout court</i>.</span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-68594791941503455092024-01-10T17:06:00.001+01:002024-01-10T18:05:28.746+01:00Saltburn<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGL62W4lmQG3c3QDKVjx08XnaAf9RueTs_bkPTF3HPkwSlG4_Y6tunieTkoSTJRpbDbownFItHoP7-LX9_x4Uvnekjai6gWqVdJk-lIazFSJWsHWAXoaMV3hFDD_N_ax8oQtpe59mVsIT30aUZpI4-ylPqoEXT8g6hrH2RXZ8UCqtY1usCvxmSGdajXlDY/s622/Saltburn.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="622" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGL62W4lmQG3c3QDKVjx08XnaAf9RueTs_bkPTF3HPkwSlG4_Y6tunieTkoSTJRpbDbownFItHoP7-LX9_x4Uvnekjai6gWqVdJk-lIazFSJWsHWAXoaMV3hFDD_N_ax8oQtpe59mVsIT30aUZpI4-ylPqoEXT8g6hrH2RXZ8UCqtY1usCvxmSGdajXlDY/w270-h400/Saltburn.jpg" width="270" /></span></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"Saltburn" di Emerald Fennel. Con Barry Keoghan, Jacob Elordi, Rosamund Pike, Richard E. Grant, Alison Oliver, Archie Medekwe, Carey Mulligan, Sadie Soverall, Richie Cotterell, Millie Kent, Ewan Mitchell, Reece Shearsmith e altri. GB, USA 2023 </span></b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★</span></b><b style="color: #13072e; font-family: "PingFang SC"; font-size: 16px;">+</b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Uscito in Gran Bretagna a fine estate e negli USA in novembre in seguito al successo ottenuto in patria, <i>Saltburn</i> (che è il nome della tenuta nobiliare che nella realtà si chiama Drayton House e si trova nel Northamptonshire, non molto distante da Cambridge) è stato distribuito in Italia direttamente su <i>Amazon Prime</i>, dove è uno dei film più visti. Film strano, a tratti disturbante, decisamente molto "british", racconta la storia di un'amicizia morbosa tra due ragazzi di estrazione sociale diversa che si trovano a studiare a Oxford, non tanto per il lato omosessuale da parte di Oliver, il personaggio principale, che si vergogna del proprio stato di medio-piccolo borghese tanto da farsi passare per figlio di un drogato e di un'alcolizzata che è capitato lì grazie a una borsa di studio, ma per la sua mefistofelica capacità di manipolazione: un tarlo che si insinuerà nella eccentrica e a tratti disfunzionale famiglia di Felix Catton, il ragazzo bello, nobile, ricco e volubile che ha preso di mira fin dal primo momento in cui lo ha incrociato facendo in modo di diventarne il "protetto". La prima parte, quindi, si svolge nelle stanze, nelle biblioteche, nelle aule e, soprattutto, nei pub della celebre città universitaria, che vede la nascita dell'inconsueta relazione tra i due, che più diversi non potrebbero essere, per poi spostarsi a Saltburn, nella sontuosa tenuta dei Catton, dove Felix invita Oliver a trascorrere l'estate e "sentirsi come a casa sua". Detto e fatto, perché coi suoi modi subdoli e suadenti, spinto da un odio/amore che è un propellente di una potenza inaudita, alla fine di una vicenda a suo modo lineare e credibile ovviamente solo nell'ambito della plausibilità creata dal portare all'estremo la stravaganza dei vari personaggi dell'<i>entourage</i> dei Catton, il caro Ollie finirà anni dopo, di ereditare la sontuosa magione. Il come, lo racconterà sul letto dove giace in coma farmacologico, a Espeth, la madre di Felix, prima di staccarle la spina. Sì, perché, dopo che in quell'estate ha seminato morte uccidendo (non scoperto) Felix, poi la sorella Venetia, infine facendo schiattare dal dolore perfino James, il padre di Felix, che lo aveva allontanato da Saltburn, individuando in lui la causa delle disgrazie piovute sulla famiglia dopo la sua apparizione, dietro nutrito compenso, lui aveva continuato la sua opera aggirando Espeth, che non ne aveva intuito la pericolosità, la quale gli aveva chiesto di assisterla e prendersi cura di Saltburn. E lui ha mantenuto la promessa, a modo suo. Film "gotico", se vogliamo, con aspetti grotteschi e uno sfondo di <i>humour </i>nero nonché qualche scena abbastanza disgustosa, deve molto del suo successo a come sono stati imbroccati gli interpreti principali, in particolare Barry Keoghan/Oliver, già repulsivo di suo con quell'aspetto da <i>pitbull</i> e quindi perfettamente in ruolo; così Rosamund Pike, sempre a suo agio nella parte di donne ambigue e inquietanti, e Richard E. Grant nei panni di James Catton, e Alison Oliver in quelli di Venetia, la sorella di Felix, a cui dà il volto, e poco altro, il bellone di turno, Jacob Elordi. Alla fine, un film che vale la pena vedere proprio per la prestazione degli attori oltre che per le ambientazioni, e che per alcuni aspetti mi ha ricordato il magnifico <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2019/11/parasite.html">Parasite</a></i>, peraltro anch'esso disponibile sulla stessa piattaforma. </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-44718920147314035672024-01-06T08:16:00.001+01:002024-01-06T08:17:11.986+01:00Ferrari<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiStDvPwFKp5rjdRmaTtiA4RJdOhO9D3fmCgVDZ1n4QsXJ7XYWz-JAN2ujiTlhJO2UjA1evAeKYsZqMewjO4BLIXHENoHg8YydHje2e0ERjThVOvgm4zY7ADpdah6iS9LMezZOS74monH5L62NAu0kMvUD8NdKOtvuO8EsmXZ0yMLxUInWAevrBPpblLoCG/s586/Ferrari.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="586" data-original-width="420" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiStDvPwFKp5rjdRmaTtiA4RJdOhO9D3fmCgVDZ1n4QsXJ7XYWz-JAN2ujiTlhJO2UjA1evAeKYsZqMewjO4BLIXHENoHg8YydHje2e0ERjThVOvgm4zY7ADpdah6iS9LMezZOS74monH5L62NAu0kMvUD8NdKOtvuO8EsmXZ0yMLxUInWAevrBPpblLoCG/s320/Ferrari.jpg" width="229" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Ferrari" di Michael Mann. Con Adam Driver, Penélope Cruz, Shailene Woodley, Patrick Dempsey, Gabriel Leone, Lino Musella, Jack O'Connell, Daniela Piperno, Sarah Gadon. Michele Savoia, Giuseppe Attanasio, Alessandro Cremona, Domenico Fortunato, Valentina Bellé, Andrea Dolente e altri. USA 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★-</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Decisamente meglio di quel che mi aspettassi, questo <i>Ferrari</i>, che non è propriamente un film biografico sulla vita del <i>Drake</i>, ovvero <i>Commendatore, </i>e </span></span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;">la cui sceneggiatura è stata tratta da Troy Kennedy Martin a partire dalla ponderosa biografia di Brock Yates <i>Enzo Ferrari: The Man and the Machine</i>, ma si concentra soltanto sul 1957, anno di crisi, sia personale sia professionale, di rottura e di svolta, "horribilis" per definizione per il nostro eroe. Controprova, 130' filati via come l'olio, senza dare nemmeno una volta uno sguardo all'orologio. Vengono in mente le polemiche sorte a Venezia quando era stato presentato all'ultima edizione della <i>Biennale Cinema</i>, sul fatto che a interpretare ruoli italiani sia un attore straniero. Questione di lana caprina: dipende dal film e da chi lo dirige. Che in questo caso è Michael Mann, una garanzia. E mentre qui Alan Driver interpreta in maniera eccellente un Enzo Ferrari nel pieno della maturità, nel penoso <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2022/01/house-of-gucci.html">House of Gucci</a></i> di un ormai completamente decotto Ridley Scott fa (sempre decorosamente) la figura di un cretino, nei panni del "cornuto e mazziato". La questione semmai è un'altra: perché a nessun autore italiano è venuto in mente di girare una pellicola su un personaggio così poderoso, un vero e proprio emblema del Paese, con i suoi pregi e difetti. Un anno decisivo, per Ferrari, il 1957, che segue quello della scomparsa dell'adorato figlio Dino dopo una lunga e grave malattia, che vede definitivamente andare a rotoli il rapporto matrimoniale con Laura Garello, sposata più di trent'anni prima, la quale scopre che dalla la relazione di Enzo con Lina Lardi era nato un altro figlio, Piero, che finché lei fosse vissuta non avrebbe potuto assumere anche il nome del padre: questa la condizione messa dalla donna per il rilascio di una procura che avrebbe consentito di salvare l'azienda, in grave crisi finanziaria. Il fatto è che, a differenza dei grandi costruttori avversari sulle piste, come già<i> Alfa Romeo</i>, e in quegli anni <i>Jaguar</i> e<i> Ford</i> (ma è anche il caso della <i>Mercedes</i> al giorno d'oggi), le corse servivano per far vendere le auto di serie, mentre alla <i>Ferrari</i></span> <span style="font-size: large;">accadeva il contrario: la produzione di auto di serie (troppo poche, veri e propri gioielli artigianali) era in funzione del reparto corse, l'unica vera passione "fatale" del costruttore modenese, che un formidabile rivale, benché amico, lo aveva in casa, il concittadino Adolfo Orsi, proprietario della <i>Maserati</i>. Il 1957 vede il Drake destreggiarsi tra mille difficoltà, e il rilancio avverrà grazie alla <i>Mille Miglia</i> di quell'anno, quando gli riuscì di trionfare con Piero Taruffi, che non l'aveva mai vinta in tredici partecipazioni, </span></span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;">a bordo della 315 S. Fu anche l'ultima edizione della mitica corsa su strada, funestata dalla tragedia di Guidizzolo, a pochi chilometri dal traguardo di Brescia: per lo scoppio di uno pneumatico la vettura guidata dallo spagnolo Alfonso de Portago prese il volo e finì sul pubblico assiepato ai bordi della strada, causando la morte di 9 spettatori oltre a quella del pilota e del copilota. Ferrari fu per l'ennesima volta tacciato di essere una sorta di Saturno che divora i sui figli (tanti suoi piloti hanno trovato la morte per una passionaccia che era stata anche la sua, ex pilota pure lui) ma fu in grado di salvarsi dall'accusa di aver fatto ripartire, dopo i controlli di prammatica, una vettura dagli pneumatici usurati; lo scoppio fu invece causato da un oggetto lungo il percorso. Il film è in grado di ricostruire in maniera credibile il modo di essere e ragionare e le contraddizioni concrete e umane di un personaggio avvolto dal mito ma pure molto discreto sulla sua vita privata, ed è anche molto italiano, o almeno lo sembra, per il fatto che è doppiato nella nostra lingua, perché non voglio immaginarne la resa in inglese. Per quanto l'ambientazione sia apprezzabile per essere una produzione USA, e a parte alcuni aspetti romanzati (soprattutto riguardo al rapporto con la moglie Laura, peraltro interpretata in maniera eccellente da Penélope Cruz, ma altrettanto efficace è la californiana </span></span><span style="font-size: large;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Shailene Woodley nel ruolo di Lina Lardi</span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">), un paio di falsi storici saltano all'occhio: ai tempi le gare non venivano trasmesse in diretta TV, semmai alcuni brevi spezzoni, e meno che mai all'ora di pranzo; e Gianni Agnelli, con cui Enzo Ferrari avrebbe "trattato" per cedere alla FIAT il ramo produttivo dell’azienda e conservare per sé quello corse, in quel periodo non rivestiva alcun ruolo dirigenziale nel gruppo torinese ed era invece in giro a cazzeggiare e fare il <i>dandy</i> tra piste di sci svizzere e l’<i>entourage </i>dei Kennedy negli USA, ma gli americani, così solerti <i>fact checker</i> nel giornalisimo, non lo sono mai stati nel cinema, abituati come sono ad adattare realtà a loro totalmente estranee ai loro schemi e abitudini mentali, per non parlare delle ricostruzioni storiche raffazzonate, non avendone una propria, di storia: ma c'è chi ha fatto ben peggio di Michael Mann. Insomma, alla fine un ottimo prodotto, ben confezionato, che non annoia e ci dà una prospettiva particolare dell'uomo Ferrari. </span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-72289636363198665372024-01-01T19:35:00.012+01:002024-01-01T19:51:56.372+01:00The Old Oak<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4tI73l4PQxpTDk7eN2sCCnqihOvxp6xTps5dSYsyl05udoUss_f1Fgt89ySFYWcX_aiRhxKdeSmwGjKEliHl_hL2DnLiS-PZqqMoaBLOQvWh4-SDcrLUN4lYZx6BIHbtKqGsG4TZlL7-jPxAfD6e_q9U04EztA1a8WxlFu9YintRaf6JHxDeFODqM_VFy/s1600/The%20Old%20Oak.jpg.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1178" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4tI73l4PQxpTDk7eN2sCCnqihOvxp6xTps5dSYsyl05udoUss_f1Fgt89ySFYWcX_aiRhxKdeSmwGjKEliHl_hL2DnLiS-PZqqMoaBLOQvWh4-SDcrLUN4lYZx6BIHbtKqGsG4TZlL7-jPxAfD6e_q9U04EztA1a8WxlFu9YintRaf6JHxDeFODqM_VFy/s320/The%20Old%20Oak.jpg.webp" width="236" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"The Old Oak" di Ken Loach. Con Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox, Chris McGlade, Col Tait, Jordan Louis, Andy Dawson, Debbie Honeywood, Chris Gotts e altri. GB, Francia 2023</span><span style="font-size: medium;"> </span></b></span><b style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">★★★★★</span></b><p></p><p><span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">I</span><span style="font-size: large;">l cinema della memoria di Ken Loach è una delle poche cose rimaste davvero di sinistra in Europa in un quadro intellettuale e politico di desolante povertà, asservimento, sindrome di Stoccolma nei confronti del mercato unico e globale che fa il paio col pensiero binario che genera l'assuefazione generale alla logica TINA: <i>There Is No Alternative</i>. A 87 anni <i>The Old Oak, </i>la "vecchia quercia" resiste indomita, così come resiste, in un degradato borgo già operaio nella Contea di Durham, Inghilterra Nord Orientale, appena sotto Newcastle, già fiorente zona di miniere, l'omonimo <i>pub</i> gestito con ostinazione e passione da TJ Ballantyne (Dave Turner, memorabile), l'unico luogo di ritrovo per quel che resta di una un tempo fiorente e combattiva comunità di minatori, ora pensionati o precarizzati, comunque sempre più immiseriti: ci manca solo il crollo del valore delle loro tipiche case operaie, comprate da speculatori che hanno solo in mente di tirarle giù per poi decuplicarne il valore costruendo zone residenziali. Chi può se ne va, chi resta se la prende, invariabilmente, con chi è messo peggio di lui ossia, come nella storia raccontata da Loach, un gruppo di siriani rifugiatisi in Gran Bretagna in seguito ai noti eventi bellici degli ultimi anni, e che vengono alloggiati nei miseri appartamenti rimasti sfitti. Tra essi Yara (interpretata dalla brava Ebla Mari, l'unica attrice professionista dell'intero cast), la quale fa da tramite e interprete, parlando un inglese pressoché perfetto perché aveva lavorato per anni con il personale britannico in un campo profughi, appassionata fotografia, a cui come prima cosa un giovane nullafacente e razzista (peraltro nemmeno inglese), danneggia quello che per la ragazza non è solo uno strumento di lavoro e documentazione ma un oggetto di grande valore affettivo: questo il primo impatto del gruppo di profughi con la nuova realtà. TJ, che assieme a Laura si occupa anche di volontariato (col <i>welfare</i> distrutto da Blair e i suoi successori dopo il primo scossone dato dalla Thatcher lo Stato è vieppiù assente e nemmeno la chiesa riesce più a fare molto e tutto viene lasciato all'iniziativa e all'impegno di singoli o gruppi di volonterosi), cerca di fare da cuscinetto fra le diverse istanze, nonché tra i propri interessi e la propria coscienza: nessuno meglio di lui conosce i discorsi "da bar" sempre più razzisti che prevalgono tra i suoi clienti di sempre, e va in crisi quando un gruppo di essi gli chiedono di riaprire la sala dietro al bancone, chiusa da anni e dove vengono conservati devotamente i cimeli delle lotte di un tempo (la gloriosa sconfitta dei minatori inglesi di ormai 40 anni fa) per tenere una riunione chiaramente diretta a combattere "l'invasione dei beduini", perché nel frattempo ha stretto un rapporto </span></span></span><span style="font-size: large;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">sempre più profondo</span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"> </span><span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">di amicizia e collaborazione con Yara e con la sua famiglia e con tutto il nuovo "vicinato". Deciderà di sistemarla e riaprila, invece, per farne una sorta di mensa per tutti, indigeni come stranieri, perché la povertà colpisce chiunque, e in parte l'esperimento riesce, inizialmente con cadenza bisettimanale, con il contributo di esponenti di entrambe le comunità che, operando assieme e conoscendosi, finiscono col superare, come sempre accade quando le persone stanno assieme </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">cooperando a uno scopo comune </span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">in quanto tali e non incasellate come stereotipi, finché i più idioti, rancorosi e vigliacchi non la metteranno fuori uso provocando un incidente. Ma TJ di cui nel corso del film e dalle confessioni che fa a Yara scopriremo anche altri lati della personalità e dei trascorsi, pur essendo un "perdente nato", bastonato nella vita e negli affetti anche per demeriti suoi, davanti all'ennesima sconfitta e pieno di rancore con parte della sua "affezionata clientela" riesce a trattenere la rabbia quando arriva la notizia dalla Siria del ritrovamento del cadavere del padre di Yara, che a suo tempo aveva detto che avrebbe preferito saperlo morto che prigioniero e in balia dei torturatori, ed è il momento in cui anche la comunità del paesino, tranne qualche irriducibile cretino, ritrova spontaneamente un moto di solidarietà sincera e la propria dignità. Perché quello che si dimentica sempre, è che il nemico vero sta in alto, non in basso, anche se è più facile crederlo perché più a portata di mano e più debole proprio perché bisognoso. E il potere, quello vero, lo sa benissimo ed è sempre pronto ad approfittare di questo meccanismo perverso e facile da mettere in moto. <i>Divide et Impera</i>, massima latina che vale dalla notte dei tempi, in quelli relativamente più recenti è stata applicata con il massimo dei risultati col minimo sforzo proprio dall'Impero Britannico, e gli effetti nefasti li stiamo vedendo all'opera tutt'ora, ultimo caso dalle parti di Gaza... Film come sempre esemplare e un doveroso e necessario calcione nello stomaco. Per ricordare com'è la realtà, "là fuori". Non in Medio Oriente: all'uscio di casa nostra, sul marciapiede di fronte, nella via a fianco di quella in cui abitiamo. Dunque lunga vita e grazie alla Vecchia Quercia e grazie ancora!</span></span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-90984175325655796832023-12-29T18:09:00.005+01:002023-12-29T18:34:58.563+01:00Foglie al vento<p><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"></span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaSRH9mrn_bEXllTATi9VLUprOk5dvJD5VQqtQwCVIvztpltQpVvhLxZonRewlwPim0LiT3LH_wUo2gpEk-wBIiR2ocF5VkPGtuMPN_WpjHTvVgG-jmDwGO9OakRI3qgPrcE8uB3i8AFl5kOIZ2VVm-PZdkT2AW3peQg92bs6EHTdMZ81-8X6X8Ntf2WRF/s268/Foglie%20al%20vento.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="268" data-original-width="188" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaSRH9mrn_bEXllTATi9VLUprOk5dvJD5VQqtQwCVIvztpltQpVvhLxZonRewlwPim0LiT3LH_wUo2gpEk-wBIiR2ocF5VkPGtuMPN_WpjHTvVgG-jmDwGO9OakRI3qgPrcE8uB3i8AFl5kOIZ2VVm-PZdkT2AW3peQg92bs6EHTdMZ81-8X6X8Ntf2WRF/s1600/Foglie%20al%20vento.jpeg" width="188" /></a></span></b></div><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;">"Foglie al vento" (Kuolleet Lehdet) di Aki Kaurisimäki. Con Alma Pöysti, Jussi Vatanen, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu, Martti Siosalo e altri. Finlandia, 2023 </span></span></b><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★★</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Graditissimo ritorno, sei anni dopo <a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2017/04/laltro-volto-della-speranza.html"><i>L'altro volto della speranza</i></a>, del regista a mio parere più essenziale, poetico e umanista in circolazione, che ho avuto occasione di definire maestro del <i>surrealismo magico</i>, autore poco prolifico che però in quarant'anni di carriera cinematografica non ha mai sbagliato film e non ha mai deviato dalla sua linea: sinceri e coerenti come lui, solo Ken Loach e pochi altri, una categoria ormai rara. E sempre ispirato, che nelle sue storie di personaggi perdenti e stralunati che gli stanno realmente a cuore, riesce sempre a metterci un sorriso e una traccia di speranza, anche quando il mondo si affaccia sulle loro vite in tutta la sua insopportabile durezza. Come in questo caso le notizie della guerra tra Russia e Ucraina, una realtà che in Finlandia è letteralmente alle porte, che giungono via radio nel povero, essenziale ma inappuntabile appartamento di Ansa, una donna che ha avuto la vita famigliare distrutta dall'alcol che ha ucciso il padre, il fratello e indirettamente la madre, la quale passa da un impiego precario e malpagato all'altro (anche il Paese scandinavo si adegua al mercatismo ormai imperante ovunque) ma sempre con grande dignità. Per puro caso incontra Holappa, un metalmeccanico che viene cacciato in successione daogni posto di un lavoro perché con l'alcol cerca, inutilmente, di sfuggire alla depressione cronica che lo affligge, e viene regolarmente beccato a bere. I due si piacciono, e alla prima uscita vanno (significativamente) a vedere <i>I morti non muoiono</i> di Jim Jarmush (altro autore con una visione simile a Kaurisimäki) all'immancabile cinema <i>Ritz</i>, ma Holappa smarrisce proprio lì il biglietto col numero di telefono di Ansa. I due non hanno idea di dove viva l'altro, si perdono ma si cercheranno proprio lì, a turno davanti al cinema, e saranno le locandine dei film in programmazione, tutti dei classici amati dall'autore, a scandire il tempo: non citazionismo saccente, esibito e fastidioso, ma affettuoso e autorionico, così come quello musicale, dal <i>rock</i> in stile <i>Leningrad Cowboys</i>, al tango, a Schubert, specchio dei gusti e dell'eclettismo del regista finlandese e immancabili in ogni sua pellicola. Che in 81 minuti concentra, senza una sbavatura, un distillato del suo modo di vedere il mondo, dove l'umanità di sottomessi, gli sfruttati, i traditi, coloro che Toni Negri aveva definito l'<i>operaio sociale, </i>va avanti a sopravvivere perché capace, in un panorama di squallore relazionale, a essere capace di vera e profonda solidarietà, pure nell'apparente afasia e carenza di comunicatività. Anche la storia raccontata nel film, i due (</span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Alma Pöysti, Jussi Vatanen, che interpretano la coppia, sono portentosi)<b> </b></span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">che si ritrovano nonostante tutti gli ostacoli che le vicende vissute hanno posto alla loro ricerca di un angolo di felicità, si chiude con una nota ottimistica, nonostante le tenebre e la follia imperanti: insomma, non bisogna perdere la fiducia, ma soprattutto la propria umanità. Un film esemplare, necessario, un gioiellino prezioso, coloratissimo benché girato in una Helsinki squallida, impersonale e straniante, che fa bene alla salute di chi lo vede, un altro bellissimo regalo da parte di un regista e narratore raro.</span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-61208433915135483242023-12-24T18:59:00.001+01:002023-12-24T18:59:11.612+01:00Un colpo di fortuna (Coup de chance)<p><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"></span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRgQwJvPL2Iw19GXhft7hnsHQAYWjjPUCdh05NTyfpUkTEbYCYRK3WqkSrBltKp0G439lbLHSSWFHerUzuDvzztS0lFVeMbgf_wMCpNREgQ1pkjZM2GQI1xZ8rax9lIhH1aVVok0MzsQlFmvigWrOVKfByDePTFtgCMDRf4up-kFTWb5ZVEmPirjFi0Bpd/s600/Un%20colpo%20di%20fortuna.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRgQwJvPL2Iw19GXhft7hnsHQAYWjjPUCdh05NTyfpUkTEbYCYRK3WqkSrBltKp0G439lbLHSSWFHerUzuDvzztS0lFVeMbgf_wMCpNREgQ1pkjZM2GQI1xZ8rax9lIhH1aVVok0MzsQlFmvigWrOVKfByDePTFtgCMDRf4up-kFTWb5ZVEmPirjFi0Bpd/w280-h400/Un%20colpo%20di%20fortuna.jpg" width="280" /></a></span></b></div><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><br /><span style="font-size: large;">"Un colpo di fortuna (Coup de chance)" di Woody Allen. Con Lou de Laâge, Valérie Lemercier, Melvil Poupard, Niels Schneider, Sara Martins, Elsa Zylberstein, Yannick Choirat, Gréegory Gadebois e altri. Francia, GB 2023 </span></span></b><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★-</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Cinquantesimo film di Woody Allen, non uno dei suoi più memorabili ma nemmeno dei peggiori, come purtroppo lo era stato <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2019/12/un-giorno-di-pioggia-new-york.html">Un giorno di pioggia a New York</a></i>, oppure alcuni girati in Europa che sembravano finanziati dagli enti di promozione del turismo dei vari Paesi che l'avevano ospitato: Spagna, Inghilterra, Italia e, soprattutto, Francia. Girato in una Parigi autunnale, in francese e con attori indigeni, torna su un argomento caro al regista, il caso e le coincidenze che incombono sul destino degli umani e ne determinano le traiettorie. Qui abbiamo una coppia di sposi apparentemente felice dell'alta borghesia: Jean, un uomo d'affari di successo, il cui lavoro consiste nel "rendere i ricchi ancora più ricchi", del quale si mormora che abbia qualcosa da nascondere del suo passato, in particolare la misteriosa sparizione del suo ex socio, e Fanny, al secondo matrimonio (il primo era con un musicista spiantato e drogato, quando ancora era una giovanissima idealista e ribelle), che si è adeguata alla situazione e a sua volta vende opere d'arte ad altri ricchi in una casa d'aste. Una perfetta coppia borghese, cementata dal quattrino e dalla convenienza reciproca, anche se dal casuale incontro con Alain, un ex compagno di liceo, aspirante scrittore e da sempre innamorato silenziosamente di lei, Fanny comincia a sospettare di essere una sorta di moglie-trofeo per il consorte. A quel primo casuale incontro ne seguono altri, da cosa nasce cosa, i due diventano amanti e il dubbio si insinua sia nella giovane donna, sia nel marito, sempre più geloso e ossessivo, che alla fine scopre la tresca dopo aver incaricato un'agenzia di investigatori privati di seguire la moglie e, pur facendo finta di nulla con lei, anche per salvare le apparenze, risolverà le cose alla sua maniera, ossia facendo "sparire" chi si mette sulla sua strada. Mentre Fanny, dopo che Alain è scomparso improvvisamente dalla circolazione, è sempre più confusa e sospetta di essere stata abbandonata dall'amante, ci vede invece chiaro la madre di Fanny, interpretata da una Valérie Lemercier che ricorda molto sia nel ruolo sia nelle fattezze la Diane Keaton in <i>Misterioso omicidio a Manhattan, </i>che sgama il genero e, per un "colpo di fortuna" evita la fine riservata al povero Alain e che sarà invece il caso, o se vogliamo la coincidenza, che gli renderà giustizia punendo Jean. Il come, lo scoprirete soltanto vedendo il film. Che rimane comunque ben fatto anche se prevedibile, poco pungente a parte un velo di ironia e sarcasmo che lo pervade, nella descrizione di una borghesia squallidamente attaccata al denaro. Si ride poco o niente, al massimo si sorride; Parigi, fotografata con la consueta maestria da Vittorio Storaro, quasi coetaneo di Allen, non è quella cartolinesca che si poteva temere, alla fine il risultato è discreto ma non si va molto oltre la sufficienza nel complesso. Magari per i suoi 90 anni il buon vecchio Woody sfornerà ancora uno dei suoi colpi di genio: attendiamo con fiducia!</span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-41627604468572949072023-12-18T12:48:00.006+01:002023-12-18T12:50:51.564+01:00Il migliore dei mondi<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: x-large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: x-large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOaHmSk5E45PK19Kpz8C752GibrlJQR009i2SWh0vFOsTl759ZEQp75ygU4XeDYASD6PrLwU_ZC7s4gyVzdQ87yy-rfwr5dsoMhUheS_SNBbvaqn4seA85_fqc-F4dz2v0zGZR82eG-hd0zUh20UB3QZG7kRex4fHnsvsJ7ubikai7FEXr3ZyZvdfz8hOB/s747/Il%20migliore%20dei%20mondi.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="747" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOaHmSk5E45PK19Kpz8C752GibrlJQR009i2SWh0vFOsTl759ZEQp75ygU4XeDYASD6PrLwU_ZC7s4gyVzdQ87yy-rfwr5dsoMhUheS_SNBbvaqn4seA85_fqc-F4dz2v0zGZR82eG-hd0zUh20UB3QZG7kRex4fHnsvsJ7ubikai7FEXr3ZyZvdfz8hOB/w225-h400/Il%20migliore%20dei%20mondi.jpg" width="225" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b>"Il migliore dei mondi" di Maccio Capatonda aka Marcello Ma</b></span><b>cchia. Con Maccio Capatonda, Piero Sermonti, Martina Gatti, Stefania Blandeburgo, Luca Vecchi e altri. Italia 2023 </b></span></span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77);"><b>★★★1/2</b></span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Prodotto dalla </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Leone Group</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"> e distribuito da </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Prime Video</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, e visibile su questa piattaforma in </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">streaming, </i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">il terzo lungometraggio che vede Maccio Capatonda sia nelle vesti di regista sia di protagonista, oltre che autore del soggetto, non assurge alle cime abissali di </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2016/01/italiano-medio-vs-quo-vado.html">Italiano medio</a></i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, suo film d'esordio del 2016, ma si colloca al discreto livello di </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Omicidio all'italiana</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, del 2017, godibile, scritto bene e interpretato in modo eccellente quanto stralunato dallo stesso Maccio e dai suoi compagni di ventura, a cui manca però ancora una certa fluidità e continuità per farne una commedia a tutto tondo, di grande respiro. Sul "breve", vedi </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">spot</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">sit-com</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">videoclip</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, Capatonda è un fenomeno, così come lo è nella parte dei personaggi solo apparentemente macchiettistici che dipinge in toni volutamente esagerati, ma assolutamente congrui alla realtà di tutti i giorni da cui li pesca, realtà e squallore che sono spesso oltre ogni immaginazione: lui ha il coraggio di metterli in scena, altri suoi più noti colleghi no. Diversa la compagnia di giro e l'ambientazione abituali: siamo nel 2023, a Roma e non a Milano oppure in Molise, e il nostro eroe, Ennio Storto, è il tipico </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">nerd</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, uno smanettone che gestisce un negozio di elettronica assieme al fratello, ex ribelle </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">no global</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, che rimpiange i tempi dei </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">cocktail molotov </i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">e si dà alle droghe da discoteca. Ennio invece conduce una vita abitudinaria e senza scosse, scandita dalla rete in una casa domotica dove dialoga con</span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"> Alexa</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, si masturba con video porno, fa "dating" non impegnativi, finché non incrocia Viola, una ragazza che appartiene a una comunità che rifiuta il rincoglionimento tecnologico e viene a farsi riparare un <i>modem </i>da 56 kb, agli occhi del tecnico un reperto archeologico: quando si fa convincere ad accontentarla, viene catapultato in un universo parallelo dove lo sviluppo informatico, in seguito ai disastri del </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Millennium Bug</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, è stato bloccato negli anni Novanta. Ennio vi cade fornito del suo </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">iPhone14</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">, che susciterà le mire di un gruppo di rivoluzionari, una setta confinata in un ospedale psichiatrico di cui fa parte Viola (di cui in questo mondo di innamora), che invece crede nello sviluppo tecnologico, insomma un totale ribaltamento dei ruoli e un viaggio nel tempo, pane per Capatonda e per il suo omino: basti pensare come si destreggia in automobili non dotate di servosterzo e, soprattutto, navigatore... Il resto ve lo lascio immaginare. Peccato che Viola, che possiede il </span><i style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">modem</i><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;"> che è l'unico mezzo per consentirgli un ritorno nell'universo originario, muoia in una sparatoria con la polizia, e mentre il fratello ritroverà il suo spirito rivoluzionario, lui dovrà rivolgersi a Steve Jobs in persona che, dopo il disastro del <i>Bug</i>, si è rifugiato sotto falso nome in un casolare di campagna. Insomma, ce n'è per tutti. Si ride, a tratti si sghignazza, ma con un fondo amarognolo, sentendosi anche abbastanza cretini per come siamo diventati ormai totalmente dipendenti da <i>smartphone</i> e compagnia. E se lo dice Marcello Macchia che è del ramo, c'è da credergli. Insomma: soddisfatto, ma il buon Maccio ha ampi margini di miglioramento anche sul "lungo".</span> </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-29362591682633578992023-11-08T18:52:00.003+01:002023-11-08T18:56:36.974+01:00Anatomia di una caduta<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjfmacGCDFGrIflPkSME9TD9Cjp-HJtv1uzHD7XqoE20aVFkNbOFtNwWLkmvsSVnGz8vW1dG3WBlP5-tK3mVhiDCia9o9uVBNa5OwlVlUT7UB_WK0e46nC18q8qS26HGqs2wi1pfIuzfmea3dYI2O80IqR-Hc8aAJtwavWQnBMWQAmUuS60kn3Md0ZPzTdp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="477" data-original-width="319" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjfmacGCDFGrIflPkSME9TD9Cjp-HJtv1uzHD7XqoE20aVFkNbOFtNwWLkmvsSVnGz8vW1dG3WBlP5-tK3mVhiDCia9o9uVBNa5OwlVlUT7UB_WK0e46nC18q8qS26HGqs2wi1pfIuzfmea3dYI2O80IqR-Hc8aAJtwavWQnBMWQAmUuS60kn3Md0ZPzTdp=w268-h400" width="268" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Anatomia di una caduta" (Anatomie d'une chute) di Justine Triet. Con Sandra Hüller, Swann Arlaud, Milo Machado Graner, Antoine Reinarzt, Samuel Theis, Jehnny Beth, Saadia Bentaïb e altri. Francia 2023 </b></span><b style="font-size: 16px;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">★★★1/2</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Benché diffidi sempre dei verdetti delle giurie dei maggiori festival cinematografici, specialmente negli ultimi decenni dominati dal dogma del "politicamente corretto" con ulteriori iniezioni di <i>Me Too</i> di rinforzo al luogo comune, fregiarsi della <i>Paola d'Oro</i> è sempre un buon viatico e quindi di buon grado sono andato a vedere <i>Anatomia di una caduta</i>, quella che ha causato la morte di Samuel dal balcone dello chalet di montagna (siamo vicini a Grenoble) dove viveva con la moglie Sandra Voyter (una scrittrice tedesca di successo) e il figlio ipovedente Daniel. Caduta che viene analizzata in ogni possibile dettaglio in fase di indagine e poi dibattimentale, perché prima la polizia e poi la pubblica accusa dubitano della causa accidentale e puntano i loro sospetti sulla donna. Lo schema è dunque quello di film poliziesco e processuale, la cui azione è ambientata in gran parte nell'aula del tribunale del capoluogo regionale dove si svolge il processo, tra interrogatori e controinterrogatori dell'accusata, degli investigatori, dei periti e di altri testi e che diviene, visti l'argomento e la pruriginosità dei palesi dissapori di coppia e la notorietà dell'accusata, un caso mediatico. In realtà ciò che viene dissezionato è il rapporto di una coppia disfunzionale in cui i ruoli tradizionali sono invertiti: Sandra è una donna forte, indipendente, autocentrata, che non nega di ispirarsi per i propri romanzi a eventi reali tratti dalla propria esperienza come anche di trarre spunto da idee di suo marito, un ex docente che si è ritirato dall'insegnamento proprio per dedicarsi anche lui alla scrittura ma a cui viene a mancare l'ispirazione, a </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">differenza di Sandra che va av</span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;">anti spedita per la sua strada. Però a incrinare la loro relazione è il senso di colpa che Samuel sente per l'incidente che ha causato la lesione al nervo ottico del figlio, rendendolo quasi cieco, su cui in parte gioca Sandra per rinfacciargli l'inconcludenza oltre alla scelta di essersi isolati in un luogo isolato, con scarsissimi contatti con il prossimo e pressoché privi di vita sociale. Durante il processo Sandra (la interpreta l'omonima Hüller, attrice tedesca di grandissima levatura, eccezionale nella parte) è assistita dall'avvocato Rizzi (Swann Arlaud), un amico di vecchia data, e verrà alla fine scagionata grazie a una testimonianza del figlio e... del cane di famiglia, ma non è l'esito di un<i> thriller</i> quasi "hitchcockiano" nel ritmo e nell'intrigo (ci sono anche molti <i>flash-back </i>a illustrare un rapporto di coppia fatto di profonda incomprensione e visioni diametralmente opposte) la parte interessante del film quanto la doppia verità che emerge da un flusso continuo di domande e risposte, resa evidente soprattutto durante il dibattimento ma anche dalle registrazioni di alcuni scambi verbali effettuate da Samuel durante i numerosi litigi della coppia, recuperate e prodotte in aula. Insomma un film interessante, ben congegnato, forse un po' troppo arzigogolato, a cui probabilmente avrebbe giovato una sforbiciata di un buon terzo delle due ore e mezzo di durata per renderlo meno simile a un prodotto televisivo. Comunque, non male, in gamba la regista Justine Triet, giunta al suo quarto lungometraggio (il primo per me) anche se il negletto <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2023/09/la-verita-secondo-maureen-k.html">La verità secondo Maureen K.</a></i> di Jean-Paul Salomé. apprezzato di recente, con cui pure ha qualche affinità (per la parte poliziesco-processuale, oltre che per avere come protagonista una donna in stato di accusa), è a tutt'altro livello.</span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-40326118393864761742023-11-04T21:36:00.003+01:002023-11-04T21:36:44.105+01:00C'è ancora domani<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEin4_WfoChd85JvdAebHf70VVM6irkIoXyk4zuF2WmC5E_oaplz3XqRjMtV9cyKg6WFSYHPXDqNmDFB2hhg13VhiSRXrY3LlrnfRDd2TYYpgZ1IlgYR90cz31UdXr7qMev-t8hEYMsX6KDmlvkaLhrg2pHlAevoHwRePV39TagOGXJ0GCwws-12_SKZMyFw/s600/C'e%CC%80%20ancora%20domani.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEin4_WfoChd85JvdAebHf70VVM6irkIoXyk4zuF2WmC5E_oaplz3XqRjMtV9cyKg6WFSYHPXDqNmDFB2hhg13VhiSRXrY3LlrnfRDd2TYYpgZ1IlgYR90cz31UdXr7qMev-t8hEYMsX6KDmlvkaLhrg2pHlAevoHwRePV39TagOGXJ0GCwws-12_SKZMyFw/w280-h400/C'e%CC%80%20ancora%20domani.jpg" width="280" /></a></span></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"C'è ancora domani" di Paola Cortellesi. Con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Sergio Colangeli, Vinicio Marchioni, Francesco Centorame e altri. Italia 2023</span><span style="font-size: medium;"> </span></b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★1/2</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Eccellente esordio alla regia di Paola Cortellesi, che mi fa un immenso piacere perché da sempre la stimo come attrice, comica, sceneggiatrice ma soprattutto come persona: intelligente, equilibrata, discreta, mai sopra le righe. Film d'apertura della recente <i>Festa del Cinema</i> di Roma, dove ha ricevuto diversi riconoscimenti, a cominciare dall'apprezzamento del pubblico: scontato forse nella capitale, dove "gioca in casa", ma confermato dal successo che <i>C'è ancora domani</i> sta avendo nelle sale di tutto il Paese dopo la sua uscita, la scorsa settimana (a Udine, al Visionario", un applauso spontaneo durante una proiezione pomeridiana, cosa del tutto inconsueta). E la pellicola merita, ché più italiana non potrebbe essere, omaggio sì (ma non solo) al genere cinematografico più originale che questo Paese abbia prodotto, il neorealismo, ma anche alla commedia che, sotto varie forme, ne sarebbe stata l'erede e che ne ha raccontato la storie, i vizi le e virtù, mettendolo impietosamente davanti allo specchio. Paola Cortellesi lo fa con un film molto originale, con cui ha voluto raccontare le storie a sua volta ascoltate da parenti più anziani: bisnonni, nonni, genitori, zii che le avevano vissute nell'immediato dopoguerra. Siamo infatti a Roma, vita di quartiere, anzi: di cortile, nella tarda primavera del 1946: per le strade c'è ancora la <i>Military Police</i> americana. La giornata di Delia, la protagonista (Paola Cortellesi stessa) inizia con un ceffone ricevuto dal marito Ivano (un grandioso e Valerio Mastandrea, generoso ad accettare il ruolo di un personaggio così odioso) mentre gli dà il buongiorno. Ché a Ivano si devono perdonare gli scatti d'ira, ché, poveretto, "ha fatto due guerre". Sulla quarantina, la donna ha tre figli, di cui la maggiore, Marcella, vorrebbe studiare ma non può perché è meglio che porti a casa una paga e cerchi un buon partito: infatti è fidanzata col figlio del bar-pasticceria del rione, rampa di lancio per uscire dalla condizione in cui versa la famiglia. Delia, oltre a tenere in ordine il sottoscala in cui vivono, fa lavori di rammendo per una merciaia, iniezioni a domicilio, riparazioni di ombrelli. Abbozza in casa, ma ha la sua valvola di sicurezza fuori: un amore di gioventù che fa il meccanico e sta pensando di trasferirsi al Nord (Vinicio Maerchioni), soprattutto un'amica che vende ortaggi al mercato (Marisa, interpretata da Emanuela Fanelli: strepitosa) che la sostiene. In casa sopporta, ha pure a carico il suocero capriccioso e indolente (Sergio Colangeli: altra chicca). Vita quotidiana, pure squallida, dove il sopruso, anche la violenza, viene condivisa pure dai vicini, ché denunciarla non servirebbe: Cortellesi la descrive così com'era, e chi ha vissuto la vita di "cortile" in un rione di una grande città anche solo negli anni Cinquanta e Sessanta lo sa, senza premere mai sul tasto più scontato, il manicheismo che, invece, caratterizza il "politicamente corretto" in auge attualmente. La violenza maschilista, pur denunciata, è messa anche in ridicolo, e le scene potenzialmente più cruente risolte magari in un<i> casquet, </i>ballando su un motivo d'epoca, intonato da Achille Togliani, oppure su un pezzo di Lucio Dalla o Battiato, apparentemente fuori contesto ma in realtà del tutto "sul pezzo". Ho molto apprezzato anche che Paola abbia usato la parola "negro" parlando, per l'appunto, con un militare statunitense di colore: termine che fino a solo quarant'anni fa non aveva nessun connotato offensivo o razzista. Non tutto è bianco e nero, dice il film, benché in bianco e nero, molto suggestivo e assolutamente congruo, sia la pellicola: altra scelta coraggiosa e inusuale. Un bel giorno Delia riceve una lettera indirizzata proprio a lei: la legge, la mette da parte in un luogo segreto, dove tiene anche i suoi pochi risparmi personali (il suo tesoro), sembra uno spiraglio per un futuro diverso. Lo sarà, ma non come immagina, inevitabilmente, la gran parte degli spettatori: la sorpresa è in agguato e sta nel titolo. E nella lettera che una lettera non è, ma un "passaporto" per un futuro diverso, forse. Perché dopo la domenica, c'è (o almeno c'era) anche un lunedì. Come scoprirà chi seguirà il mio consiglio di non farsi scappare questo film. Che merita, come Paola Cortellesi, un applauso, anche per avere fatto un atto più che mai politico senza mai parlare di politica. Brava davvero. </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-19844404416193264882023-10-31T12:57:00.001+01:002023-10-31T12:57:09.878+01:00Killers of the Flower Moon<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixjr43iTc41Znw0rktVoHgIwK235G7Ys_YV4uP2l-Ua6XPXaxJLmyAGKrUPdb2FH5DXe6M9EHzeZrj88dUuUKZmwCvWWm1injbcuIsklkoAA-LNOU3LnniwsYndVEAv1JHW3NEG7_jgVKkOE7qV9dX5ZUtFVPRUM3o-PE4NFFTQ47_Rf1H6okAQWjWiJwt/s525/Killers%20of%20the%20FlowerMoon.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="525" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixjr43iTc41Znw0rktVoHgIwK235G7Ys_YV4uP2l-Ua6XPXaxJLmyAGKrUPdb2FH5DXe6M9EHzeZrj88dUuUKZmwCvWWm1injbcuIsklkoAA-LNOU3LnniwsYndVEAv1JHW3NEG7_jgVKkOE7qV9dX5ZUtFVPRUM3o-PE4NFFTQ47_Rf1H6okAQWjWiJwt/w320-h400/Killers%20of%20the%20FlowerMoon.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Killers of the Flower Moon" di Martin Scorsese. Con Leonardo DiCaprio, Robert De Niro, Lily Gladstone, Jesse Plemons, Brendan Fraser, Louis Cancelmi, Larry Sellers e altri. USA 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★★</span></b><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77);">Sono tre ore e mezzo ben spese, quelle che attendono chi si decide di andare a vedere in sala l'ultimo lavoro di Martin Scorsese che, infallibilmente, ha colpito ancora con un monumentale affresco che mette in luce, attraverso una micro saga famigliare che ruota attorno a tre personaggi, tutto l'immenso marciume, </span></span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">l'avidità, </span><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">la grettezza, il razzismo, l'ignoranza che stanno alla base società americana, la stessa che impone il suo modo di vivere e il suo sistema come un valore universale da difendere a qualsiasi costo contro chi osa metterlo in dubbio o semplicemente si rifiuta di condividerlo: ne abbiamo un esempio proprio attualmente, con le guerre foraggiate da questo impero in disfacimento e dai suoi alleati più fedeli (a cominciare dal nostro governo attuale e a buona parte di quelli che l'hanno preceduto). Si tratta dell'adattamento dell'omonimo romanzo-indagine di David Gann, uscito in Italia col titolo <i>Gli assassini della terra rossa</i>, e sceneggiato dallo stesso Scorsese assieme a Eric Roth, che racconta come un'orda di famelici "coloni" bianchi si siano impossessati, con i vari trucchi consentito dalla "legge" (quella del<i> Far West</i>, in sostanza, che caratterizza tuttora il sistema normativo USA, una cosa da primitivi, per un qualsiasi europeo continentale e che avrebbe inorridito un qualsiasi cittadino dell'Impero Romano 2000 anni fa), di tutti i diritti che facevano capo alla Nazione indiana degli Osage dopo che in Oklahoma, terra desolata dove erano stati forzatamente trasferiti e relegati dagli originari territori che abitavano negli attuali Kansas e Louisiana, era stato scoperto il petrolio. Che aveva fatto immensamente ricchi gli indigeni, i quali però potevano esercitare le loro facoltà solamente attraverso un tutore bianco. In questa situazione, nei primi anni Venti del Novecento, Ernest Burkhard (DiCaprio), un giovane reduce di guerra senza arte né parte né dotato di grande intelligenza, ma attirato dal danaro facile, torna nella natìa Fairfax dove lo zio William Hale (De Niro) lo assume come autista e, sostanzialmente, tirapiedi, invitandolo a cercare moglie fra delle eredi Osage, in modo da poterne a sua volta ereditare i diritti ed esercitarli direttamente e, appunto, "legalmente". E, per interesse ma anche per amore, Ernest la moglie la trova in Molly (Lily Gladstone), che ha visto morire il padre e poi una dopo l'altra la madre e le sorelle, uccise o in circostanze oscure, e lei stessa via via avvelenata, fino a perdere quasi del tutto la capacità di agire, con una falsa cura per il diabete di cui soffre. Cosa che succede a tutta la gente Osage, infiltrata man mano da avventurieri bianchi con la complicità tacita del governo. Unica eccezione alcuni agenti del neonato BOI (dal 1935 FBI) di Edgar J. Hoover, mandati a Fairfax da Washington per risolvere i casi di morti sospette e guidati da Tom White (Jesse Plemons), che riescono a convincere Ernest a testimoniare contro lo zio, la vera anima nera che si professava amico e protettore degli Osage, mettendo alle strette Hale, ma l'unico che pagherà davvero, nonostante gli accordi presi, sarà proprio l'ingenuo e sprovveduto Ernest, che perderà tutto mentre i veri <i>gangster</i> si approprieranno di tutto, distruggendo ancora di più la Nazione Osage. Grande prestazione dei due attori protagonisti, con una menzione di merito particolare per Leonardo di Caprio, che ha accettato il ruolo di un personaggio sotto tono rispetto a quelli che interpreta di solito, un giovane privo di talento e fondamentalmente stupido, attirato sì dal denaro ma non del tutto immorale, innamorato della moglie ma ignaro dei meccanismi diabolici messi in atto dallo zio e del significato di quel che gli accade intorno. Anche Hale, del resto, è a suo modo "in buona fede", si crede sul serio amico degli indigeni ma perché li considera poco più che degli animali domestici, infarcito com'è della retorica della frontiera che ancora oggi ammanta di un supposto idealismo l'atavica sete di danaro a qualunque costo e l'individualismo sfrenato che stanno alla base del mito americano e del relativo sistema di vita e di "valori": si sta parlando di un Paese nato su un genocidio sistematico e che non ha ancora risolto, nel 2023, il problema del razzismo, non solo verso i pochi "nativi" superstiti, i milioni di discendenti degli schiavi africani ma anche le nuove minoranze, a cominciare da quella ispanica, in preda a una violenza endemica nonché il più drogato e impasticcato del pianeta. Tutta la filmografia di Scorsese (e di rari coraggiosi autori, come Quentin Tarantino e pochi altri ancora) è lì a ricordarcelo. Da sottolineare, oltre all'accuratezza della ricostruzione ambientale, una fotografia con i controfiocchi, interpretazioni di altissimo livello e, al solito, una colonna sonora di lusso, affidata niente meno che a Robbie Robertson (già membro della <i>Band</i>), purtroppo scomparso nell'agosto scorso. Grande film, a mio parere imperdibile, e Scorsese sempre un fuoriclasse. </span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-67614469961183796022023-10-25T20:35:00.001+02:002023-10-25T20:35:49.485+02:00Il cielo sopra Berlino<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFLRIhK1Gi1QN61H5U-GNW8D1ti35stK5u90wRZDy3slVmp3Rjsv5kAhmOXX28sQ-IimKGI44DiHIqAZZ4o1yq18qiOML0KGOHu-pmKZ9FtNmXMoA-NeN3JCJfRmJ60UF8Ye6_EvUiOPUhCTqNiAnNVGU7DdvyBOD0E3-6k7-gYmare3cwkBhxIunv3wMI/s1600/Il%20cielo%20sopra%20Berlino.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1137" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFLRIhK1Gi1QN61H5U-GNW8D1ti35stK5u90wRZDy3slVmp3Rjsv5kAhmOXX28sQ-IimKGI44DiHIqAZZ4o1yq18qiOML0KGOHu-pmKZ9FtNmXMoA-NeN3JCJfRmJ60UF8Ye6_EvUiOPUhCTqNiAnNVGU7DdvyBOD0E3-6k7-gYmare3cwkBhxIunv3wMI/w284-h400/Il%20cielo%20sopra%20Berlino.jpg" width="284" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Il cielo sopra Berlino" (Der Himmel über Berlin) di Wim Wenders. Con Bruno Ganz, Otto Sander, Peter Falk, Solveig Dommartin, Didier Flamand, Curt Bois, Lajos Kovács, Teresa Harder e altri. Germania, 1987 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★★</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Dal 2 ottobre è tornata in circolazione nelle sale la versione restaurata, a cura della <i>Wim Wenders Foudation</i> in collaborazione con la Cineteca di Bologna, del capolavoro del regista tedesco, <i>Palma d'Oro</i> a Cannes 35 anni fa, un film senza tempo (e senza età) come gli angeli che ne sono protagonisti, Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander), i quali hanno l'incarico di assistere i berlinesi dall'alto di quell'unico cielo che sovrasta la città che, quando fu girato, nel 1987, era ancora divisa in due dal Muro. Li vediamo ascoltare i pensieri delle persone sui treni della metropolitana, nelle strade e nei negozi, nelle sale di lettura della biblioteca di Stato, nei bar, e si ritrovano ogni tanto a raccontarsi le loro esperienze e le loro impressioni: vivono in un universo in bianco e nero dove solo i bambini sono in grado di riconoscerli, come avviene nel circo dove capita Damiel e dove vede all'opera una trapezista alla sua ultima rappresentazione, licenziata perché il circo chiuderà per debiti, che volteggia sul suo attrezzo, incantando il pubblico, con delle ali attaccate alle spalle; oppure i poeti, come Homer, che invano cerca la Potsdamer Platz, prima della guerra una delle più belle piazze europee, trovando uno spiazzo desolato dove non è rimasto che il famoso Muro. Li riconosce anche un attore americano, venuto a girare un film ambientato in epoca nazista, Peter Falk, universalmente noto come il Tenente Colombo, pure lui un ex angelo che ha rinunciato all'immortalità per aiutare concretamente, condividendone l'esistenza, gli umani. Che la loro vita la vivono a colori, come a colori sono le immagini della Berlino uscita distrutta dai bombardamenti, e quelle della seconda parte del film, quando Damiel decide anche lui di diventare umano e andare in cerca della bella trapezista (Solveig Dommartin) che aveva incontrato una seconda volta, mentre era ancora uno spirito, in un locale dove si teneva un concerto di <i>Nick Cave and The Bad Seeds: </i>ricordo, se fosse necessario, il ruolo fondamentale che la musica ha avuto in tutta la filmografia di Wenders, almeno quanto le parole (qui la sceneggiatura si avvale del contributo dell'amico Peter Handke, che ha collaborato con lui anche in altre occasioni) e la fotografia (che ne<i> Il cielo sopra Berlino</i> era curata da Henri Alekan, da cui anche il circo citato nella pellicola prende il nome). E' proprio Peter Falk ad avvertire Damiel degli inconvenienti che potrà incontrare diventando uomo in carne e ossa, a dargli suggerimenti e a incoraggiarlo a cercare la giovane donna che da subito aveva sentito come l'unico completamento possibile del suo essere, e che a sua volta stava attendendo la persona del suo destino. Un film profondamente umanista, di grande suggestione e di rara poesia, che è un viaggio nella memoria della città, nella crisi di identità dei suoi abitanti per la sua vicenda del tutto particolare, e quindi inserito in un ben preciso contesto storico, ma che ha al cobtempo una valenza generale, parla del significato del tempo, dei sogni e delle aspirazioni, della ricerca di felicità e pienezza di ogni essere umano, di dare insomma un senso alla propria esistenza nonostante tutte le contrarietà degli eventi e i condizionamenti a cui è sottoposto. Se vi capita a portata di mano, va da sé che raccomando di correre a vederlo. Il paragone con quello che è mediamente in circolazione negli ultimo dieci anni è sconfortante. </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-48351882081351513532023-10-21T11:17:00.002+02:002023-10-21T11:17:56.174+02:00L'ultima volta che siamo stati bambini<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfeKefBixSrqHlfmds0tY6Ch6UGAQKQdeJ6eecGrl0tw7Nk7lkDPI56ixV3f_bv35gyz-rpaz6j_l3LRMmyzV0B3J7gm-389wADZsIKdf8yUABuwZVth-oGAk-CCGwxIKpGlTOPKJAYpLMeP1u-NqGNz5v7s8N9VJ823dwAIm4fmSzpdWKZt8_JxKmeo4r/s268/L'ultima%20volta%20che%20siamo%20stati%20bambin.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="268" data-original-width="188" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfeKefBixSrqHlfmds0tY6Ch6UGAQKQdeJ6eecGrl0tw7Nk7lkDPI56ixV3f_bv35gyz-rpaz6j_l3LRMmyzV0B3J7gm-389wADZsIKdf8yUABuwZVth-oGAk-CCGwxIKpGlTOPKJAYpLMeP1u-NqGNz5v7s8N9VJ823dwAIm4fmSzpdWKZt8_JxKmeo4r/w281-h400/L'ultima%20volta%20che%20siamo%20stati%20bambin.jpeg" width="281" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"L'ultima volta che siamo stati bambini" di Claudio Bisio. Con Alessio di Domenicantonio, Vincenzo Sebastiani, Carlotta De Leonardis, Lorenzo McGovern Zaini, Marianna Fontana, Federico Cesari, Antonello Fassari, Claudio Bisio e altri. Italia 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★1/2</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Cosimo, Italo, Vanda e Riccardo sono quattro bambini sui dieci anni di estrazione diversa che vivono nello stesso quartiere a ridosso del Tevere, dalle parti del Ghetto, e che hanno stretto tra loro il "patto dello sputo" (di sangue ne scorre già abbastanza...): a Roma sono ancora fresche le ferite del bombardamento del 19 luglio del 1943 che l'hanno resa una "città aperta", di fatto in mano ai tedeschi, e siamo nei giorni che seguono la vergognosa fuga del re fellone e della sua corte dei miracoli guidata dal maresciallo Pietro Badoglio dopo l'8 settembre. Quando Riccardo, dopo il rastrellamento degli ebrei romani del 16 ottobre scompare, assieme ai genitori, che avevano una merceria nei pressi del Portico d'Ottavia, saputo che sono diretti con un treno in Germania in un "campo di lavoro", decidono di andare a recuperarlo. La guerra vista con gli occhi, non sempre innocenti in verità, dei bambini non è un tema nuovo e l'accostamento a<i> La vita è bella</i> di Benigni (ma anche ad altri film sul genere) è immediato: in questo caso la sceneggiatura, dello stesso Bisio, assieme a Fabio Bonifaci, è basata sul romanzo omonimo di Fabio Bartolomei, e ha come tema l'amicizia e la solidarietà al di là di tutte le differenze. Cosimo infatti è figlio di un dissidente politico al confino, Italo di un gerarca (impersonato dallo stesso Bisio in un cameo) e fratello di Vittorio, un militare ferito in Africa, dunque un "eroe" di guerra, mentre lui è grasso e goffo; Vanda è senza genitori ma è la testa fina, e scappa ogni giorno dall'orfanotrofio che la ospita e dalla sorveglianza, complice, della giovane Suor Agnese, per raggiungere i suoi tre amici. Proprio quest'ultima e Vittorio si mettono all'inseguimento del trio seguendo i binari della ferrovia e incappando in una serie di disavventure abbastanza improbabili, che seguono a ruota quelle che si abbattono sui tre ragazzini. Rischiano anche l'esecuzione da parte dei tedeschi (come al solito i cattivi della situazione, mentre i loro complici nostrani, alla fine, vengono comunque fatti passare per bonaccioni tutt'al più un po' opportunisti e codardi, come da stantìo luogo comune). Si sorride, per la sostanziale lievità e l'aspetto favolistico del racconto, nonostante il finale amarognolo che non svelo (almeno c è stato risparmiato il lieto fine), ma alla fine il film non convince del tutto. Se è lodevole l'intento di ricordare la deportazione degli oltre duemila ebrei romani (dai campi di concentramento ne tornarono soltanto 101, e nessun bambino), le lacune non mancano, a cominciare dai <i>cliché</i> accennati prima, e dall'eccesso nel caricaturare situazioni e personaggi, mentre l'aspetto positivo sta nell'interpretazione dei personaggi principali, in particolare i ragazzini, che sono bravi e spontanei per conto loro ma il merito anche all'esordiante regista per averli saputi dirigere, ma sono certo che Claudio Bisio, se ne avrà l'occasione, sia capace di proporre qualcosa di meglio e di più originale. </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-24020924314383432952023-10-15T12:18:00.001+02:002023-10-15T12:19:09.881+02:00Non credo in niente<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGBX6y25uwVD69ccxWfWJH29YF25yfxLuxBO-BbnIxK4wk6sMUXzupjJEP1HHo-Yk7tZt0hPguGBuvIcN5FDly4Am9MT7-M8fvzN83SuaPUNdbMQ937hTMrLmDxa-7XZBFrtEXkBtEymQewyJioIUPBgOO45hPuuPsywpegaa-ep2U0D8P7-5ohYilBLqL/s601/Non%20credo%20in%20niente.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="601" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGBX6y25uwVD69ccxWfWJH29YF25yfxLuxBO-BbnIxK4wk6sMUXzupjJEP1HHo-Yk7tZt0hPguGBuvIcN5FDly4Am9MT7-M8fvzN83SuaPUNdbMQ937hTMrLmDxa-7XZBFrtEXkBtEymQewyJioIUPBgOO45hPuuPsywpegaa-ep2U0D8P7-5ohYilBLqL/w280-h400/Non%20credo%20in%20niente.jpg" width="280" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"Non credo in niente" di Alessandro Marzullo. Con Demetra Bellina, Giuseppe Cristiano, Renata Malinconico, Mario Russo (II), Lorenzo Lazzarini, Gabriel Montesi, Juni Ichikawa, Antonio Orlando (II) e altri. Italia 2023 </span></b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★+</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77);"><span style="font-size: large;">Come un'affiatata <i>rock band</i>, a bordo di una vecchia <i>Citroën Station Wagon</i>, il coproduttorre e attore Lorenzo Lazzarini, l'interprete principale Demetra Bellina, che giocava in casa essendo nata nel capoluogo friulano, e il regista e sceneggiatore Alessandro Marzullo, all'esordio nel lungometraggio, sono venuti al <i>Visionario </i>di Udine a presentare <i>Non credo in niente,</i> che aveva ricevuto un'ottima accoglienza alla <i>59ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema </i>di Pesaro ed è uscito nelle sale il 28 di settembre: alla fine della proiezione si sono intrattenuti per oltre un'ora assieme a un pubblico folto e decisamente soddisfatto, rispondendo a numerose domande non banali, dimostrando una disponibilità non comune. Una viaggio notturno in una Roma sporca e degradata da parte di una serie di anime fluide, per parafrasare Zygmunt Bauman, giovani sulla soglia dei trent'anni, tutti alle prese con delle aspirazioni artistiche frustrate da un'esistenza fatta di lavoro precario e sottopagato, che vivono una realtà sempre più squallida, piatta, chiusi in un solipsismo senza prospettive, incapaci di intrattenere dei rapporti solidi e relazioni solidali col prossimo, in definitiva di fare gruppo: l'esatto contrario di quello che hanno fatto tutti coloro che hanno dato vita a questo piccolo miracolo, i quali in estate a Pesaro si sono presentati in massa alla proiezione di quello che non è un grido nichilista, come potrebbe sembrare dal titolo, ma una presa d'atto dello stato delle cose che vuole indicare che una svolta è possibile, facendo squadra e mettendo a frutto i propri talenti, realizzare le proprie aspirazioni. Mettendosi in gioco, insomma, cosa che questi ragazzi hanno fatto per <i>Non credo in niente</i>. Film che non ha bisogno di una vera e propria trama, una storia che lo sorregga, per fare percepire allo spettatore le sensazioni e il malessere dei suoi personaggi, la loro difficoltà a stare al mondo "senza disunirsi", citando a sua volta il Sorrentino di <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2021/12/e-stata-la-mano-di-dio.html">E' stata la mano di Dio</a>: </i>sono sufficienti le immagini, frammenti di vita dei diversi personaggi, che si incrociano soltanto in una specie di zona franca, lo spazio dove staziona il furgone del "paninaro" (interpretato fra l'altro da Lorenzo Lazzarini), una specie di confessore laico, o psicologo di strada, che ha la parola giusta per tutti, dove ciascuno di loro riesce, per un attimo, a essere davvero se stesso. Abbiamo una coppia di musicisti, lei pianista e lui violinista, che da anni ormai vive un rapporto disfunzionale lavorando in nero per un ristoratore che li sfrutta; un attore che, tra un provino e l'altro, si dedica ossessivamente al sesso occasionale; una giovane <i>hostess</i>, bravissima a disegnare, che tra un volo e l'altro e un soggiorno nell'albergo dove scende abitualmente si incontra e si scontra con un giovane aspirante scrittore che lavora alla <i>reception...</i> Lampi di luce nel buio, locali notturni, scene di strada, l'officina di un meccanico che ripara motociclette, amico dell'attore che su una <i>Yamaha</i> attraversa le strade buie e deserte della capitale. Il film è fatto di bagliori improvvisi, parcellizzato come lo sono le esistenze dei suoi personaggi, schegge verbali, volutamente destrutturato ma al tempo stesso tenuto insieme da una colonna sonora poderosa, che si deve a Riccardo Amorese, e a una fotografia satura, di grana grossa: Marzullo ha volutamente girato il film su pellicola da 16 mm, che l'ha costretto alla ridurre al minimo le riprese per motivi di costo (il film è stato girato in 13 notti nell'arco di 2 anni e ha richiesto un accorato lavoro di montaggio) e il risultato ricorda non poco le atmosfere dei film di Wong Kar-wai, il grande autore di Hong Kong a cui il giovane regista modenese ha esplicitamente detto di ispirarsi. Il risultato è una pellicola (è il caso di dirlo) fortemente sperimentale, frutto di un rigoroso lavoro di gruppo in cui tutte le componenti hanno dato il loro contributo, anche di scrittura, del tutto inconsueta nel panorama italiano, anche quello del cosiddetto "nuovo cinema" dei vari D'Innocenzo, Parroni, Bozzelli. Film generazionale, certamente, ma il disagio dei suoi coetanei Marzullo è riuscito a esprimerlo compiutamente meglio di chiunque altro, a mio parere. Un esordio più che incoraggiante e una gradita sorpresa: nuovo cinema con un sapore antico. </span></span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-52336015637419291202023-10-11T18:28:00.002+02:002023-10-11T18:28:25.386+02:00Kafka a Teheran<p><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"></span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4mZFsf1lY4pkU10QdxuouRUPbYIuQ6JjMPuKlqoFYw4Gnd19b8l6XY3_mN0q7gqYZ6qZhyphenhyphenVyrJDXglDFzZxUqbMy_oH5hPuKt1eTXhQpwsjTgmvrnEUBwbGJrJM3thQT7AlIBTMWGCcaAt-8s_skR2MyB2yKpN8EGwkG7zgoEmfzbAyYJRi0YwevgzIH5/s253/Kafka%20a%20Teheran.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="253" data-original-width="199" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4mZFsf1lY4pkU10QdxuouRUPbYIuQ6JjMPuKlqoFYw4Gnd19b8l6XY3_mN0q7gqYZ6qZhyphenhyphenVyrJDXglDFzZxUqbMy_oH5hPuKt1eTXhQpwsjTgmvrnEUBwbGJrJM3thQT7AlIBTMWGCcaAt-8s_skR2MyB2yKpN8EGwkG7zgoEmfzbAyYJRi0YwevgzIH5/w315-h400/Kafka%20a%20Teheran.jpeg" width="315" /></a></span></b></div><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">"Kafka a Teheran" (Ayeh haye zamini/Terrestrial Verses) di Ali Asgari e Alireza Khatami. Con Majid Salehi, Gohar Kheirandish, Farzin Mohades, Safad Asgari, Hossein Soleimani, Faezeh Rad, Bahram Ark, Sarvin Zabetian, Arghavan Shabani, Ardeshir Kazemi. Iran 2023 </span></b><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★1/2</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Come in un caleidoscopio, nove episodi di vita quotidiana a Teheran in interni diversi, intitolati con il nome dei protagonisti, e uno finale che vede un vecchio seduto immobile a una scrivania, la moderna<i> skyline</i> della città che si scorge dalla vetrata alle sue spalle, mentre un terremoto la scuote dalle fondamenta e i futuristici grattacieli della capitale iraniana crollano uno dopo l'altro. Un mirabile esempio di cinema civile, anzi: di vera e propria resistenza umana, realizzato a quattro mani da Asgari e Khatami superando le infinite trappole e difficoltà facilmente immaginabili a quelle latitudini e a cui sicuramente non verrà data libera visione in patria. Abbiamo un neo padre a cui viene vietato di iscrivere all'anagrafe il figlio con il nome di David, perché non è "coranico" e sciita, a cui al massimo verrebbe consentito il persiano Davood, che ne è l'equivalente; la bimba in tuta e felpa che viene agghindata "islamicamente" per partecipare a una celebrazione scolastica in una <i>boutique </i>che tratta articoli del genere; una studentessa che viene convocata dalla preside perché è stata vista arrivare nei dintorni della scuola con un ragazzo in moto e messa sotto torchio (ma la ragazza le renderà la pariglia); le disavventure di un giovane che sta facendo una visita per il rinnovo della patente, sottoposto a un interrogatorio demenziale e costretto a denudarsi per mostrare i versi di un famoso poeta locale tatuati sul suo corpo; il regista a cui, per ottenere il nullaosta di un film, viene imposto di togliere dal copione tutte le parti che parlino anche solo velatamente di parricidio (peraltro simbolico) e colpe del genitore al punto da stravolgerne completamente il significato e in base a ragionamenti del tutto capziosi; una ragazza che subisce le<i> avances</i> del grande capo di un'azienda privata durante un colloquio di lavoro; un disgraziato che per avere la speranza di ottenere un contratto (da fame) a tempio determinato di un anno, previo periodo di prova di tre mesi, subisce un interrogatorio sulla conoscenza, a memoria, di alcune <i>sure</i> del Corano nonché la tragicomica dimostrazione, all'asciutto, di compiere correttamente i lavacri prima delle rituali preghiere; la delirante avventura in una stazione di polizia di un'anziana signora che reclama il suo amato chihuahua sequestrato da due poliziotti motociclisti perché "animale impuro" (oltre alla polizia morale abbiamo anche la polizia canina...) e, in via riparatoria, vede proporsi l'offerta di un quattrozampe di altra razza detenuto in quel commissariato... Inquadrata è sempre e soltanto la vittima di queste vessazioni, mai chi le compie, al massimo una mano o un'ombra: a significare che in Iran il potere è ovunque, onnipresente e onnisciente, pervade tutta la società e le menti dei sudditi, che tali vengono considerati da un potere malato, marcio e più opprimente che mai, come sappiamo anche dalle cronache che filtrano da quel magnifico quanto infelice Paese. 77 minuti di cinema puntuale, implacabile, essenziale, ironico, dove si sorride amaro, ci si indigna ma mai abbastanza, perché la pervicace idiozia del potere è ovunque, soprattutto dove vige una teocrazia o comunque un dogma, come dimostrano gli esempi dei Paesi comunisti e la stessa sedicente democrazia di stampo occidentale, quella della verità e del pensiero senso unico. Ma finché circolano film come <i>Kafka a Teheran</i> e c'è gente che sfida il potere per girarli e diffonderli, c'è speranza, soprattutto se si va a vederli numerosi.</span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-13914998756387479002023-10-07T10:15:00.000+02:002023-10-07T10:15:02.021+02:00Asteroid City<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL67Fsp9m2SRSnGjVp2nm4e3EiPPEnN0jynPZ99QP9op1Vq7iu88Mln-h30ues2T78YiElla572K-oTU9eNWkHlGS8Jx715DkOBm4a9j-7gJdzvwvVulYI3Hc7uPUdH5UCJZa6zfXJkG0EgF7Xm_Il0EIppVJ6XtpwvQJWmeLvO6kiSXbGfIHSya-z0j7m/s1597/Asteroid%20City.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1597" data-original-width="1064" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL67Fsp9m2SRSnGjVp2nm4e3EiPPEnN0jynPZ99QP9op1Vq7iu88Mln-h30ues2T78YiElla572K-oTU9eNWkHlGS8Jx715DkOBm4a9j-7gJdzvwvVulYI3Hc7uPUdH5UCJZa6zfXJkG0EgF7Xm_Il0EIppVJ6XtpwvQJWmeLvO6kiSXbGfIHSya-z0j7m/w266-h400/Asteroid%20City.jpg" width="266" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;"><b>"Asteroid City" di Wes Anderson. Con Jason Schwartzman, Scarlett Johansson, Tom Hanks, Bryan Crainston, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Yony Revolori, Edward Norton, Adrien Brody, Liev Schreiber, Hope Davis, Steve Park, Rupert Friend, Maya Hawke (II), Steve Carrell, Margot Robbie, Steve Carell, Jeff Goldblum, Sophia Lillis, Willem Defoe, Matt Dillon e altri. USA 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Ha ragione da vendere l'ottimo Gianmatteo Pellizzari quando, sul <i>Messaggero Veneto</i>, segnala la pervicacia con cui la critica e i commentatori "social" che detestano il cinema di Wes Anderson si ostinino ad andare a vedere i film di un autore che, se ce n'è uno, non cambierà mai, rimproverandogli di aver girato un film, per l'appunto, "andersoniano". Chi conosce il modo di costruire un racconto per immagini del regista texano, assieme alla componente giocosa, che mischia falso con posticcio con verosimile, compresi scenari di cartapesta quando non addirittura inserti grafici o animati, per esprimere sentimenti, invece, autentici e spesso profondi, sa già cosa può aspettarsi: delle variazioni sul tema, mai banali, confezionate con cura artigianale e con la complicità di interpreti di prima grandezza che si adeguano volentieri ai <i>cliché</i> dell'autore e lo seguono nelle sua stravaganti avventure, a tutta evidenza divertendosi quanto lui. Contraddicendo loro per primi un'altra critica che circola regolarmente: che Anderson "sottoutilizzi" i suoi attori, quando invece è vero il contrario, perché li sa dosare senza sovraesporli, rendendoli funzionali al racconto, azzeccando le loro parti e al contempo lasciando loro ampio margine di manovra, cosa che si evince da qualsiasi suo film. Io non sono "a priori" un fan di Anderson ma ne riconosco il talento, e ammetto che ho impiegato qualche giorno a "digerire" <i>Asteroid City</i> prima di riuscire ad apprezzarlo come merita: di primo acchito non mi aveva del tutto convinto, al punto che l'avevo trovato perfino un po' noioso, nonostante duri soltanto 90'. <i>Asteroid City</i> è un immaginario sito nel deserto del Nevada cresciuto intorno a un cratere creato da un meteorite e che è diventato un'attrazione turistica: ci sono un campeggio-motel, una stazione di servizio con annessa officina, una tavola calda, un osservatorio astronomico in cui si svolge anche una specie di concorso annuale per giovani scienziati geniali. E’ lì che si incrociano le storie di vari personaggi: una famosa attrice con la figlia, un fotografo di guerra rimasto vedovo e con tre figli in attesa di affidarli al nonno, una scienziata che studia il cosmo e organizza il concorso di cui sopra, un'insegnante con un gruppo di bambini, oltre ad altri tipi curiosi che abitano più o meno stanzialmente questo classico luogo di frontiera, molto America Anni 50 e anche molto colorato. La situazione cambia quando arriva un'astronave aliena e un extraterrestre sottrae il meteorite che ha reso celebre il luogo, salvo riportarlo alla fine della vicenda, opportunamente stampigliato. Nel frattempo l'esercito impone una quarantena e impedisce all'estemporanea comunità di lasciare il luogo finché la questione dell'incursione aliena non si chiarisce. Nel mentre, i personaggi interagiscono e, a secondo dei rispettivi retroterra, si svelano. Ma questa è solo la superficie, perché <i>Asteroid City </i>in realtà è una commedia teatrale in due atti (e mezzo), la cui difficile gestazione da parte dell'autore viene inizialmente raccontata in un elegante bianco e nero da Bryan Crainston e, successivamente, nella parte finale del film, sempre in bianco e nero, adattata per la televisione da Adrien Brody, il tutto con l'intervento di personaggi che diventano autori e viceversa, in un gioco di specchi che si inserisce a sua volta in una sorta di scatola cinese. Come spesso accade nei film di Anderson, un intreccio non proprio facile da seguire ma che risulta, alla fine, piuttosto chiaro e intellegibile, perché quello che importa non è la trama, esigua se non inesistente, quanto le sensazioni e gli spunti che dal dipanarsi della vicenda lo spettatore ricava: una serie di quadretti, alcuni fulminanti, apparentemente strampalati, ma che alla fine rimangono impressi perché non sono mai banali. La bravura degli interpreti non si discute, l'abilità del regista nemmeno, forse non è il film più entusiasmante di Anderson, ma siamo comunque sempre ad alti livelli, soprattutto in considerazione di quello che c'è in giro in questi tempi grami. A chi proprio non va giù il suo cinema, consiglio di andarsi a vedere qualcos'altro.</span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-12186107523635301372023-10-03T12:45:00.002+02:002023-10-03T17:43:37.993+02:00The Palace<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgj-3dndw3Wm2oBbVZ9teWA1zBfSFAsmS0-Iy5yOIH_fenUfuvYuQVMkovL9vrAVC_-2NMwxqE-In83GZDP84vQZPHEdhqJbIiPg1LffEIZqHKUKxeMcLdcAc2lL63PgrNnR7Xv6HG6jT_QWIiM1GHg9wRMzW3FxMBteQ5KqKyKDSIFU07HrN_jsjR7un5_/s600/The%20Palace.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgj-3dndw3Wm2oBbVZ9teWA1zBfSFAsmS0-Iy5yOIH_fenUfuvYuQVMkovL9vrAVC_-2NMwxqE-In83GZDP84vQZPHEdhqJbIiPg1LffEIZqHKUKxeMcLdcAc2lL63PgrNnR7Xv6HG6jT_QWIiM1GHg9wRMzW3FxMBteQ5KqKyKDSIFU07HrN_jsjR7un5_/w280-h400/The%20Palace.jpg" width="280" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"The Palace" di Roman Polanski. Con Oliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Mickey Rourke, Joaquim de Almeida, Luca Barbareschi, Milan Peschel, Fortunato Cerlino, Bronwyn James, </span></b></span><span style="font-size: large;"><b style="caret-color: rgb(32, 18, 77); color: #20124d; font-family: helvetica;">Teco Celio, Olga Kent, </b><b style="color: #20124d; font-family: helvetica;">Sydne Rome, Irina Kastrinidis, Matthew T. Reynolds e altri. Italia, Svizzera, Polonia 2023 </b></span><b><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;">★★★★+</span></b><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;">Un film può piacere o meno, sui gusti non si discute: del resto, il "pensiero dominante" ha fatto passare <i>Barbie</i> per una brillante parabola femminista e Oppenheim per un capolavoro, ma insinuare che con <i>The Palace</i> un genio come Roman Polanski, moralmente esecrabile sull'onda del bigottismo USA per i suoi (supposti) comportamenti privati, si sia ispirato ai "cinepanettoni" dei Vanzina fa cadere le braccia, o meglio i coglioni. A 90 anni e con una carriera come la sua alle spalle, Polanski può fare quel che vuole e lo fa comunque bene, anche quando si prende, per così dire, una "vacanza" e si diverte a fare la parodia dei film di genere e, al contempo, un ritratto puntuale e giustamente feroce sulla miseria umana della gentaglia a cui un sistema e un mondo malato consente di soggiornare in un posto come Gstaad, in Svizzera, in un albergo per milionari a festeggiare il Capodanno del Milllennio, quello del 2000, quando si temeva che le catastrofiche conseguenze di un supposto <i>bug</i> informatico al momento del cambio della fatidica data avrebbero mandato per aria il pianeta. Lo sguardo divertito e corrosivo del regista polacco, che ha scritto la sceneggiatura assieme a un altro gigante come il connazionale Jerzy Skolimovski e ad Ewa Piaskowska, si concentra sulla variegata quanto repellente fauna che si raduna per l'occasione nel lussuoso complesso, diretto dell'impeccabile Hansueli Kopf (Oliver Masucci, grande attore misconosciuto) che, con efficienza e precisione elvetica, riesce, col suo <i>staff </i>e non poco senso dell'ironia (nonché l'ausilio di sempre più frequenti sorsate di <i>schnaps</i>)<i> </i>a tenere sotto controllo una situazione che, considerata la tipologia della clientela, il cui comune denominatore è l'arrogante cialtroneria e volgarità dei ricchi potenti, degenera inevitabilmente nel caos più assoluto. Abbiamo una serie di carampane rifatte fino al midollo (tra le quali, <i>Fifty Years After</i> la Sydne Rome che era stata protagonista di<i> Che?, </i> altro film "fuori ordinanza" di Polanski, del 1972); Bongo, un attore già noto per le dimensioni del suo "batacchio" (Barbareschi, in questa occasione anche produttore); Fanny Ardant nei panni di un'altra riccona alle prese con le mefitiche deiezioni del suo orrendo cagnetto che fa indigestione di caviale; John Cleese nella parte del vecchio miliardario americano che ci rimane secco durante un rapporto con la giovanissima moglie e tenuto in vita apparente per non farle perdere l'eredità; un gruppo di "imprenditori" russi tipo oligarca di rara volgarità col loro seguito di puttane fameliche i quali assistono per TV al passaggio di poteri tra il loro protettore Eltsin e Putin, avvenuto proprio in quella data fatidica; il redivivo Mickey Rourke è un'altra canaglia, stavolta USA, che coinvolge un funzionario di banca svizzero in una truffa basata sull'aspettativa del "botto informatico"; il chirurgo estetico brasiliano Dottor Lima (Joaquim de Almeida)... Insomma dei prototipi da "Alta Società" dipinti con divertito furore, personaggi di raro squallore sui quali, dall'alto del suo senso dell'umorismo, il buon Roman non infierisce neanche più di tanto, limitandosi a deriderli, come meritano: Ruben Östlund, in <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2015/05/forza-maggiore.html">Forza maggiore</a></i> e nel più recente <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2022/10/triangle-of-sadness.html">Triangle of Sadness</a></i>, che con <i>The Palace</i> hanno parecchi punti di contatto, è stato molto più caustico e feroce. Pressoché ignorato anche al recente passaggio a Venezia, io ho trovato <i>The Palace</i> una <i>pochade</i> grottesca come i suoi personaggi, gustosa, irriverente, divertita: girata col sorriso (sardonico) sulle labbra ed esilarante per la parte di pubblico sulla stessa onda degli autori. Avercene, di loro emuli all'altezza...</span></span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4166848262544847945.post-11919535792767460342023-09-29T19:58:00.003+02:002023-09-29T22:37:26.835+02:00La verità secondo Maureen K.<p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZkrQg-1N7TuuCyADV58dW2yIoWy8hQVhnVOW5o1Ym6t79dSOade0rp7cjmuLsfDrEGFjR9N1AE77W5g4MW3JZ5q6TPeRbk1QruXwZ_v2K6MlfXQnvf0SxHWxMMF2PQMcz1BiIprUpyqS97MXXek5vs1eRiuA44ZTEXz28FlrdX1ZSldFpS7lv6PWY907Z/s600/La%20verita%CC%80%20secondo%20MaureenK..jpg.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="420" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZkrQg-1N7TuuCyADV58dW2yIoWy8hQVhnVOW5o1Ym6t79dSOade0rp7cjmuLsfDrEGFjR9N1AE77W5g4MW3JZ5q6TPeRbk1QruXwZ_v2K6MlfXQnvf0SxHWxMMF2PQMcz1BiIprUpyqS97MXXek5vs1eRiuA44ZTEXz28FlrdX1ZSldFpS7lv6PWY907Z/s320/La%20verita%CC%80%20secondo%20MaureenK..jpg.webp" width="224" /></a></b></span></div><span style="color: #20124d; font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: large;">"La verità secondo Maureen K." (La Syndacaliste) di Jean-Paul Salomé. Con Isabelle Huppert, Grégory Gadebois, François-Xavier Demaison, Pierre Deladonchamps, Alexandra Maria Lara, Gilles Cohen, Yvan Attal, Benoît Magimel, Marina Foïs, Geno Lechner e altri. Francia 2022 </span></b></span><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: medium;"><span style="caret-color: rgb(32, 18, 77);"><b>★★★★+</b></span></span><p></p><p><span style="color: #20124d; font-family: helvetica; font-size: large;">Passaggio semiclandestino nelle sale nostrane (e già quasi sparito dalla programmazione dopo una settimana) dopo essere stato presentato l'anno scorso a Venezia nella sezione <i>Orizzonti</i>, e pressoché ignorato, di un film scomodo proprio perché racconta in maniera impeccabile una storia vera: fa venire in mente il boicottaggio internazionale nei confronti di <i><a href="https://abasto-mscaini.blogspot.com/2020/08/adults-in-room.html">Adults in The Room</a> </i>di Costa Gavras, del 2019, basato sul libro dell'ex ministro dell'economia greco Gianis Varuofakis. Scomodo per i "poteri forti" europei, mai uscito in Germania e in Italia perché parlava di come la UE e la BCE draghiana abbiano mandato a picco la Grecia per salvare le banche di Germania e Francia<i> in primis</i>. Qui i poteri forti sono quelli che stanno dietro al "nucleare" francese, perché si parla della vicenda kafkiana di cui è stata vittima Maureen Kearney, rappresentante sindacale del <i>Gruppo Areva</i>, leader nella costruzioni di centrali nucleari, che nel 2012 aveva svelato, grazie a una soffiata di un ingegnere di EDF, le trattative segrete che avrebbero portato all'assorbimento da parte della stessa EDF, colosso dell'elettricità francese, a sua volta in trattative con la cinese CGNPC per la costruzione, con<i> know how</i> francese, di centrali nucleari in tutto il mondo. Il che avrebbe portato alla perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, oltre a un primato tecnologico. La donna aveva battagliato col nuovo vertice di <i>Areva,</i> aveva interessato parlamentari e contattato lo stesso ministro dell'Economia Montebourg, ma la mattina del 17 dicembre 2012, lo stesso giorno in cui avrebbe dovuto incontrare il neopresidente François Hollande, venne assalita in casa sua, incappucciata, bendata, le fu incisa una "A" sul ventre e infilato dalla parte del manico un coltello nella vagina: così la trovò, in cantina, la donna delle pulizie dopo qualche ora. Non fu creduta dalla polizia che, dopo una serie di angherie e minacce, ribaltò la sua posizione da vittima ad accusata: avrebbe inscenato lei stessa l'aggressione a suo uso e consumo per fare cadere i sospetti sui suoi avversari "politici": il resto lo fece una corte complice che, in primo grado, arrivò a condannarla per simulazione, e un avvocato non si sa se più incapace o imbecille. Solo sei anni dopo, assistita da un legale all'altezza e quando lei stessa aveva ritrovato l'equilibrio e la capacità di ricordare lucidamente gli avvenimenti di quella violenza subita, venne definitivamente prosciolta. A impersonare Maureen, una Isabelle Huppert che, se possibile, supera sé stessa per bravura: senza fronzoli, è capace di immedesimarsi, anche fisicamente, nella sindacalista d'origine irlandese, rivelandone luci e ombre, una donna sola nel mondo degli uomini per antonomasia: quello del potere. Un'interpretazione strepitosa. Ecco: nonostante la presenza di una delle più portentose attrici in circolazione, e in barba a tutto il parlare (a vanvera) di <i>Me Too</i>, uguaglianza di genere e altre correnti di pensiero modaiolo d'importazione USA, non appena si vanno ad affrontare, tra l'altro fondendo elementi di documentario e di thriller politico, oltre che di poliziesco<i> tout court</i>, temi "delicati" per i detentori del potere vero, ecco che anche la critica professionista che bivacca tra redazioni di giornali e studi radiotelevisivi, nonché quella che si agita in rete, si tira indietro e quando non lo ignora, smonta questo film ben fatto, essenziale, dal ritmo incalzante, scorrevole, con ottimi interpreti, credibile. Se riuscite a intercettarlo, merita. Fidatevi. </span></p>mscainihttp://www.blogger.com/profile/15876170190460381569noreply@blogger.com0