sabato 29 aprile 2023

November - I cinque giorni dopo il Bataclan

"November - I cinque giorni dopo il Bataclan" (Novembre) di Cédric Jimenez. Con Jean Dujardin, Anaïs Demoustier, Sandrine Kiberlain, Jérémie Renier, Lyna Khoudri, Cédric Khan, Marine Watcth, Sami Outabali, Stéphane Bak, Sofian Khammes e altri. Francia 2022 ★★★★+

Per una volta la specificazione del titolo italiano (benché non si capisca l'uso di November, che è inglese) è coerente con il contenuto del film, e anzi ne spiega, pur in maniera pleonastica, la caratteristica principale: la serie di attentati terroristici che avevano colpito Parigi il 13 novembre del 2015, che lasciarono sul terreno 130 morti 90 dei quali solo al Teatro Bataclan, oltre a 450 feriti, sono soltanto l'innesco del racconto, tanto che le immagini non vi indugiano, e che riguarda invece i convulsi primi 5 giorni successivi e ha per oggetto le febbrili indagini da parte della sezione antiterrorismo della polizia francese e prende le mosse 10 mesi prima quando, ad Atene, va in fumo una missione che vede sfuggire cattura un pericoloso terrorista, integralista islamico. La guidava Fred (Jean Dujardin, sempre un piacere vederlo all'opera), che 10 mesi dopo ritroveremo a capo dell'unità incaricata di dare la caccia agli autori degli attentati parigini dell'autunno. Un film poliziesco (genere in cui i francesi sono maestri) nello stretto senso del termine, perché protagonisti sono i personaggi che, ai diversi livelli, sono coinvolti non solo nella caccia ai responsabili, ma anche nella prevenzione di ulteriori, possibili e temuti colpi di coda e, al contempo, devono far fronte alle pressioni da un lato del potere politico (l'allora presidente François Hollande aveva proclamato lo stato d'emergenza) che esige pronte risposte, e dall'altro l'opinione pubblica, che si sente sguarnita e priva della protezione statale. La telecamera segue vicino i vari personaggi nelle fasi concitate di quelle ore e dei giorni che seguono gli attentati, sottoposti a uno stress e a una fatica che i movimenti della macchina rendono in maniera decisamente coinvolgente, facendone emergere i differenti punti di vista e modi di affrontare la situazione in un momento delicatissimo in cui convergono esigenze del tutto contrastanti: organizzare il personale, sempre troppo scarso per tutte le cose da fare che vanno dalle azioni sul campo, agli arresti, agli interrogatori, alla gestione degli infiltrati; tenere a bada la stampa, soprattutto filtrare le informazioni a accertarsi della loro credibilità: punto centrale del film è proprio la valutazione della attendibilità di una testimone, Samia (Lyna Khoudri), una giovane ragazza musulmana che ha contattato di sua iniziativa la polizia rivelando di essere al corrente di dove si nascondano due degli autori degli attentati, che vede Fred e una sua agente (Ines, validamente interpretata dalla brava Anaïs Demoustier) propensi a crederle mentre altri della squadra estremamente scettici, tanto che la ragazza viene trattenuta in stato di fermo come se fosse un'indiziata; tra l'altro al tempo non esisteva ancora, in Francia, una valida normativa per la protezione dei testimoni, indispensabile in casi del genere per poter raggiungere risultati in un campo minato come quello delle organizzazioni jihadiste e non solo. Materiale per cui riflettere, e lo spaccato di un mondo che si conosce poco al di là degli stereotipi da serie TV, specialmente di matrice USA, quello della polizia visto dall'interno, nei meccanismi delle procedure e delle modalità di intervento, nonché delle varie catene di comando e delle responsabilità. Al contempo, un film d'azione ma, soprattutto, su uomini e donne che fanno un lavoro difficile e misconosciuto, spesso frustrante ed estremamente faticoso, fisicamente e psicologicamente, oltre che pericoloso. Per niente retorico e molto ben fatto. 

giovedì 27 aprile 2023

Passeggeri della notte

"Passeggeri della notte" (Les passagers de la nuit) di Mikhaël Hers. Con Charlotte Gainsbourg, Quito Rayon-Richter, Noée Abita, Emmanuelle Béart, Judith Davies, Thibault Vinçon, Ophélia Kolb, Didier Sandre, Laurent Poitrenaux e altri. Francia 2022 ★★★★+

Quarto lungometraggio per il regista e sceneggiatore parigino, ma il primo che mi capita di vedere, forse perché attirato dalla presenza di Charlotte Gainsbourg come protagonista. Non sbagliavo: è di una bravura commovente per la semplicità e umanità con cui interpreta Elisabeth, una donna sui quarant'anni con tutte le fragilità che si porta dietro in seguito a un radicale cambiamento della sua esistenza. Siamo nella primavera del 1981 e Mitterrand ha appena conquistato la sua prima presidenza: tempo di cambiamento e di speranze, proprio mentre Elisabeth deve rivedere la propria vita dopo la separazione dal marito e gli strascichi di una malattia traumatizzante. Non ha mai lavorato, e deve trovare un'occupazione per mantenere i due figli adolescenti, Matthias e Judith, e l'appartamento che le è rimasto, nel 15° Arrondissement di Parigi: viene assunta come centralinista da Vanda Dorval, conduttrice del programma radiofonico notturno che segue durante le sue ore di insonnia, donna volitiva e indipendente (Emmanuelle Béjart) a cui aveva scritto una lettera in cui raccontava la sua situazione. Lavoro scomodo e mal pagato, ma è un inizio: lo alternerà a quello di bibliotecaria durante il giorno, e in questo modo ritroverà un suo equilibrio, oltre che allargare man mano il suo cerchio di frequentazioni. Il film racconta le tappe di una vita normalissima e del suo evolversi durante i successivi sette anni, fatta di incontri casuali, come quello con Talulah, una ragazza problematica che Elisabeth conosce proprio durante una trasmissione e che accoglierà per un periodo in casa sua, ma che cambieranno l'esistenza non solo sua ma anche delle persone che le stanno attorno. Judith prenderà la sua strada, segnata da un precoce impegno politico, mentre Matthias, più simile alla madre, preferisce lavorare come addetto a una piscina per avere il tempo di seguire e coltivare, con sempre maggiore convinzione, la sua vena poetica: anche lui sarà segnato dal rapporto con Talulah, che è quasi sua coetanea. Un film di piccoli gesti, anche abitudinari, e accadimenti all'apparenza banali ma tutti rivelatori, che segnano la vita quotidiana di una famiglia come tante, non un inno alla normalità ma semmai un invito a non arrendersi e ad andare avanti, accettando sé stessi e gli altri, in questo non dissimile da un altro film visto di recente, Scordato di Rocco Papaleo. Un racconto semplice, scandito dallo scorrere del tempo che passa e da gesti e problemi quotidiani ma anche da piccoli cambiamenti, incorniciati in un'epoca ben definita (preziosi gli inserti filmati di quegli anni) in cui anche la radio conservava la sua magìa, e la musica un suo senso, prima che l'avvento della rete, dei cellulari, dei social media e di una onnipresente colonna sonora computerizzata e inascoltabile devastasse i nostri canali uditivi e l'umanità si chiudesse nel bozzolo del proprio smartphone scambiandolo per la realtà, senza bisogno di metafore mirabolanti, erudite citazioni cinéphile o altro, anche se la lezione di maestri come Rohmer, per rimanere in ambito francese, è certamente ben presente nella  formazione di Mikhaël Hers. Una storia lineare, senza forzature, in cui gli interpreti si cono calati con naturalezza, probabilmente grazie anche alla sua semplicità e verosimiglianza: passeggera della notte, che troverà la strada per un'altra alba grazie alla fiducia, per nulla cieca, in sé stessa e nel prossimo, e che si basa sull'accettazione (che non è rassegnazione) è proprio Elisabeth. Un film meritevole, che fa bene.  

martedì 25 aprile 2023

Liberazione e bòcolo: doppietta

Ché poi, chissenefrega di come trascorrono e dove il 25 Aprile Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e compagnia cantante? Solo un idiota potrebbe prenderli sul serio se celebrassero i valori della Resistenza e la Costituzione Repubblicana, laica e antifascista... Su, cerchiamo di non essere ridicoli!

sabato 22 aprile 2023

Scordato

"Scordato" di Rocco Papaleo. Con Rocco Papaleo, Simone Corbisiero, Giorgia Todrani, Angela Curri, Anna Ferraioli Ravel, Manola Rotunno, Giuseppe Ragone, Antonio Petrocelli e altri. Italia 2023 ★★★1/2

Sessantenne disilluso e amareggiato, chiuso in sé stesso, Orlando (Papaleo) è un accordatore di pianoforti che vive a Salerno. Un giorno, mentre è al lavoro sullo strumento di una musicista sua cliente, incontra Olga, fisioterapista che la ha in cura, la quale, dopo averlo squadrato con occhio professionale e notato che ha qualcosa che non va, essendo eccessivamente contratto e quindi assumendo una postura scorretta, si offre di fargli un massaggio estemporaneo che allevia per un istante il suo cronico mal di schiena e lo convince a farsi visitare nel suo studio per un esame più approfondito. Orlando vi si reca, ma per poter fare una diagnosi più approfondita le serve una foto di quando era giovane, per poter fare un confronto. Foto che però Orlando conserva nella casa di famiglia a Lauria, dove da anni si rifiuta di rimettere piede. Tra i due scatta una certa intesa e Olga, che a tempo perso è anche cantante (come Giorgia, che la interpreta in modo brillante), si offre di accompagnarlo perché ha un concerto da quelle parti. Questo ritorno, dopo anni, al proprio paese d'origine diventerà per Orlando una riconciliazione sia con un passato con cui aveva voluto troncare nettamente lasciandolo per un motivo che verrà chiarito solo verso la fine del film, sia con sé stesso: allo stesso modo scopriremo man mano che il ragazzo che lo accompagna fin dall'inizio e con cui parla è il sé stesso giovane, una sorta di fantasma apparso al suo fianco in seguito a un preciso momento che verrà svelato (e io non rivelo) soltanto nel corso del racconto. Il ritorno nella sua terra, la Basilicata, tema già presente sia in Basilicata coast to coast sia in Una piccola impresa meridionale diventa un viaggio terapeutico avvenuto grazie al fortuito incontro con una donna che segna il suo destino: non nel modo troppo facilmente prevedibile che tra loro scatti una scintilla sentimentale che porti a uno scontato lieto fine, perché così non sarà, ma perché lo induce ad affrontare dei nodi non risolti col proprio passato, a cominciare dal rapporto con la sorella, interpretata, nella versione giovanile, dalla brava Angela Curri: è lo stallo del legame con lei, che era fortissimo e si è come congelato per una tragica scelta di lei che ha avuto conseguenze su tutta la famiglia, il punto attorno a cui ruota tutto il malessere esistenziale che Orlando si è portato dentro per più di trent'anni, che ha condizionato le sue scelte e portato alla sua chiusura nei confronti del prossimo. Lo supererà soltanto affrontandola e accettando una realtà che non si può cambiare, perdonando e chiedendo a sua volta perdono. Malinconico ma non triste; consapevole, realistico, intelligente, non so se e quanto autobiografico ma con tutta evidenza sincero e mai banale, il film è reso gradevole da una ironia che non è mai greve, e un coetaneo del regista e attore non fatica certo a immedesimarsi, almeno in parte, e a condividere molte sensazioni, a cominciare dalla crescente disconnessione con la realtà che ci circonda. Senz'altro un buon film.

giovedì 20 aprile 2023

La cospirazione del Cairo

"La cospirazione del Cairo" (Malad Min Am Janna / Boy From Heaven) di Tarik Saleh. Con Tawfeek Barhom, Fares Fares, Mehdi Dehbi, Mohammad Bakri, Makram Khoury, Sherwan Haji, Yunus Albayrak, Amr Mosad, Ayman Fathy e altri. Svezia 2022 ★★★★+

Non avevo dubbi che Tarik Saleh avrebbe confermato il proprio talento e il meritevole impegno civile dopo Omicidio al Cairo che, in forma di poliziesco, denunciava l'onnipresente corruzione e la cappa di omertà che lo copre a tutti i livelli vigente nella capitale egiziana e che infetta quindi il sistema sociale di tutto l'Egitto, e rieccolo sugli schermi questa volta con una vera e propria cospirazione che non coinvolge soltanto il ceto politico e i servizi di sicurezza che li proteggono ma anche le massime autorità religiose, in particolare quelle che presiedono Al-Azhar, l'università di scienze islamiche, punto di riferimento e massima autorità per tutto il mondo sunnita, che ha sede al Cairo. Protagonista suo malgrado e fulcro della complessa vicenda è Adam, che proviene da una povera famiglia di pescatori, ragazzo particolarmente dotato che ha ereditato dalla madre, morta giovane, intelligenza e passione per la lettura, tanto da ottenere una borsa di studio per frequentare quella prestigiosa istituzione. Poco tempo dopo essere arrivato nella capitale, nemmeno il tempo di ambientarsi, il Grande Imam che dirige Al Azhar muore per un malore durante una predica e qualche giorno appresso Adam assiste all'omicidio del suo assistente, che per conto dei servizi di sicurezza teneva d'occhio sia il maestro, sia tutto ciò che si muoveva nell'ateneo, il quale, morente, lo "designa" come suo "erede". Il fatto di essere stato testimone del fatto dà al colonnello Ibrahim, il "controlllore", un personaggio astuto, ambiguo, complesso ed estremamente sfaccettato incaricato di seguire le fase della transizione alla testa dell'Ateneo e interpretato con grande efficacia da Fares Fares, la possibilità di obbligarlo a sostituire il suo infiltrato: poiché grazie all'ubiquità dei servizi di sicurezza è a conoscenza di ogni particolare della vita di Adam e della sua famiglia, che è in grado di aiutare o, nel caso, di mettere in difficoltà, il colonnello ha gioco facile e Adam si ritrova a fare l'assistente dell'Imam favorito nella corsa alla successione, vicino al Fratelli Musulmani. Cosa che non garba alla presidenza della Repubblica, (il generale Al Sisi, per la cronaca) che nemmeno vede di buon occhio l'altro possibile rivale, un imam cieco di orientamento progressista, che si trova costretto ad autoaccusarsi dell'uccisione dello studente-spia, peraltro straniero (il riferimento al caso Regeni non è casuale), e invece preferisce un candidato più malleabile e conciliante con il potere politico: del resto, come recita una massima locale, "non possono esserci due faraoni"... Adam si trova così messo in mezzo a tutto l'intrigo, e deve utilizzare tutta la propria intelligenza per districarsi tra le fazioni e fornire a Ibrahim tutte le informazioni che gli servono per ordire il complotto al fine di indirizzare nel senso voluto le elezioni del nuovo Grande Imam, in un crescendo di situazioni pericolose: solo la sua sensibilità e perspicacia e, in fondo, la sua purezza d'animo e lucidità di giudizio gli permettono di uscirne vivo e pure pulito, ma anche di abbandonare la convinzione che quella somma istituzione, "faro del mondo islamico", sia un luogo che faccia per lui. Va da sé che, bandito dall'Egitto in seguito a Omicidio al Cairo, Saleh sia stato costretto a girare il suo nuovo film in Turchia: per la cronaca ha usato la Moschea di Solimano di Istanbul per ambientare Al Azhar. Ancora una volta, sotto l'apparente forma di un film di spionaggio di stampo classico girato con tutti i crismi, il regista confeziona in realtà una pellicola che  non risparmia alcun potere, politico o religioso che sia, e metaforicamente si domanda come riuscire a resistere a un Potere superiore, immanente, trovando l'unica via di salvezza nell'istruzione, nella possibilità di acculturarsi e aprire la mente ad altre prospettive anche e soprattutto affrontando libri e insegnamenti che "fanno paura e re e tiranni". E ai preti di ogni specie, aggiungo io. Un film da vedere, molto meritevole e appassionante. 


martedì 18 aprile 2023

The Beat Bomb

"The Beat Bomb" di Ferdinando Vicentini Orgnani. Con Lawrence Ferlinghetti, Jack Hirschmann, Amanda Plummer, Joanna Cassidy, Tony Lo Bianco, Michele Placido, Giorgio Albertazzi, Paolo Fresu e altri. Italia, Argentina 2022 ★★★★

E' stato un felice ritorno a casa, quello di qualche sera fa al cinema Visionario di Udine del regista, sceneggiatore e produttore Ferdinando Vicentini Orgnani, venuto a presentare di persona il suo documentario sulla figura di Lawrence Ferlinghetti, un protagonista fondamentale della stagione della Beat Generation, scomparso due anni fa all'età di 101 anni. Un talento poliedrico: poeta, animatore culturale, pittore, fondatore della libreria City Lights di San Francisco ma soprattutto editore (per avere pubblicato L'urlo di Allen Ginsberg, nel 1957 finì in galera con l'accusa di oscenità), inoltre fu lui che lanciò Sulla Strada di Jack Keoruac, che il regista friulano aveva conosciuto per caso nel 2007 mentre passava nella città californiana, presentato da Jack Hirschmann, altro personaggio chiave di quell'epoca (umanamente anche il più simpatico, a mio parere) e, come Ferlinghetti, spesso in visita in Italia, con cui aveva un legame forte. Il film inizia proprio in una malga alpina in Trentino, dove recentemente un gruppo di suoi amici lo commemora convivialmente nel giorno del suo compleanno e prosegue in un viavai tra la California e l'Italia con una serie di spezzoni girati nei 15 anni successivi, senza un ordine cronologico preciso: un collage di appunti, interviste sia a Ferlinghetti, sia ai suoi amici e colleghi che lo frequentavano più spesso, visita nei luoghi chiave dove si svolse l'attività di quel gruppo di libertari, attivisti, artisti, musicisti che segnò un'epoca di utopie e un'intera generazione, e di cui, in una San Francisco quasi completamente "gentrificata", rimangono solo tracce e ricordi. Tra questi la sopracitata libreria, un nostalgico e polveroso Museo del Beat frequentato unicamente da "reduci" (i giovani non hanno la benché minima idea di cosa si trattasse) e il celebre Caffé Trieste, che sorgono in quello che fu il quartiere italiano della città, poi "conquistato" dai cinesi e infine ridotto a memorabilia dopo che la speculazione ha portato i prezzi delle case alle stelle ed espellendo i suoi originari abitanti e desertificandolo. Ferlinghetti stesso, come dice il cognome, era di origine italiana: il padre, bresciano, emigrato negli USA all'inizio del secolo scorso, era morto prima che lui nascesse, il che non gli ha impedito di "coltivare" le sue radici. Interessanti le interviste a lui, che illustra il suo pensiero anarco-socialista e la sua visione profondamente umanista nonché la sua incessante battaglia contro il complesso militar-industriale, il vero cancro degli Stati Uniti, la cui pericolosità era già stata segnalata nel dopoguerra nientemeno che da Dwight Eisenhower, repubblicano, generale tra i più brillanti e presidente dal 1953 al 1961: da allora, e specie sotto le presidenze  "democratiche" (si fa per dire), la situazione è solo peggiorata. Insomma un racconto agile ed estremamente interessante e istruttivo, che si chiude con la recita di una poesia sui fratelli Wright, gli inventori della prima "macchina volante", recitata dallo stesso Ferlinghetti in uno spettacolo a Roma di qualche anno fa diretto da Michele Placido e con la partecipazione di Giorgio Albertazzi, oltre che di Paolo Fresu, il quale ha anche meritoriamente curato la notevole colonna sonora di questo bel documentario (genere dove indubbiamente Ferdinando Vicentini Orgnani dà il suo meglio): del resto, in quel felice periodo, letteratura, pittura e musica erano elementi imprescindibili che si sovrapponevano e mischiavano. Nelle prossime settimane il regista presenterà The Beat Bomb nei principali centri del resto d'Italia. 

domenica 16 aprile 2023

Terra e polvere

"Terra e polvere" (Yin Ru Chen Yang - Return to Dust) di Li Ruijun. Con Wu Renlin, Hai-Qing, Gangrui Yang, Dengping Zhao, Cailang Wang e altri. Cina 2022 ★★★★1/2

Film rivelazione alla Berlinale 2022 e premiato con il Black Dragon Award al Far East Festival di Udine dell'anno scorso, Terra e Polvere racconta in modo semplice e delicata la storia di un amore pudico quanto profondo che nasce in un ambiente umano e ambientale ostile e, al contempo, lo stravolgimento che l'avanzare del capitalismo di Stato in salsa liberista e mercatista ha portato anche nelle regioni rurali della Cina non ancora del tutto contaminate dal "progresso" e dove la cultura contadina erede di millenni di tradizione è tuttora presente benché sul punto di sparire. Siamo nella povera province di Guansu, nel NordOvest semidesertico del Paese, e Ma Youti (impersonato da Wu Renlin, zio del regista e contadino nella realtà, originario anche lui di quella regione) e Cao Guiyng (Hai Qing, attrice professionista) sono na coppia di mezza età nata da un matrimonio combinato dalle rispettive famiglie che sono ben felici di toglierseli di torno: lui è sempre stato sottomesso e sfruttato dai fratelli maggiori, lei addirittura picchiata ripetutamente e trattata come un animale dal parentado, ragion per cui è rimasta sciancata e soffre d enuresi non solo notturna, insomma due disgraziati. Vivono dapprima in una sorta di magazzino all'interno della fattoria della famiglia di Youti, ma quando questa viene demolita perché il governo incentiva il trasferimento in anonimi condomini in città pagando in denaro contante la distruzione di quelli che definisce tuguri,  i due, che vivono occupandosi con vera passione e competenza delle varie colture assieme all'asino (terzo vero protagonista della pellicola), che entrambi curano amorevolmente facendo in modo che, essendo il loro unico bene, non si affatichi più dello stretto necessario, decidono di costruirsi essi stessi un'abitazione con le loro mani nel tempo libero. E' un accordo tacito, il loro, e la parte faticosa se l'addossa l'uomo ma anche lei dà, nei limiti del possibile, il suo contributo, e alla fine avranno finalmente una casa che sia davvero a loro dimensione. In questa impresa il loro legame si rafforza e si cementa senza bisogno di tante parole. Quelle poche che si scambiano sono inizialmente essenziali, quasi "di servizio"; col passare del tempo diventano meno laconici ma hanno sempre un significato profondo e non si tratta mai di smancerie: l'affetto reciproco lo mostrano i fatti, le attenzioni e il rispetto l'uno per l'altra, e in questo sta la vera poesia del film, oltre all'attenzione e partecipazione con cui viene mostrato il lavoro nei campi nelle diverse stagioni e il rapporto, scarno, con la altrettanto povera umanità del villaggio. E qui entra in gioco anche il lato indubbiamente politico del film, che deve aver dato parecchio fastidio agli alti papaveri cinesi che lo hanno boicottato e censurato, perché mostra come le autorità del villaggio, ossia i rappresentanti dell'onnipotente partito comunista anche, onnipresente anche nelle più piccole località, siano da un lato degli amministratori pedissequi e senza ideali, che lucrano sui poveri e sugli innocenti, come la coppia in questione (Youti è pure periodicamente obbligato a donare il sangue per fare trasfusioni al potente capovillaggio in cura per una leucemia, si suppone), funzionari che girano in BMW nuove e fiammanti mentre i contadini non hanno in uso nemmeno un trattore e devono falciare e raccogliere il grano a mano e trasportarlo a dorso d'asino nonché vendere i loro prodotti a prezzo "politico"; per non parlare dei ragazzi più giovani, rincoglioniti dagli smartphone e già  completamente estranei a ritmi della vita nei campi. Non finirà bene, avviso subito chi mi legge, e il "progresso" vincerà anche sulla infinita pazienza (e saggezza) di un mondo povero ma autentico e in armonia con la natura, che a sua volta non è né bella né viene idealizzata: siamo ben lontani dall'ecologismo radical chic occidentale. Youti e Guiying simboleggiano perfettamente questa umanità sconfitta che si preferisce nascondere e dimenticare. Un gran bel film, di quelli che rimangono dentro.

giovedì 13 aprile 2023

Il ritorno di Casanova

"Il ritorno di Casanova" di Gabriele Salvatores. Con Toni Servillo, Fabrizio Bentgovoglio, Sara Serraiocco, Natalino Balasso, Alessandro Basentini, Bianca Panconi, Antonio Catania, Marco Bonadei, Elio De Capitani, Angelo Di Genio, Sara Bertelà, Walter Leonardi, Francesco Villa, Riccardo Gamba, Yoon C. Joyce. Voce narrante Ferdinando Bruni. Italia, Francia 2023 ★★★★1/2

Alle 18 di ieri, ultimo orario (da pensionati) utile dell'ultimo giorno di programmazione in quel di Udine e sala semideserta nonostante fosse mercoledì, giornata con biglietto a prezzo ridotto. A testimonianza dello scarso successo di pubblico, per non parlare della critica, che l'ha pressoché stroncato, dell'ultimo film di Gabriele Salvatores, recuperato, per fortuna mia, in extremis. Che navigo controcorrente, tanto per cambiare, rispetto ai prezzolati, e non ho nessun problema ad ammettere che, nei confronti di Salvatores, nutro un pregiudizio positivo, dovuto sia a motivi generazionali, sia per avere frequentato fin dalla nascita il Teatro dell'Elfo di Milano (cadono quest'anno i 50 anni di attività), di cui è stato uno dei fondatori, e a maggior ragione quando, come del resto già in Comedians, opera in qualche modo un ritorno alle origini: il teatro, appunto, perché potrebbe benissimo essere uno spettacolo dell'Elfo trasposto sul grande schermo e, viceversa, perfettamente adattabile sul palcoscenico da parte di una compagnia che spesso, nella sua storia, ha proposto spettacoli con ibridazione di mezzi espressivi che la rendono un unicum sulla scena nazionale. Si intrecciano qui due vicende: quella di Leo Bernardi (Toni Servillo, magistrale, mai sopra le righe), un regista in crisi creativa, che non riesce a terminare il suo ultimo film tratto per l'appunto da Il ritorno di Casanova, racconto di Arthur Schnitzler, bloccato in fase di montaggio nonostante le pressioni del suo storico produttore (Enzo Catania) e del suo montatore di fiducia e tra i pochi amici intimi (Natalino Balasso): il tempo vola e il film va terminato in tempo per essere presentato a Venezia. La sua depressione, il suo avvitarsi su sé stesso, i tic, le nevrosi, i rapporti col prossimo (stampa, colleghi), la sua vita milanese nel suo lussuoso appartamento ipertecnologico dove vive da solo in compagnia dei suoi fantasmi e delle sue manie sono raccontati in un elegante bianco e nero alternandosi con le immagini del film in montaggio, che invece è a colori e vede protagonista Fabrizio Bentivoglio in grande spolvero, perfetto nei panni di un Casanova invecchiato e immalinconito, durante le peripezie del suo viaggio di ritorno a Venezia dopo anni di assenza e il suo tentativo di sedurre Marcolina, bella ed emancipata nipote dell'amico Olivo nella cui magione viene ospitato lungo il tragitto padano. Insomma, le storie dei due anziani uomini si intrecciano e la loro è una crisi di senilità, ché di questo tratta, con sottile ironia e disincanto il film, del tempo che passa e della difficoltà ad accettarlo, nonché delle prospettiv e che cambiano con l'età, e il Giacomo Casanova di Schnitzler è null'altro che lo specchio di Leo Bernardi il quale, durante la lavorazione del film, mentre cercava un posto in cui ambientarlo, ha conosciuto SIivia (Sara Serraiocco), una giovane contadina piena di energia e con le idee chiare (la Marcolina dei nostri tempi) con cui ha intrapreso una relazione senza poi sapere come portarla avanti e, al contempo, soffre la concorrenza di un giovane regista, Lorenzo Marino (Marco Bonadei) nuovo astro della cinematografia italiana e idolo della stampa, che pure lo considera un maestro, e il cui secondo film sarà in competizione con quello di Leo per il Leone d'Oro a Venezia, dove i sue piani narrativi si fonderanno a chiusura della pellicola. Che ho trovato elegante, originale, stravagante, arguta, intelligente, evidentemente troppo per il palato degli amanti dei pipponi pensosi e del politicamente corretto, al contempo assuefatti dalla spettacolarità un tanto al chilo e agli effetti speciali delle produzioni a stelle e strisce; ulteriore nota di merito, la colonna sonora, come sempre curata con grande competenza dal regista, e la capacità di rendere due storie, praticamente due film, in 90' esatti: non da tutti, ma Salvatores è uno che sa quel che sta facendo. Nel cast una buona parte di attori che fanno parte o ruotano in torno all'Elfo, a cominciare dai suoi due dioscuri, Elio De Capitani, difficilmente riconoscibile nei panni settecenteschi del marchese Celsi, e Ferdinando Bruni, voce narrante del film.

martedì 11 aprile 2023

I tre moschettieri: D'Artagnan

"I tre moschettieri - D'Artagnan" (Les trois mousquetaires: D'Artagnan) di Martin Bourboulon. Con François Civil, Vincent Cassel, Romain Duris, Pio Marmaï, Eva Green, Louis Garrel, Lyna Khoudri, Vicky Krieps, Jakob Fortune-Lloyd, Alexis Michalik e (molti) altri. Francia 2023 ★★★★1/2

Non si contano i film di cappa e spada tratti dai romanzi di Alexandre Dumas (padre) in collaborazione con Auguste Maquet, tra i capolavori della letteratura mondiale e, comunque, tra i libri più conosciuti sul pianeta, a dispetto di essere usciti dapprima a puntate in appendice al giornale Le Siècle nel 1844, ma pochi così ben concepiti, girati e interpretati come questa prima parte del dittico che comprenderà la seconda, dedicata a Milady, in uscita a dicembre: personalmente, non vedo l'ora. Perché in primis il cinema è spettacolo, e quindi intrattenimento, non solo "cibo per il cervello" o materia di riflessione, e questo film lo è allo stato puro, di evasione senza pensieri. Primo merito del regista è di avere seguito rigorosamente la trama del libro, il primo della serie, in cui il giovane guascone D'Artagnan giunge a Parigi con l'intenzione di diventare moschettiere e di come riesca, quasi per caso, a entrare nel trio che costituisce l'élite di quel corpo di guardie personali del Re di Francia, che all'epoca in cui è ambientato, il 1627, era Luigi XIII (interpretato con la consueta sottilissima ironia da quel simpatico ceffo di Louis Garrel, che fa sempre piacere vedere all'opera); il secondo, di essere riuscito a rendere in maniera comprensibile e lineare una trama alquanto ingarbugliata e farla rientrare in 120 minuti giusti, quanto è la durata della pellicola, non tralasciando nulla di quanto è essenziale per apprezzare il trascinante racconto e porre le premesse per il seguito che, non ho dubbi, sarà all'altezza. Tralascio volutamente di accennare alla trama perché chi mi legge l'avrà senz'altro presente per aver letto il romanzo in gioventù, perché è di quelle che non si dimenticano, come del resto quella de Il conte di Montecristo, sempre di Dumas-Maquet; o del ciclo dei Pirati della Malesia o dei Corsari delle Antille di Emilio Salgari: in caso negativo, hanno un'ottima occasione per farsi un'idea del libro vedendo uno spassoso film d'azione in costume, un vero e proprio colossal d'altri tempi, senza effetti speciali ma con gran profusione di mezzi e di personale e una notevole accuratezza nella ricostruzione dell'ambiente dell'epoca, insomma niente a che fare con la tipiche "americanate" ma un prodotto dal gusto e dalla fattura in tutto e per tutto europei. Vincent Cassel è un sofferto Athos, Romain Duris un satireggiante Aramis, Pio Marmaï il gaudente Porthos, François Civil, poco noto da noi, un impertinente D'Artagnan, Lyna Khoudri la sua dolce ma al contempo vispa Constance, Vicky Krieps Anna D'Austria, sposa del re di Francia, Jakob Fortune Loyd il suo amante Lord Buckingham e la splendida e sempre più brava Eva Green la miglior Milady che sia apparsa sullo schermo, più dark che mai. Da vedere senza indugi. 

domenica 9 aprile 2023

L'appuntamento

"L'appuntamento" (Najsrekjniot chovek na svetot) di Teona Strugar Mitevska. Con Jelena Kordić, Adnan Omerović, Labina Mitevska, Ana Kostovska, Ksenija, Marinković, Izudin Bajrović e altri. Danimarca, Belgio, Slovenia, Croazia, Bosnia Herzegovina, Macedonia 2022 
★★★★+

Un felicissimo ritorno nelle sale per l'ottima regista macedone che già ci aveva deliziato con il suo Dio è donna e si chiama Petrunya; con L'appuntamento, che in lingua originale suona come L'uomo più felice del mondo, da un lato affronta, come di consueto e con uno sguardo originale, la condizione della donna nel mondo balcanico (che ci è molto più vicino di quanto siamo abituati a pensare, e non solo geograficamente), ma al contempo anche quella dell'uomo; dall'altro l'elaborazione del trauma derivato dalle guerre che hanno divelto l'ex Jugoslavia negli anni Novanta, e in particolare la città simbolo di quelle vicende: Sarajevo, la più multietnica di quella federazione. Lo fa attraverso un racconto e immagini metaforici, senza perdere il gusto dell'ironia e del paradosso che caratterizza i suoi film: in questo caso la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dalla Mitevska assieme ad Elma Tataragić, autrice sarajevese nata nel 1976, a cui si deve un tocco autobiografico. Già la scena iniziale è notevole: un uomo visto di spalle osserva dall'alto di un palazzo un cantiere in costruzione a bordo del quale è seduta una donna bionda che sta preparandosi a un appuntamento. La vediamo camminare, per la città, inquadrata prima in alcuni dettagli e solo dopo un lungo piano sequenza tutta intera, quando arriva in un nuovo palazzo tutto vetri dove si tiene la settimanale riunione di un sito che si occupa di appuntamenti tra persone di sesso diverso che cercano una relazione: lei è Asja, ha 45 anni, laureata in legge, ha un ottimo lavoro e sa già che il potenziale partner che incontrerà e con cui farà a coppia a partecipare a une serie di domande surreali, ideate per testarne la compatibilità, si chiama Zoran, che ha solo due anni più di lei, perché già si sono conosciuti in rete. Quello che non sa è che è stato Zoran di fatto a scegliere lei e per un motivo ben preciso: è stato lui quello che ha sparato il colpo che le ha procurato una ferita che di cui porta ancora i segni sulla schiena la notte del 1° gennaio del 1993: era stata la prima volta che aveva usato il fucile che gli avevano ordinato di imbracciare al momento in cui fu costretto ad arruolarsi, quando aveva  appena compiuto 18 anni. E 16 Asja, la sua vittima. Senso di colpa? Desiderio di espiazione o di perdono? L'uomo è emaciato, sembra in preda ad attacchi di panico, pur avendo un buon lavoro e una famiglia (escluso quindi che abbia voluto incontrare Asja per scopi gli "istituzionali" del sito), ammette di aver spesso preso in considerazione il suicidio (da qui il titolo in serbocroato) e, sì, di essere serbo e quindi ortodosso. Tutti dettagli che si scoprono man mano che la vicenda prende corpo coinvolgendo anche il resto dei frequentatori dell'evento, un gruppo eterogeneo di personaggi di tutte le età e di tutte le etnie, in buona parte "miste" (come del resto è Asja, di padre musulmano e madre serbo-ortodossa); sarajevesi che hanno vissuto in prima persona quell'assedio durato quasi quattro anni e altri più giovani che pur non avendone un ricordo diretto ne portano tuttora conseguenze pur vivendo in una realtà completamente mutata e ben testimoniata proprio dal palazzo in cui si tiene la grottesca manifestazione che li ha riuniti lì: cercare incontri in una città in cui la convivenza e i rapporto sono tuttora problematici benché sia sempre vivace e attiva, e dove le divisioni passano nella mente stessa delle persone che appartengono a un popolo che, al di là di speciose differenze etniche, religiose parla la stessa identica lingua da sempre (ed è con questa che si comunica, oltre che coi corpi) e ha la stessa mentalità. Mitevska è ancor più degna di stima perché non dà giudizi su vicende storiche che, da ex jugoslava, nata nel 1974 a Skopjie, nella vicina Macedonia, ha conosciuto lei stessa molto bene da giovane, al di là di confermare che vittime di qualsiasi guerra sono le persone normali, quelle che costituiscono il "popolo" in nome del quale chi sta al potere le inizia, le conduce e ci marcia, compreso chi ci è messo in mezzo e costretto a farla uccidendo e rischiando la vita per conto di chi ha i mezzi per costringerlo a farlo, com'è il caso di Zoran. Quello che viene rappresentato è uno psicodramma a due che diventa man mano collettivo coinvolgendo tutti i presenti, ognuno per aspetti diversi, come diverse sono le storie dei vari personaggi che affiorano qua e là dalle risposte agli assurdi quiz o nei colloqui tra di loro. Geniale l'idea dello speed dating come spunto ed sfondo alla vicenda, dialoghi concisi ed esemplari, interpretazioni tutte di ottimo livello: brava la regista e bravi gli attori. 

venerdì 7 aprile 2023

Era ora

"Era ora" di Alessandro Aronadio. Con Edoardo Leo, Barbara Ronchi, Mario Sgueglia, Francesca Cavallin, Raz Degan, Andrea Purgatori, Massimo Wertmüller e altri. Italia 2022 ★★★

A cinque anni di distanza da Io c'è, torna nelle sale Alessandro Aronadio con un'altra commedia eccentrica in forma di favola, rifacimento di Come se non ci fosse un domani - Long Story Short dell'australiano Josh Lawson, uscito due anni fa e il piglio mi è parso più sicuro, quindi il risultato migliore, anche grazie a una coppia di interpreti azzeccati: Edoardo Leo, sempre a suo agio con personaggi un po' persi, inadeguati al mondo circostante, e Barbara Ronchi, a mio parere sempre troppo poco valorizzata. I due danno vita a una coppia affiatata e innamorata: Dante,  impiegato in una compagnia di assicurazione, sempre in corsa contro il tempo, perennemente in ritardo sui numerosi impegni di cui si è fatto carico, e Alice, un'illustratrice di libri per bambini: al risveglio dopo la festa che, a sorpresa, lei ha organizzato per il 40° compleanno del compagno, Dante si trova ad affrontare nuovamente i dieci 26 ottobre successivi, la sua data di nascita, senza ricordarsi minimamente di quello che è successo nei 365 giorni precedenti: rimane insomma impigliato nel tempo, che comunque scorre sempre più veloce, come per l'appunto sa bene chi ha superato quella cifra fatidica. Nel frattempo Alice è rimasta incint; hanno avuto una bimba; Dante rinvia ogni volta a utilizzare il regalo che gli ha fatto Valerio, insegnante, l'amico di sempre: un giro assieme sull'otto volante; diventa direttore della compagnia in cui lavora; farà terapia di coppia con Alice (presso uno psicoterapista impersonato spiritosamente ed efficacemente da Andrea Purgatori); avrà una storia con la sua segretaria; Alice lo lascia per una sorta di "guru de noantri" e lui vedrà la figlia solo saltuariamente; a Valerio cadranno i capello per via della chemio a cui deve sottoporsi... Ma è la realtà di una vita che gli è svanita tra le dita oppure una premonizione in forma di allucinazione e lui farà in tempo a correggere quello che sembra essere il suo destino? Il film giustamente non lo dice, e lascia la conclusione allo spettatore, o quantomeno il tempo per riflettere se non sia il caso di dare il giusto valore alle cose che contano, a cominciare dall'uso del proprio tempo e delle proprie energie, e ai rapporti con le persone che si è convinti di amare. E di non riprodurre i meccanismi di cui si è stati vittime a propria volta, come è il caso di Dante nel rapporto con suo padre: la convinzione di dover fare di tutto per assicurare il mero benessere materiale alla famiglia che giustifica l'assenza nel presente di tutti i giorni. Il tutto in forma di una metafora non originalissima (il presente che si ripropone invariabile non è un tema nuovo) ma presentata con gentilezza e arguzia, senza forzature. Un film lieve ma non stupido, e un cast ben assemblato che lo rende gradevole. 

martedì 4 aprile 2023

Armageddon Time - Il tempo dell'Apocalisse

"Armageddon Time - Il tempo dell'Apocalisse" di James Gray. Con Banks Repeta, Anne Hathaway, Anthony Hopkins, Jeremy Strong, Johnny Davis, Tovah Feldshuh, Jessica Chastain, Ryan Sell, Domenick Lombardozzi e altri. USA, Brasile 2022 

E dàgliela: avanti un altro che che ci fa, indirettamente, un pippone sulla sua vocazione artistica e, come se non bastasse, sul "tempo dell'apocalisse", quello che secondo la sua versione avrebbe colpito gli USA con l'avvento dell'Era Reaganiana all'inizio degli anni Ottanta, chiudendo quella della Speranza, una sorta di immaginaria Età dell'Innocenza che avrebbe caratterizzato il Grande Paese della Libertà e delle Opportunità nei quarant'anni precedenti, durante i quali non si era realizzata l'utopia di forgiare quella società multietnica, multiculturale e, soprattutto, solidale tanto proclamata nelle intenzioni quanto smentita dai fatti, per cadere nell'individualismo e nella ricerca del successo, misurato esclusivamente attraverso il denaro, come se non fosse questo il collante di quella società fin dalle sue origini: ciò in cui si sostanzia il "diritto alla ricerca della felicità" sancito costituzionalmente, ossia il Sogno Americano. Che è poi quello di partecipare alla lotteria di chi riesce a farcela, senza guardare in faccia a nessuno e, se necessario, a tradire e fottere l'amico, il parente o anche passare sul cadavere di chiunque si frapponga al cammino verso l'autorealizzazione. Così Gray, un regista del tutto altalenante, come già notato in passato, che alterna buoni film ad altri inguardabili, ma che hanno in comune l'appartenenza al genere del polpettone, imbastisce una storia dai risvolti autobiografici raccontandoci il passaggio dall'infanzia all'adolescenza di Paul Graff, ragazzino delle medie di una famiglia ebrea laica e piccolo borghese che abita nel Queens, a New York, studente svogliato, a parte la passione per il disegno, e indisciplinato che frequenta una scuola pubblica dove lega con un compagno di classe ripetente e di colore, Johnny, senza genitori, affidato alla nonna (malata), con cui combina guai di ogni genere: una sorta di Gian Burrasca, a differenza del fratello, studente modello, che frequenta una prestigiosa scuola privata. Dove finirà anche lui, per volere soprattutto della madre (Anne Hathaway), che, da brava "progressista" pure si diceva intenzionata a candidarsi per il consiglio scolastico di zona, salvo smentirsi clamorosamente, in sostanza per toglierlo dalle "cattive frequentazioni", in pratica separarlo dall'amico di colore. Unico a capire le ambasce del ragazzino è il nonno, un Anthony Hopkins sempre più fossilizzato nella parte di vecchio trombone e senza più un guizzo di autenticità, peraltro ex insegnante, che ricostruisce a uso del nipote discolo la storia della famiglia, fuggita dalla vecchia Europa per via di persecuzioni che aveva subito fin dalla Ucraina di dove era originaria (e figurati se poteva mancare un riferimento, del tutto specioso, all'attualità) a causa della propria "diversità", passando da Liverpool alla volta degli Stati Uniti. Dove avrebbe avrebbe trovato altre minoranze (per la serie: ognuno è il negro, o il terrone, di qualcun altro) e dovuto adeguarsi, ossia mandare giù bocconi amari e smentire i propri ideali per conformarsi e, nel caso, abbandonare al loro destino i più sfortunati. Bell'insegnamento, ma efficace, da parte di quello più "sensibile" della famiglia. Figurarsi il padre, una figura evanescente, che si vergogna di fare l'idraulico e già è frustrato di suo per non essere istruito come la moglie e che non si sente adeguato alla famiglia di lei, e pone tutte le sue speranze di riscatto sociale nel futuro dei due figli. In sostanza Paul imparerà a "tirare dritto" per la sua strada, ché solo così facendo, forse, potrà realizzare la sua ambizione di diventare un "Artista di successo" (che ovviamente si misura soltanto con la quantità quattrini che si riescono a incassare con le proprie opere, non certo con la qualità), senza curarsi di chi gli era stato a fianco, perché nulla si può fare se si ha il destino segnato, ossia: "così va il mondo". Il prezzo: un po' di senso di colpa da portarsi dietro (ché ad alleviare quello possono sempre pensarci gli psicoanalisti, altra specialità della casa, specie ebraico-americana) e avanti col sano pragmatismo anglosassone e il vittimismo dei discendenti del "popolo eletto". E, per quanto riguarda Gray, chissà, una redenzione attraverso l'Arte, dove si può realizzare quello che nella realtà è impossibile mutare. Beh, questo film di artistico non ha nulla: è insulso, noioso, pedantesco, inconcludente, mediamente male interpretato, irritante fin dall'altisonante  titolo e pure ipocrita. Si salvano Banks Repeta nella parte di Paul e Jeremy Strong in quella di suo padre per il paio di battute che gli sono concesse, la fotografia è scadente, l'ambientazione posticcia e raffazzonata.

domenica 2 aprile 2023

La valigia


"La Valigia - In viaggio con Dovlatov, Un torero squalificato" con Giuseppe Battiston. Regia di Paola Rota. Tratto da "La valigia" di Sergej Dovlatov, traduzione di Laura Salomon, adattamento di Paola Rota e Giuseppe Battiston; scena Nicolas Bovey; costumi Vanessa Sannino; luci Andrea Violato; suono e musica Angelo Elle; produzione Gli Ipocriti. Al Teatro PalaMostre di Udine il 31.03 e il 01.04

Non era stato facile trasporre sul grande schermo Il libro invisibile di Sergej Dovlatov, che raccontava i tentativi sistematicamente frustrati di pubblicare i suo libri nell'Unione Sovietica degli anni Settanta, ma Alexey German Jr ci era mirabilmente riuscito con l'ottimo film uscito un anno e mezzo fa e rimasto malauguratamente troppo poco nelle sale, capace di raccontare come pochi un'epoca e un ambiente; ancora più arduo, ridurre per il teatro il suo romanzo La valigia, in cui lo scrittore enumerava gli oggetti che avrebbe portato via da Leningrado dentro la sua valigia da emigrante e che l'avrebbero seguito nell'esilio, avvenuto nel 1978: da Vienna a Roma e poi negli USA, a New York, dove si stabilì e morì nel 1991, a soli 49 anni. Ci sono riusciti Paola Rota, che cura anche la regia di questo atto unico per attore solista, e Giuseppe Battiston, che ne è l'inarrivabile protagonista. Una valigia di ricordi: per ogni oggetto, Dovlatov imbastiva un racconto che finiva per evocare con ironia, affetti e partecipazione una serie di situazioni e di personaggi, quelli che si definirebbero i perdenti, gli unici con cui si diceva in grado di stare in compagnia, degli antieroi che erano capaci di ridere delle loro miserie facendosi burla di un regime oppressivo e riuscendo così a sopravvivergli, ma sostanzialmente liberi nella loro essenza e quindi, almeno a tratti e per quanto possibile, felici. Li riviveva con affettuosa nostalgia, perché russo era ed è rimasto, e la felicità non l'ha certo trovata nella negli Stati Uniti, il sedicente Paese della libertà però finta, di plastica: quella che da almeno vent'anni si è dato la missione di esportare nel mondo attraverso le guerre, ma questo lo aggiungo io e non lo scriveva Dovlatov e non lo dice Battiston in scena. Che non si limita a dare  voce (e che voce) ai racconti, in un italiano con pochi articoli, dalla pronuncia slava, però efficacissimo e ben scandito e quindi comprensibile, ma in grado di evocare quasi fisicamente i protagonisti dei racconti scaturiti dai ricordi di Dovlatov dando loro vita, in forma fantasmatica, con la potenza della parola e della gestualità, su una scena che, coi suoi microfoni ad asta, può ricordare uno studio radiofonico o televisivo (Dovlatov era giornalista e può starci una intervista, anche in veste di "esule"). Potenza della capacità interpretativa e affabulatoria di Battiston che è perfetta per dare voce e vita allo scrittore russo e ai suoi apparentemente strampalati personaggi, più russi che mai e che potrebbero essere usciti dalle pagine di Gogol', Čechov o Bulgagov, che esprimono l'uomo nella sua essenza e hanno dato vita a quella che è la più importante letteratura del mondo, come ha ricordato lo steso attore in una recente intervista a proposito dello spettacolo. Grandissima interpretazione di Battiston, che venerdì sera e ieri peraltro "giocava in casa", a Udine, al PalaMostre, con sala stracolma e accoglienza più che calorosa.

Prossime tappe: 12.04 al Teatro Comunale di Todi, 14.04 al Teatro Manzoni di Monza