giovedì 25 giugno 2015

Buddhismo da Expo: la notte del macaco


Una bolgia umana o, meglio  di mutanti, traffico impazzito, macchine, moto, scooter, biciclette, e non mancavano carrozzine con tanto di pargoli atterriti a intasare tutta la zona dei Navigli peggio che in un fine settimana estivo quando "i vegn giò cunt la piena", fino alla circonvallazione interna. Alla faccia della "serata magica" presentata così: "uno spettacolo suggestivo e dall'alto valore simbolico, una comunione d'intenti e di speranza per il futuro della città: è anche questo il significato della coreografica Notte delle Lanterne, che si terrà alle 21 di mercoledì 24 giugno nel contesto della rinnovata Darsena dei Navigli a Milano. Un modo per affidare all'acqua, simbolo concreto del continuo divenire, i pensieri scritti su biglietti di carta biodegradabile e affidati a oltre mille lanterne galleggianti. Con il sopraggiungere del buio le lanterne, illuminate da un lumino all’interno, verranno rilasciate sull’acqua del Naviglio e seguiranno dieci minuti di silenzio. Una partenza emblema delle speranze legate alla pace e a un futuro di realizzazione in un avvenire più consapevole e sostenibile per tutti. L'evento è organizzato da #Urbanzen #Bpeace insieme a UBI (Unione Buddhista Italiana) e le comunità buddhiste di Milano. L’evento vuole proporsi come appuntamento annuale ripetuto nel mese di giugno con il nome di : #La Notte delle Lanterne a Milano". Circa ottantamila persone avevano aderito al demenziale happening, richiamo irresistibile per il milanesoide-tipo, attrattovi come uno sciame di mosche da una boàssa, e attraverso i "social media" il contagio ha raggiunto ogni parte della città col risultato di cui sopra, con un intasamento mai visto prima in una zona già devastata dal cretinismo modaiolo di massa che stavolta ha colpito più duramente del solito. Peccato non si trattasse di lemming...

lunedì 22 giugno 2015

La regola del gioco

"La regola del gioco" (Kill the Messenger) di Michael Cuesta. Con Jeremy Renner, Rosemarie DeWitt, Ray Liotta, Tim Blake Nelson, Barry Pepper, Oliver Platt, Mary Elizabeth Winstead, Michael Sheen, Paz Vega, Andy García e altri. USA 2014 ★★☆-
Soddisfatto ma non troppo: ammetto che mi aspettavo qualcosa di più da questo film, che racconta come venne reso pubblico il coinvolgimento, negli anni Ottanta, della CIA nel traffico di droga che doveva finanziare clandestinamente la guerriglia anticomunista nell'America Centrale e in particolare i "Contras" nicaraguensi e le conseguenze che ne ebbe nella sua vita professionale (e fisica: morì "suicidato" nel 2004) il giornalista che seguì il caso: Gary Webb, interpretato in maniera partecipata e credibile dall'ottimo Jeremy Renner. Quando nel 1996 la donna di un grosso trafficante nicaraguense gli consegnò il dossier che provava la parte avuta dalla CIA nel traffico di droga e nella diffusione del crack negli slum di Southern Los Angeles, Webb era già un giornalista d'inchiesta famoso, insignito del Premio Pulitzer sei anni prima nonostante lavorasse per un giornale locale, il San José Mercury News, dopo essersi trasferito in California con la famiglia per motivi personali: non era perciò un caso, ed egli con scrupolo proseguì le indagini visitando prigioni negli USA e in Nicaragua, seguendo processi, contattando membri del Congresso, fino alla pubblicazione di Dark Alliance, come venne chiamata l'inchiesta. Dopo i primi momenti di entusiasmo, in cui i media gli andarono dietro divulgando i particolari dello scandalo, cominciarono i guai perché la CIA e, dietro di essa, il governo, non fece aspettare le sue contromosse attraverso pressioni su editori, direttori di testate e televisioni, il ricorso al consueto mantra della "Sicurezza Nazionale", l'intimidazione personale e pesante nei confronti di Webb e della sua famiglia, manovre di ogni genere per scalfirne la credibilità, attraverso calunnie, ingigantimento  e travisamento di presunti "lati oscuri" della personalità e della vita privata del reporter, che prima venne demansionato e spedito a occuparsi di cronaca locale a Cupertino e in seguito, dopo essere stato ipocritamente premiato come giornalista dell'anno dalla stampa californiana, si dimise dal suo giornale, senza riuscire più in seguito a essere assunto altrove: vicenda tristemente vera, che terminò con la sua morte, come ricordato sopra. La pellicola funziona finché racconta gli sviluppi dell'inchiesta, nella redazione del giornale o seguendo Webb nella sua indagine (ottime le interpretazioni di tutto il cast, peraltro di prim'ordine), ma si impantana quando si sofferma sulle vicende private della famiglia del giornalista: non perché non vi sia del vero ma perché cambia completamente registro e ritmo diventando banale, benché Renner rimanga sempre "sul pezzo". Insomma, si poteva fare meglio, ma nelle more della "pausa estiva" accontentiamoci di quel che passa il convento: c'è di peggio, e viene pure esaltato.

sabato 20 giugno 2015

E' arrivata mia figlia!

"E' arrivata mia figlia!" (Que horas ela volta) di Anna Muylaert. Con Regina Case, Camila Márdila, Lourenço Mutarelli, Michel Joelsas, Karine Teles. Brasile 2015 
Di solito sono prevenuto positivamente nei confronti di tutto ciò che arriva dall'America Latina, e disposto a essere di manica larga nei giudizi, e in un primo momento lo ero anche rispetto a questo film che ha avuto un buon successo di pubblico e critica sia all'ultima Berlinale sia al "Sundance Festival". Nato quest'ultimo per proporre e premiare il cinema cosiddetto indipendente (e politicamente corretto): ma qui si tratta di una pellicola non a caso prodotta da Rede Globo, che è l'equivalente di Merdaset in Brasile, e lo stile è quello della telenovela buonista e, per capirci, perfettamente veltroniana. Val, proveniente dal povero Nordeste brasileiro (Bahía o su di lì) da dieci anni fa la cameriera in una famiglia-bene di San Paolo (la Milano del Brasile: gli stereotipi, per quanto banali, valgono per entrambe le città) e in pratica ha tirato su il giovane rampollo Fabinho crescendolo e amandolo come un figlio al posto della madre in carriera (Dona Bárbara) e del padre succube e depresso (artista fallito e ricco di famiglia), lasciando a sua volta crescere la figlia Jessica (le soap opera USA hanno colpito in Brasile prima ancora che si sviluppasse la produzione di schifezze nazionali: lo testimoniano i nomi imposti ai poveri disgraziati nati negli Anni 80 e 90, come qui da noi) a una lontana parente. Un bel dì Jessica arriva a San Paolo per sostenere gli esami di ammissione alla prestigiosa facoltà di Architettura e Urbanistica, e verrà ospitata nella casa dove lavora Val. Spirito libero (ma fino a un certo punto) e che contesta il servilismo della madre (non perdonandole l'abbandono), porta una ventata di anticonformismo nel contesto famigliare, entrando in conflitto però con la "padrona", l'apparentemente democratica Bárbara, anche perché l'inetto marito di costei, Carlos José, si innamora segretamente di lei mentre Fabinho a sua volta subisce l'assenza e le velleità della madre rifugiandosi nell'affetto di Val. In sostanza il film "denuncia", si fa per dire, una situazione che sarà anche tipicamente brasileira (e paulistana in particolare: i tic dei paulistoidi sono assai simili a quelli dei milanesoidi), ossia delle madri in carriera che fanno crescere i propri figli da donne che a loro volta sono costrette a far crescere i propri figli da qualcun altro, ma è una situazione già vista e raccontata centinaia di volte, perfino nei film ambientati nel Sud degli USA alla fine dell'Ottocento, con la figura del servo che diventa "più realista del re" e magari perfino più razzista del padrone. Prendendo di petto l'argomento, l'aveva fatto di recente anche Quentin Tarantino in Django Unchained, sbertucciando il servilismo e la political politeness, ma se lo fa lui è un conto, se lo fa una regista, di puro stile televisivo, che proviene dalla medesima borghesia paulistana che finge di criticare è un altro, specie quando neutralizza la ventata di aria fresca provocata dal comportamento irriverente di Jessica (che di fatto nulla cambierà nel tran tran della vita della famiglia) col pistolotto moralista del "così fan tutti", perché si scoprirà che anche lei, a sua volta, ha lasciato un pargolo da crescere nel lontano Nordeste per inseguire i suoi sogni di gloria nel ricco Sud, per quanto nobilitati dall'intenzione di farlo attraverso la cultura anziché veleggiando nel fatuo mondo della moda come Dona Bárbara, ma tutto si sistemerà perché del suo frugolotto, prontamente recuperato da Jessica coi soldi del TFR di Val, si occuperà quest'ultima, che nel frattempo si è licenziata dai suoi "padroni" ma non prima che l'amato Fabinho prendesse il volo verso l'Australia per una vacanza-studio di sei mesi (certo che pensare di imparare un inglese appena decente in mezzo ai canguri è un'idea che può venire soltanto a un paulistano istupidito da trendysmo), il tutto in uno stomachevole trionfo di mammitudine e buoni sentimenti. Un film ambiguo, ipocrita, anzi: a dirla tutta, stronzo e irritante. Anche se confezionato gentilmente, accattivante,"simpatico". Come Berlusconi. E tanto, tanto buonista. Come Veltroni.

giovedì 18 giugno 2015

Ossimority


E così, dopo le guerre umanitarie; l'esportazione di democrazia a suon di bombe e omicidi selettivi a mezzo drone; il mercato della concorrenza oligopolista; il multilateralismo unilaterale; la libertà sotto sorveglianza della NSA, ci mancavano solo le lezioni di cucina light da parte di Michelle Obama, in visita a Milano in occasione dell'EXPO, paladina dell'alimentazione salutista e in prima fila nella battaglia contro l'obesità: questo ci racconta il pezzo di cronaca del Corriere, in edizione particolarmente della Serva, che tralascia di osservare che i consigli dietetici vengono da una signora che proviene dalla patria del cibo spazzatura e la quale non è esattamente una silfide: del resto ha sposato Barack Obama, un guerrafondaio premiato col Nobel per la Pace e presidente di un Paese in cui il diritto alla felicità è sancito dalla Costituzione ed è al contempo di gran lunga il massimo consumatore di psicofarmaci e droghe al mondo. Nessun dubbio che in una città ormai dominata dai milanesoidi, che hanno cannibalizzato gli ultimi indigeni rimasti (e non mi riferisco agli immigrati dal "Terzo Mondo"), e decretato nel tempo il successo dei vari MerDonald, American Bakery (quelli delle torte di Nonna Papera), della Coca Cola Zero, dei bagel e dei muffin, le chicche gastronomiche di Mrs Obama troveranno terreno fertile in cui germogliare. Peccato che a nessuno dell'amministrazione della Wonderful Region che ospita il mirabile Evento dell'EXPO non scorti Michelle Obama e figlie, dopo l'arlecchinata al padiglione USA, anche alla Stazione Centrale e dintorni in visita alle comunità di migranti, perlopiù del loro stesso colore di epidermide e per nulla sovrappeso, fornendo un'ottima occasione alla First Lady di spiegare come intendano sfamare il pianeta, col contributo della Monsantodopo aver fatto di tutto per affamarlo con le loro politiche nefaste. In attesa del colpo finale del TTIP.

martedì 16 giugno 2015

Vulcano - Ixcanul

"Vulcano - Ixcanul" (Ixcanul - Volcano) di Jairo Bustamante. Con María Mercedes Croy, María Telón, Marvin Coroy, Justo Lorenzo, Manuel Antún. Francia, Guatemala 2015 ★★★★
Primo lungometraggio del 38enne regista guatemalteco formatosi, oltre che in patria, in Francia e in Italia, questo film bello e potente è stato premiato con l'Orso d'Argento alla Berlinale di quest'anno: a riceverlo, oltre a Bustamante, le due intense protagoniste, María Mercedes Croy e María Telón, nei ruoli, rispettivamente, di figlia e madre di etnia kaqchiquel (la pellicola è in lingua originale sottotitolata) alle prese con un matrimonio combinato e una gravidanza a sorpresa, e che non erano, prima del Festival, mai uscite dai confini del loro Paese. Siamo in un cafetal situato sulle pendici di un vulcano, e la famiglia della diciassettenne María, tipica bellezza Maya, l'ha promessa in matrimonio a Ignácio, il supervisore della piantagione di caffè, l'unico della comunità indigena che parli in castigliano e che fa da tramite e interprete con il padrone e le pubbliche autorità, in cambio del permesso di continuare a coltivare l'appezzamento di terra che hanno in uso e la baracca annessa in cui abitano. María, ostile al matrimonio combinato, ha messo gli occhi sull'irrequieto e ribelle Pepe, che ha in mente soltanto la fuga negli USA, dove ha promesso di portarla con sé a patto che lei vada avanti a concederglisi (e a rifornirlo clandestinamente di aguardiente), ma quando la ragazza rimane incinta lui sparisce. Un disastro per la famiglia, che si vede costretta a escogitare un'altro mezzo per non dover raccogliere le proprie povere masserizie e andarsene: cercare di farla abortire, con metodi tradizionali (beveroni e sortilegi vari), oppure, andati a vuoto questi tentativi, tentare disinfestare i terreni circostanti dai serpenti vi prolificano (come in tutte le zone vulcaniche o ad alto magnetismo), usando proprio i presunti "poteri" di María in modo da rendere i terreni coltivabili a mais. Il film è estremamente efficace nel descrivere il rapporto ambivalente dei genitori, soprattutto della madre, con la figlia, utilitaristici prima ma al contempo estremamente affettuosi e protettivi dal momento in cui viene scoperta la gravidanza e la sua "ineluttabilità", nonostante si tratti di un'altra bocca da sfamare e per di più femmina, ma soprattutto denuncia la totale incomunicabilità tra il mondo indigeno, che anche per questo motivo risulta completamente indifeso, e le istituzioni pubbliche, pure quando teoricamente bene intenzionate a intervenire nei confronti dei campesinos più poveri, dovuta non solo e non tanto a motivi linguistici quanto a codici culturali completamente diversi, oltre a quello della tratta dei "bambini rubati", altra piaga centroamericana. Una pellicola meritoria, dove si respira un'aria realistica e cruda ma  pervasa allo stesso tempo di magia e autentica poesia, che mi ha portato a evocare visivamente l'ambientazione dei libri di Manuel Scorza, un'altra realtà, quella della popolazione Inca a latitudini più meridionali, assai simile, e che spiega le ragioni per cui una civiltà a suo modo molto avanzata ha preferito nascondersi e in alcuni casi scomparire nella foresta piuttosto che farsi  annientare dagli invasori. Popolazioni, quelle Maya, Inca e dei Pellerossa a loro imparentati, che hanno più di ogni altra, assieme agli aborigeni australiani, subito le violenze più atroci da parte della "civiltà" dell'uomo bianco, perfino più dei nativi africani. Da non perdere.

domenica 14 giugno 2015

Reciprocità


Il presidente USA Barack Obama, Premio Nobel per la Pace 2009

E se la Russia inviasse 5000 uomini della sua Fanteria Navale a fare esercitazioni da sbarco, poniamo il caso, a Cuba, a un centinaio di chilometri dalla costa USA?

mercoledì 10 giugno 2015

Добро пожаловать, господин Президент! / Benvenuto, signor Presidente!

Vladimir Vladimirovič Putin


Qualsiasi opinione si abbia su di lui, bisogna essere grati a quest'uomo per l'equilibrio e la pazienza che dimostra di avere davanti alle continue provocazioni del suo omologo statunitense: ha fatto e sta facendo infinitamente di più Vladimir Putin per il mantenimento della pace nel mondo che Barack Obama, a cui pure è stato assegnato un risibile Premio Nobel "alle intenzioni" in materia (puntualmente disattese). Grazie per la fermezza con cui gli fai da contrappeso: qui in Italia c'è molta più gente dalla tua parte di quello che si creda, e non solo i leghisti.

martedì 9 giugno 2015

Ripasso di storia e geografia


Questa la cronologia dell'espansione della NATO in Europa. Per non parlare del Medio Oriente, dell'Asia e dell'Oceania, che in teoria con un patto che riguarda il Nord Atlantico non avrebbero nulla a che fare: ma si sa che per gli statunitensi la geografia, così come la storia, è soltanto un'opinione. Però secondo il loro presidente, in questi giorni nuovamente impegnato in una campagna di televendite nel Vecchio Continente, nel pacchetto armi e TTIP, a voler ricreare un impero è la Russia. E naturalmente dalle nostre parti nessuno ha qualcosa da obiettare.

sabato 6 giugno 2015

Una storia sbagliata

"Una storia sbagliata" di Gianluca Maria Tavarelli. Con Isabella Ragonese, Francesco Scianna, Mehdi Dehbi, Orsola Garrello, Nello Mascia e altri. Italia 2015 ★★★★
Un vero peccato che si parli poco di un film che meriterebbe maggiore attenzione e affronta, senza dare giudizi e facendo riflettere, una serie di temi non banali: ho confidato nella presenza, come protagonista, di Isabella Ragonese, attrice tra le più intelligenti, versatili e intense in circolazione in Italia e che ama le sfide, una garanzia per la qualità del copione. Qui è Stefania, un'infermiera pediatrica di Gela, felicemente sposata con Roberto, un soldato italiano impegnato in Irak: una coppia affiatata, il cui rapporto viene turbato dal crescente malessere di lui, sempre più taciturno, compresso, a ogni ritorno dai turni di missione (sei mesi per volta), oppresso da un dolore e da un disagio che non è capace di esprimere, quasi un presentimento, ma di cui la moglie si accorge: dopo pochi giorni, inizialmente pieni di vitalità e di progetti, tra cui l'acquisto di una casa propria o l'idea di avere un figlio, cade nell'apatia e nella depressione, ansioso di tornare in Irak, quasi fosse l'unica realtà in cui non si trovi spaesato e di cui non riesce però a parlare anche perché consapevole di non comprenderla. Il presentimento di avvera, e Roberto rimane vittima di un attentato suicida a opera di un guerrigliero locale. La pellicola si sviluppa su un doppio piano, Gela e Irak, passato e presente, con flash back repentini ed efficaci, perché Stefania si recherà sul luogo dove è morto il marito per cercare di capire cosa lo spingesse a tornarvi ogni volta e per conoscere la famiglia dell'attentatore kamikaze, l'uomo che le ha distrutto l'esistenza. Per raggiungere lo scopo, partecipa come volontaria alla missione di un'équipe medica italiana che si occupa di operare bambini affetti da labbro leporino, e tramite un interprete della base militare dove vengono sistemati riesce, dopo mille difficoltà, a entrare in contatto con la famiglia dell'attentatore. Sono parecchi i temi che si intrecciano e vengono alla luce: l'isolamento e la paranoia dei militari ma anche degli operatori della cooperazione, la difficoltà di comunicare col mondo che li circonda e di capirlo; l'incomunicabilità che domina i loro legami più intimi; il disagio che si accompagna alla pulsione di ritornare a immergersi in una realtà straniante; le similitudini tra la Gela "miracolata" e poi avvelenata dal petrolchimico (non casuale la scelta di Stefania di occuparsi di infermeria pediatrica in una città dove le malformazioni infantili e i tumori hanno un'incisività spaventosamente superiore alla media, a da qui le sue ritrosie a nei confronti della maternità) e l'Irak che aspetta il riscatto dal petrolio c"he farà tutti ricchi", e dove i bambini sono afflitti dagli stessi mali. Una pellicola sulla solitudine e la necessità di superare l'incomprensione, ma alla Stefania e la moglie dell'attentatore si capiscono con gli sguardi, davanti a un piatto di riso, guardando le fotografie dei rispettivi mariti, entrambe vittime di Storie sbagliate, come dice la bellissima canzone di Fabrizio De André che dà il titolo al film. Assieme alla Ragonese, che da sola verità il prezzo del biglietto, bravi e convincenti anche Francesco Scianna e Mehdi Dehbi nei panni, rispettivamente, del marito/soldato e dell'interprete, mentre la mano del regista è sicura nel dare tensione e ritmo al racconto portandolo ai confini del film d'azione, duro ma senza che sia mai necessario mostrare alcun tipo di violenza. Complimenti.