lunedì 29 marzo 2021

La nave sepolta

"La nave sepolta" (The Dig) di Simon Stone. Con Carey Mulligan, Ralph Fiennes, Lily James, Johnny Flynn, Ken Scott, Ben Chaplin, Monica Dolan e altri. Gran Bretagna 2021 ★★★½

Poco da fare: il cinema britannico è sempre una solida certezza, anche in un caso come questo quando, dietro alla macchina da presa, c'è un giovane regista australiano (ma vissuto anche a Cambridge), al suo secondo film dopo il felice esordio con The Daughter, del 2015, il quale non mi risulta essere stato distribuito in Italia, e che si basa su un soggetto tratto dall'omonimo romanzo di John Preston per raccontare una vicenda vera: una scoperta straordinaria, che ha riscritto la storia dell'Inghilterra colmando un vuoto di qualche secolo tra l'abbandono dell'isola da parte dei romani e l'arrivo dei vichinghi, ossia il rinvenimento dei resti di una nave funeraria di un sovrano anglo-sassone (Readwald) che regnò nell'Anglia orientale (oggi Suffolk) nel VII secolo e la relativa "camera del tesoro", che oggi si trova al British Museum di Londra, donato dalla proprietaria del terreno in cui furono effettuati gli scavi, Edith May Pretty. Siamo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e la donna, interpretata dalla misurata Carey Mulligan, giovane vedova dalla salute precaria di un colonnello dell'esercito, appassionata dal passato e dagli usi e costumi del luogo nonché cultrice dello spiritismo, incarica un archeologo dilettante, Basil Brown (Ralph Fiennes), con le stesse passioni, un proprietario terriero della zona, di effettuare degli scavi nei tumuli che vi sorgono, alcuni dei quali già visitati e svuotati dai tombaroli in tempi diversi, convinta che le leggende locali abbiano un fondamenti di verità. Per farla breve, il ritrovamento avverrà nell'estate del 1939, per merito esclusivo della cucciutaggine sua e di Brown, che si definisce semplice "addetto agli scavi" senza vantare qualifiche accademiche che non possiede, ma molta più cognizione di causa e conoscenza del terreno dei luminari che sopraggiungeranno da Londra e da Ipswich per proseguire la "caccia al tesoro" e se ne contenderanno merito e possesso. L'oro verrà ritrovato da una ricercatrice al seguito del noto archeologo Charles Pillips (Ken Scott, superbo nel renderlo odioso) dell'università di Cambridge, giovane moglie di un suo amico e collaboratore (la brava e gradevole Lilly James), e qui la fiction probabilmente si aggiunge e coniuga col dato reale, perché se ne raccontano le frustrazioni del rapporto col marito, che scopre essere omosessuale, e la nascita di una relazione con l'aitante cugino della signora Pretty, che aveva collaborato con Brown alla prima fase degli scavi e fresco arruolato come pilota della RAF nell'imminenza del conflitto. Al di là della storia, che ha un suo innegabile interesse, il punto di forza del film è la ricostruzione del clima prebellico nonché quello dei differenti ambienti sociali e culturali delle persone coinvolte nella vicenda, aspetto tantopiù interessante in un Paese ancor oggi profondamente classista come il Regno Unito. Simon Stone dimostra di cavarsela bene, il racconto risulta scorrevole, le inquadrature sono sempre suggestive e sia l'epoca sia le atmosfere, all'aperto ancor più che negli ambienti chiusi, sono rese in maniera particolarmente vivida ed efficace; l'intreccio di contorno ci sta ed è plausibile, ulteriore prova di intelligenza quella di affidarsi a un cast di interpreti di sicuro livello: il risultato è un film ben fatto, piacevole, interessante. Consigliato. Su Netflix da alcuni giorni.

lunedì 22 marzo 2021

Mank

"Mank" di David Fincher. Con Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Arliss Howard, Charles Dance, Tom Burke, Sam Troughton, Tom Pelphrey, Tuppence Middleton e altri. USA 2020 ★★★★★

Finalmente un film (visibile su Netflix dopo un veloce passaggio nelle sale in autunno) del più alto livello, diretto da David Fincher (Seven, Fight Club, The Social Network, Gone Girl per non parlare di House of Cards, la serie), a cui va l'auspicio che faccia il pieno di riconoscimenti tra Golden Globes e Oscar. Presentato come biopic, incentrato su un passaggio cruciale della vita dello sceneggiatore Herman Mankievicz detto Mank, ossia la paternità della sceneggiatura di Quarto Potere di Orson Welles, riconosciuta solo parzialmente e per la quale aveva ricevuto l'Oscar, scritta nel 1941 mentre era isolato in una sperduta fattoria nel deserto del Mohave, in California, immobilizzato dopo un incidente automobilistico assieme alle due fide assistenti, diventa, anche attraverso un suggestivo quanto efficace bianco e nero che ci riporta direttamente a quegli anni, un ritratto del mondo del cinema nel periodo d'oro di Hollywood visto dall'interno, con tutte le sue implicazioni, a cominciare dai condizionamenti da parte di chi controlla i mezzi di informazione e dalle conseguenti implicazioni politiche. E con cognizione di causa, perché anche lo scomparso padre di David Fincher, Jack, che in Mank viene accreditato come autore della scenografia, era un brillante ex giornalista, critico e sceneggiatore proprio come il geniale protagonista di questa vicenda. Orson Welles, giovane rivelazione del teatro, che aveva ottenuto carta bianca dai produttori RKO per la realizzazione del suo film d'esordio, aveva commissionato lo script a Mank, contando sulla sua conoscenza dei meccanismi cinematografici, l'arguzia e la capacità di ideare dialoghi fulminanti (era stato l'autore de La guerra lampo dei fratelli Marx e della sceneggiatura originale de Gli uomini preferiscono le bionde, per citare due capolavori), e gli aveva dato 60 giorni per completarlo, approfittando anche della sua momentanea immobilità forzata, che lo avrebbe tenuto (credeva lui) lontano dall'alcol, a cui era dedito appassionatamente, e al gioco d'azzardo, che lo lasciava regolarmente al verde, e Mank si ispirò, anche su suggerimento della sua fida segretaria Rita, alle proprie personali esperienze di 10 anni prima quando, autore di punta della Metro Goldwin Meyer, era entrato nel cerchio del tycoon William Randolph Hearst, un Berlusconi dell'epoca, che lo apprezzava per la sua causticità e brillantezza nonostante le sue dischiarate simpatie socialiste. A quei tempi Mank, che era entrato anche in profonda amicizia con l'attrice Marion Davis, da anni amante del magnate e newyorkese di Brooklyn come lui, scoprì che Louis Meyer, patrono della MGM, in difficoltà economiche, su suggerimento di Hearst, aveva realizzato dei falsi cinegiornali per  sabotare la campagna di Upton Sinclair, candidato a governatore della California alle elezioni del 1934 per i democratici, e ne aveva raccontato nei dettagli le manovre durante una cena in maschera nel castello del magnate a cui prendeva parte tutta la crême holliwoodiana, a cui si era presentato ubriaco ma straordinariamente lucido, anticipando, di fatto la trama di Citizen Kane, pietra miliare della storia del cinema che ha svelato i meccanismi del Quarto Potere, quello della stampa, per l'appunto. A prescindere dalla fluidità del racconto, e dal suo contenuto più che mai attuale, dalla felicità della mano del regista, pur rimanendo centrale il personaggio di cui racconta la storia, interpretato dal bravissimo Gary Oldman, anche tutti gli altri non sono semplicemente di contorno e sono delineai con rara precisione nei caratteri essenziali da un cast di prim'ordine, per cui non si possono ritenere secondari, aspetto che fa evolvere Mank da "semplice" film biografico ben confezionato a un grande film con una solida trama in assoluto. Da non perdere e un grazie a David Fincher.  

martedì 16 marzo 2021

La sentinella

"La sentinella" (Sentinelle) di Julien Leclerq. Con Olga Kurylenko, Marilyn Lima, Michel Nabokov, Martin Swabey, Carole Weyers, Guillaume Duhesme e altri. Francia 2021 

Devo ammettere che provo sempre una sottile, carognesca soddisfazione quando la congenita boria e infinita presunzione dei francesi viene minata e messa in ridicolo a opera di sé stessi, e nel caso de La Sentinella si tratta del solo aspetto positivo, al di là di un po' di movimento e qualche scorcio panoramico di Nizza, di questo film che vorrebbe essere d'azione ma risulta poco più di un videogioco con personaggi in carne (si fa per dire, nel caso della protagonista, al limite dell'anoressia) e ossa, e con la medesima inverosimiglianza. Più che credibile è invece l' arcinota inefficienza dell'esercito francese, famoso a livello planetario per aver fatto figure di merda in ogni epoca storica, specie negli ultimi due secoli, in esecuzione degli ordini di governanti megalomani quanto imbecilli, e la proverbiale inettitudine e idiozia dei suoi "tutori dell'ordine", consegnate all'immortalità dall'ispettore Clouseau dal grande Peter Sellers. Qui Klara, una marescialla dell'esercito, rimasta traumatizzata per aver assistito al sacrificio di un bimbo che si è fatto saltare in aria durante una missione in Siria, viene rimpatriata e, benché dia evidenti segni di squilibrio psico-fisico (inconcepibile una donna militare deperita e dall'aspetto cadaverico, in preda ad attacchi di panico e crisi di astinenza da droga senza che nessuno se ne accorga e, quand'anche lo sospetti, non le impedisca di prendere servizio attivo), assegnata all'operazione Sentinelle (che quindi non c'entra un cazzo col titolo in Italiano, tanto per cambiare), iniziativa antiterrorismo avviata dopo gli attentati di Parigi del gennaio 2015 che vede l'esercito pattugliare (peraltro inutilmente, vedi gli 87 morti proprio sulla Promenade del centro provenzale durante la Festa Nazionale del 2016) strade e piazze delle città francesi in servizio di ordine pubblico, il tutto nella sua città d'origine, Nizza, dove abitano anche la sorella Tania e la madre. Russe. Come russi sono i personaggi con cui si eclissaTania durante una serata in discoteca con la sorella, che la ritroverà in coma in ospedale dopo essere stata stuprata. Ha così inizio la trasformazione in Ramba da parte dell'esile ma determinata militaressa, che capisce subito come dietro al sequestro e allo stupro ci stia il solito malvagio tipo Spectre, intangibile perché in possesso di passaporto diplomatico, e da sola sia avvia sulla strada della vendetta con un paio di visite nella villa del russo cattivo, accoppando uno stuolo di guardie del corpo, per trasferirsi poi a Parigi con tutta l'artiglieria recuperata senza colpo ferire nell'armeria della caserma in cui è di stanza, ammanettando l'armiere senza che nessuno se ne accorga nell'arco delle sei ore che occorrono comunque dalla Costa Azzurra alla capitale di quel Paese di cialtroni, e lì si compierà la resa dei conti e giustizia, a modo suo, sarà fatta. Per fortuna questa specie di spot moltiplicato per un certo numero di volte dura soltanto 80 minuti scarsi, dopodiché si passa ad altro con un sospiro di sollievo da un lato e di sufficienza dall'altro, augurandosi soltanto che la derelitta Olga Kurylenko, che con una ventina di chili in più non sarebbe nemmeno disprezzabile, d'aspetto se non come attrice, si dia una regolata e torni a nutrirsi in maniera decente e a cercare qualche copione un po' più degno. Amen.

giovedì 11 marzo 2021

Capone

"Capone" di Josh Trank, Con Tom Hardy, Linda Cardellini, Kyle MacLachlan, Matt Dillon, Kathrine Narducci, Jack Lowden, Gino Cafarelli e altri. USA 2020 

Di Al Capone, Fonzo per gli amici (da Alfonso), forse il personaggio malavitoso più popolare al mondo e più rappresentato al cinema, questo film sgangherato, noioso, lento, fallimentare quanto velleitario, voleva dare una lettura inconsueta raccontandone l'ultimo anno di vita, ormai totalmente in preda alla demenza causata da una neurosifilide contratta nell'adolescenza e mai curata, che gli aveva consentito di uscire dal carcere per ritirarsi nella sua villa di Palm Island in Florida, circondato da moglie, fratello, figlio e amici fidati, e dove morì nel gennaio del 1947, a soli 48 anni, a causa di un ictus e di una polmonite conseguenza della malattia. Il regista ci prova tentando di entrare nella psiche distorta del personaggio e dando corpo ai suoi deliri: tra i quali stendere a mitragliate le persone di cui ha preso a diffidare, gli alligatori che sguazzano nelle lagune dei paraggi, la polizia che lo sorveglia a intercetta le sue telefonate convinta com'è che stia facendo finta d'aver perso la memoria per occultare il luogo in cui avrebbe nascosto la somma di 10 milioni di dollari, l'ultima riserva rimasta delle sue fortune, poste sotto sequestro dopo la famosa condanna per evasione fiscale. E invece non si ricorda proprio dove abbia nascosto la borsa che li conteneva, nonostante i tentativi del medico curante di fargli recuperare almeno quella parte di memoria. Nei panni di Capone un volonteroso Tom Hardy, i cui sforzi però non valgono, per quanto la sua interpretazione possa essere convincente e senz'altro estremamente faticosa, se non altro a causa del pesante trucco a cui è stato costretto durante le riprese, a salvare questa pellicola completamente disarticolata, recitata in maniera approssimativa, con una sceneggiatura raffazzonata e incongrua e un'ambientazione di cartapesta. Il totale rincoglionimento di Capone deve essersi trasmesso a distanza anche a Josh Trank, del resto già reduce dalclamoroso fallimento de I fantastici quattro  del 2015 dopo il promettente esordio con Chronicle di tre anni prima. Un film pessimo il cui unico aspetto positivo è l'interpretazione di Tom Hardy nella parte del famoso gangster. Per il resto è buio pesto. Chi vuole compiere un atto autolesionista, lo cerchi su SKY.

sabato 6 marzo 2021

La tigre bianca

"La tigre bianca" (The White Tiger) di Ramin Bahrani. Con Adarsh Gourav, Rajkummar  Rao, Priyanka Chopra, Mahesh Manjrekar, Swaroop Sampat, Kamles Gill, Vijay Maurya, Nalneesh Neel e altri. USA, India 2021 ★★★★

Ieri sera ero così imbestialito dopo aver appreso che per le prossime due settimane tutta la regione in cui vivo sarà nuovamente in Zona Arancione per almeno le prossime due settimane, con conseguente confino nel proprio comune di residenza, che di primo acchito non avevo apprezzato del tutto questo film molto indiano eppure quasi per nulla bollywoodiano tratto dal premiato e omonimo romanzo del giornalista e scrittore Aravind Adiga (2008, edito in Italia da Einaudi), con punte di umorismo nero, agile, ritmato, beffardo, autoironico soprattutto da parte dei due coprotagonisti e produttori esecutivi Rajkummar Rao e, soprattutto, l'affascinante Priyanka Chopra, il cui understatement nel non ritagliarsi un ruolo da star e da bellissima, quale invece è, oltre che simpatica e spigliata, che hanno lasciato il ruolo principale all'emergente Adarsh Gourav. Il quale è anche voce narrante nei panni del giovane Balram, cresciuto in una tradizionale famiglia rurale, che racconta la storia della propria vita e di come è diventato un brillante creatore di start-up a Bangalore, la Silicon Valley di tutto l'Oriente, in una e-mail indirizza al leader cinese in visita ufficiale nel Paese, ossia di come si sia trasformato da servo compiaciuto del proprio padrone in un mostro perfettamente aderente ai canoni richiesti a un imprenditore di successo della New Economy sostituendosi ad Ashok (Rajkummar Rao), prendendone l'identità a costo di sacrificare la famiglia d'origine, nonché il datore di lavoro. Ashok era il figlio né carne né pesce di un maggiorente del paese natale di Balram, il quale grassava periodicamente pur essendosi trasferito a Nuova Delhi dove aveva fatto fortuna facendo affari con chiunque detenesse il potere, fosse il "Partito Nazionale" o quello capeggiato dalla Grande Socialista (ogni riferimento è... palese per chi è un minimo informato sulle vicende del subcontinente), entrambi egualmente corrotti fino al midollo: il rampollo aveva studiato negli USA, dove aveva trovato anche moglie, la disinvolta e sveglia Pinkie Madam, newyorkese di origine indiana (Priyanka Chopra, bravissima, con alcuni aspetti autobiografici), che vorrebbe innovare il giro d'affari di famiglia, investendo per l'appunto nell'economia che gira attorno all'informatica e si altalena fra progressismo velleitario e politicamente corretto e inaccettabili e spregevoli comportamenti indotti dall'ambiente famigliare che esasperano la consorte, che se ne torna a Brooklyn. Evito di raccontare altro, e mi limito a dire che, di fatto, è un film che prende di mira il servilismo a tutti i livelli, e in particolare la complicità, una vera e propria Sindrome di Stoccolma che fa parte di un atteggiamento mentale che l'indiano e l'italiano medio hanno in comune, che coinvolge la vittima e il suo carnefice e, in generale, chi è artefice del sistema che consente a pochi di rinchiudere i propri polli in una stia da cui è possibile uscire soltanto usando gli stessi mezzi criminali di chi ha creato questo circolo vizioso. Con questi chiari di luna da terrore pandemico dilagante (e in gran parte indotto) siamo esattamente in questa situazione. Su Netflix, mi sento di caldeggiarne la visione riserve.

lunedì 1 marzo 2021

Sotto lo zero

"Sotto lo zero" (Bajocero) di Lluís Quílez. Con Javier Gutiérrez, Isak Férriz, Alex Monner, Patrick Criado, Édgar Vittorino, Karra Eleiade, Forin Opritescu, Luis Callejo, Andrés Gertrúdix e altri. Spagna 2021 ★★★+

Dobbiamo forse ringraziare il lockdown nelle sue diverse gradazioni per la crescente offerta di film e serie TV in streaming sulle piattaforme on line, innanzitutto Netflix, se abbiamo l'occasione di vedere produzioni diverse da quelle che normalmente vengono proposte in sala: banali americanate e presunti blockbuster holliwoodiani, raffazzonati pipponi "indie", ciarliere commediole franzose per non parlare del pecoreccio e provinciale ciarpame nostrano, il tutto con le dovute, meritevole eccezioni; fra esse, quelle spagnole, che regolarmente centrano l'obiettivo, che è quello di intrattenere il pubblico, coinvolgendolo e garantendo sempre un livello qualitativo più che accettabile. E' il caso di questo Sotto lo zero, una sorta di noir carcerario "on the road", dalla trama semplice e al contempo per niente scontata, che si sviluppa in maniera lineare e, nonostante le forzature e le iperboli, con i cambi di passo al momento giusto, contrassegnati dalle svolte a sorpresa nella trama. Martín, ufficiale della Polizia Nazionale, viene assegnato al servizio trasferimento detenuti e il suo primo incarico è il trasporto di un gruppo variamente assortito di delinquenti da un carcere a un altro. Poliziotto "corretto" e ligio alle regole, si ritrova in coppia con il suo opposto, Montesinos, esperto nel ramo e tendente a trattare le faccende in modo più spiccio: un classico. Mentre viaggiano in una nevosa notte invernale in una zona boschiva in mezzo ai monti (niente di sorprendente per chi conosca un minimo la geografia della penisola iberica, non occorre essere per forza in una landa canadese o nel nord degli USA, basta andare sui Pirenei in Catalogna, come in questo caso) il loro furgone viene assalito e bloccato dall'esterno da un individuo misterioso la cui identità, nonché le motivazioni che lo spingono ad agire, vengono svelate man mano e chiarite del tutto soltanto nel finale. Martín si trova così a dover gestire sia l'ignoto nemico esterno, sia quello interno, l'accozzaglia di malviventi intrappolati sul mezzo di trasporto, alcuni dei quali già in procinto di tentare l'evasione, altri che si aggregano approfittando di una situazione così ambigua e imprevedibile che nemmeno loro riescono a valutare, altri che se ne tengono fuori: chi per convenienza e chi per paura, avendo capito perfettamente il rischio che corrono e le vere ragioni della trappola organizzata. L'elemento misterioso è qui ed è da vedere: se volete restare incollati alla poltrona per un paio d'ore e scoprirlo, non ve ne pentirete. Non è un capolavoro, ma il livello è più che discreto, gli interpreti in grado di rendere credibili i personaggi senza doverne accentuare il lato caricaturale, soprattutto non ci si annoia e si rimane adeguatamente soddisfatti.