martedì 4 aprile 2023

Armageddon Time - Il tempo dell'Apocalisse

"Armageddon Time - Il tempo dell'Apocalisse" di James Gray. Con Banks Repeta, Anne Hathaway, Anthony Hopkins, Jeremy Strong, Johnny Davis, Tovah Feldshuh, Jessica Chastain, Ryan Sell, Domenick Lombardozzi e altri. USA, Brasile 2022 

E dàgliela: avanti un altro che che ci fa, indirettamente, un pippone sulla sua vocazione artistica e, come se non bastasse, sul "tempo dell'apocalisse", quello che secondo la sua versione avrebbe colpito gli USA con l'avvento dell'Era Reaganiana all'inizio degli anni Ottanta, chiudendo quella della Speranza, una sorta di immaginaria Età dell'Innocenza che avrebbe caratterizzato il Grande Paese della Libertà e delle Opportunità nei quarant'anni precedenti, durante i quali non si era realizzata l'utopia di forgiare quella società multietnica, multiculturale e, soprattutto, solidale tanto proclamata nelle intenzioni quanto smentita dai fatti, per cadere nell'individualismo e nella ricerca del successo, misurato esclusivamente attraverso il denaro, come se non fosse questo il collante di quella società fin dalle sue origini: ciò in cui si sostanzia il "diritto alla ricerca della felicità" sancito costituzionalmente, ossia il Sogno Americano. Che è poi quello di partecipare alla lotteria di chi riesce a farcela, senza guardare in faccia a nessuno e, se necessario, a tradire e fottere l'amico, il parente o anche passare sul cadavere di chiunque si frapponga al cammino verso l'autorealizzazione. Così Gray, un regista del tutto altalenante, come già notato in passato, che alterna buoni film ad altri inguardabili, ma che hanno in comune l'appartenenza al genere del polpettone, imbastisce una storia dai risvolti autobiografici raccontandoci il passaggio dall'infanzia all'adolescenza di Paul Graff, ragazzino delle medie di una famiglia ebrea laica e piccolo borghese che abita nel Queens, a New York, studente svogliato, a parte la passione per il disegno, e indisciplinato che frequenta una scuola pubblica dove lega con un compagno di classe ripetente e di colore, Johnny, senza genitori, affidato alla nonna (malata), con cui combina guai di ogni genere: una sorta di Gian Burrasca, a differenza del fratello, studente modello, che frequenta una prestigiosa scuola privata. Dove finirà anche lui, per volere soprattutto della madre (Anne Hathaway), che, da brava "progressista" pure si diceva intenzionata a candidarsi per il consiglio scolastico di zona, salvo smentirsi clamorosamente, in sostanza per toglierlo dalle "cattive frequentazioni", in pratica separarlo dall'amico di colore. Unico a capire le ambasce del ragazzino è il nonno, un Anthony Hopkins sempre più fossilizzato nella parte di vecchio trombone e senza più un guizzo di autenticità, peraltro ex insegnante, che ricostruisce a uso del nipote discolo la storia della famiglia, fuggita dalla vecchia Europa per via di persecuzioni che aveva subito fin dalla Ucraina di dove era originaria (e figurati se poteva mancare un riferimento, del tutto specioso, all'attualità) a causa della propria "diversità", passando da Liverpool alla volta degli Stati Uniti. Dove avrebbe avrebbe trovato altre minoranze (per la serie: ognuno è il negro, o il terrone, di qualcun altro) e dovuto adeguarsi, ossia mandare giù bocconi amari e smentire i propri ideali per conformarsi e, nel caso, abbandonare al loro destino i più sfortunati. Bell'insegnamento, ma efficace, da parte di quello più "sensibile" della famiglia. Figurarsi il padre, una figura evanescente, che si vergogna di fare l'idraulico e già è frustrato di suo per non essere istruito come la moglie e che non si sente adeguato alla famiglia di lei, e pone tutte le sue speranze di riscatto sociale nel futuro dei due figli. In sostanza Paul imparerà a "tirare dritto" per la sua strada, ché solo così facendo, forse, potrà realizzare la sua ambizione di diventare un "Artista di successo" (che ovviamente si misura soltanto con la quantità quattrini che si riescono a incassare con le proprie opere, non certo con la qualità), senza curarsi di chi gli era stato a fianco, perché nulla si può fare se si ha il destino segnato, ossia: "così va il mondo". Il prezzo: un po' di senso di colpa da portarsi dietro (ché ad alleviare quello possono sempre pensarci gli psicoanalisti, altra specialità della casa, specie ebraico-americana) e avanti col sano pragmatismo anglosassone e il vittimismo dei discendenti del "popolo eletto". E, per quanto riguarda Gray, chissà, una redenzione attraverso l'Arte, dove si può realizzare quello che nella realtà è impossibile mutare. Beh, questo film di artistico non ha nulla: è insulso, noioso, pedantesco, inconcludente, mediamente male interpretato, irritante fin dall'altisonante  titolo e pure ipocrita. Si salvano Banks Repeta nella parte di Paul e Jeremy Strong in quella di suo padre per il paio di battute che gli sono concesse, la fotografia è scadente, l'ambientazione posticcia e raffazzonata.

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