"E' arrivata mia figlia!" (Que horas ela volta) di Anna Muylaert. Con Regina Case, Camila Márdila, Lourenço Mutarelli, Michel Joelsas, Karine Teles. Brasile 2015 ★
Di solito sono prevenuto positivamente nei confronti di tutto ciò che arriva dall'America Latina, e disposto a essere di manica larga nei giudizi, e in un primo momento lo ero anche rispetto a questo film che ha avuto un buon successo di pubblico e critica sia all'ultima Berlinale sia al "Sundance Festival". Nato quest'ultimo per proporre e premiare il cinema cosiddetto indipendente (e politicamente corretto): ma qui si tratta di una pellicola non a caso prodotta da Rede Globo, che è l'equivalente di Merdaset in Brasile, e lo stile è quello della telenovela buonista e, per capirci, perfettamente veltroniana. Val, proveniente dal povero Nordeste brasileiro (Bahía o su di lì) da dieci anni fa la cameriera in una famiglia-bene di San Paolo (la Milano del Brasile: gli stereotipi, per quanto banali, valgono per entrambe le città) e in pratica ha tirato su il giovane rampollo Fabinho crescendolo e amandolo come un figlio al posto della madre in carriera (Dona Bárbara) e del padre succube e depresso (artista fallito e ricco di famiglia), lasciando a sua volta crescere la figlia Jessica (le soap opera USA hanno colpito in Brasile prima ancora che si sviluppasse la produzione di schifezze nazionali: lo testimoniano i nomi imposti ai poveri disgraziati nati negli Anni 80 e 90, come qui da noi) a una lontana parente. Un bel dì Jessica arriva a San Paolo per sostenere gli esami di ammissione alla prestigiosa facoltà di Architettura e Urbanistica, e verrà ospitata nella casa dove lavora Val. Spirito libero (ma fino a un certo punto) e che contesta il servilismo della madre (non perdonandole l'abbandono), porta una ventata di anticonformismo nel contesto famigliare, entrando in conflitto però con la "padrona", l'apparentemente democratica Bárbara, anche perché l'inetto marito di costei, Carlos José, si innamora segretamente di lei mentre Fabinho a sua volta subisce l'assenza e le velleità della madre rifugiandosi nell'affetto di Val. In sostanza il film "denuncia", si fa per dire, una situazione che sarà anche tipicamente brasileira (e paulistana in particolare: i tic dei paulistoidi sono assai simili a quelli dei milanesoidi), ossia delle madri in carriera che fanno crescere i propri figli da donne che a loro volta sono costrette a far crescere i propri figli da qualcun altro, ma è una situazione già vista e raccontata centinaia di volte, perfino nei film ambientati nel Sud degli USA alla fine dell'Ottocento, con la figura del servo che diventa "più realista del re" e magari perfino più razzista del padrone. Prendendo di petto l'argomento, l'aveva fatto di recente anche Quentin Tarantino in Django Unchained, sbertucciando il servilismo e la political politeness, ma se lo fa lui è un conto, se lo fa una regista, di puro stile televisivo, che proviene dalla medesima borghesia paulistana che finge di criticare è un altro, specie quando neutralizza la ventata di aria fresca provocata dal comportamento irriverente di Jessica (che di fatto nulla cambierà nel tran tran della vita della famiglia) col pistolotto moralista del "così fan tutti", perché si scoprirà che anche lei, a sua volta, ha lasciato un pargolo da crescere nel lontano Nordeste per inseguire i suoi sogni di gloria nel ricco Sud, per quanto nobilitati dall'intenzione di farlo attraverso la cultura anziché veleggiando nel fatuo mondo della moda come Dona Bárbara, ma tutto si sistemerà perché del suo frugolotto, prontamente recuperato da Jessica coi soldi del TFR di Val, si occuperà quest'ultima, che nel frattempo si è licenziata dai suoi "padroni" ma non prima che l'amato Fabinho prendesse il volo verso l'Australia per una vacanza-studio di sei mesi (certo che pensare di imparare un inglese appena decente in mezzo ai canguri è un'idea che può venire soltanto a un paulistano istupidito da trendysmo), il tutto in uno stomachevole trionfo di mammitudine e buoni sentimenti. Un film ambiguo, ipocrita, anzi: a dirla tutta, stronzo e irritante. Anche se confezionato gentilmente, accattivante,"simpatico". Come Berlusconi. E tanto, tanto buonista. Come Veltroni.
Di solito sono prevenuto positivamente nei confronti di tutto ciò che arriva dall'America Latina, e disposto a essere di manica larga nei giudizi, e in un primo momento lo ero anche rispetto a questo film che ha avuto un buon successo di pubblico e critica sia all'ultima Berlinale sia al "Sundance Festival". Nato quest'ultimo per proporre e premiare il cinema cosiddetto indipendente (e politicamente corretto): ma qui si tratta di una pellicola non a caso prodotta da Rede Globo, che è l'equivalente di Merdaset in Brasile, e lo stile è quello della telenovela buonista e, per capirci, perfettamente veltroniana. Val, proveniente dal povero Nordeste brasileiro (Bahía o su di lì) da dieci anni fa la cameriera in una famiglia-bene di San Paolo (la Milano del Brasile: gli stereotipi, per quanto banali, valgono per entrambe le città) e in pratica ha tirato su il giovane rampollo Fabinho crescendolo e amandolo come un figlio al posto della madre in carriera (Dona Bárbara) e del padre succube e depresso (artista fallito e ricco di famiglia), lasciando a sua volta crescere la figlia Jessica (le soap opera USA hanno colpito in Brasile prima ancora che si sviluppasse la produzione di schifezze nazionali: lo testimoniano i nomi imposti ai poveri disgraziati nati negli Anni 80 e 90, come qui da noi) a una lontana parente. Un bel dì Jessica arriva a San Paolo per sostenere gli esami di ammissione alla prestigiosa facoltà di Architettura e Urbanistica, e verrà ospitata nella casa dove lavora Val. Spirito libero (ma fino a un certo punto) e che contesta il servilismo della madre (non perdonandole l'abbandono), porta una ventata di anticonformismo nel contesto famigliare, entrando in conflitto però con la "padrona", l'apparentemente democratica Bárbara, anche perché l'inetto marito di costei, Carlos José, si innamora segretamente di lei mentre Fabinho a sua volta subisce l'assenza e le velleità della madre rifugiandosi nell'affetto di Val. In sostanza il film "denuncia", si fa per dire, una situazione che sarà anche tipicamente brasileira (e paulistana in particolare: i tic dei paulistoidi sono assai simili a quelli dei milanesoidi), ossia delle madri in carriera che fanno crescere i propri figli da donne che a loro volta sono costrette a far crescere i propri figli da qualcun altro, ma è una situazione già vista e raccontata centinaia di volte, perfino nei film ambientati nel Sud degli USA alla fine dell'Ottocento, con la figura del servo che diventa "più realista del re" e magari perfino più razzista del padrone. Prendendo di petto l'argomento, l'aveva fatto di recente anche Quentin Tarantino in Django Unchained, sbertucciando il servilismo e la political politeness, ma se lo fa lui è un conto, se lo fa una regista, di puro stile televisivo, che proviene dalla medesima borghesia paulistana che finge di criticare è un altro, specie quando neutralizza la ventata di aria fresca provocata dal comportamento irriverente di Jessica (che di fatto nulla cambierà nel tran tran della vita della famiglia) col pistolotto moralista del "così fan tutti", perché si scoprirà che anche lei, a sua volta, ha lasciato un pargolo da crescere nel lontano Nordeste per inseguire i suoi sogni di gloria nel ricco Sud, per quanto nobilitati dall'intenzione di farlo attraverso la cultura anziché veleggiando nel fatuo mondo della moda come Dona Bárbara, ma tutto si sistemerà perché del suo frugolotto, prontamente recuperato da Jessica coi soldi del TFR di Val, si occuperà quest'ultima, che nel frattempo si è licenziata dai suoi "padroni" ma non prima che l'amato Fabinho prendesse il volo verso l'Australia per una vacanza-studio di sei mesi (certo che pensare di imparare un inglese appena decente in mezzo ai canguri è un'idea che può venire soltanto a un paulistano istupidito da trendysmo), il tutto in uno stomachevole trionfo di mammitudine e buoni sentimenti. Un film ambiguo, ipocrita, anzi: a dirla tutta, stronzo e irritante. Anche se confezionato gentilmente, accattivante,"simpatico". Come Berlusconi. E tanto, tanto buonista. Come Veltroni.
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