mercoledì 31 luglio 2019

Aladdin

"Aladdin" di Guy Ritchie. Con Will Smith, Mena Massoud, Naomi Scott, Marwan Kenzari, Navid Negahban, Billy Magnussen, Nasim Pedrad, Numan Acar e altri. USA 2019 ★★★★
Non ricordo estati più cinematograficamente disastrate di questa (le sale del Visionario di Udine sono in ristrutturazione fino ad autunno inoltrato, CineZero a Pordenone funziona a scartamento ridotto e nei multisala dei centri commerciali mi rifiuto di metterci piede, al di là della programmazione di merda che propongono), in cui perfino le tradizionali retrospettive sulla stagione passata sono carenti, cosicché non si riescono nemmeno a recuperare i film persi o scartati a suo tempo, ragion per cui è con sollievo che sia stata prevista in questo periodo l'uscita di Aladdin, rivisitazione di un'altra produzione Disney (nel suo genere, sempre all'altezza) del 1992, favola raccontata ai tempi in versione cartoni animati mentre stavolta viene interpretata da un gruppo di più che discreti e simpatici attori in carne e ossa, affidati alla direzione briosa del talentuoso Guy Ritchie, che ha distribuito le parti con grande accortezza. E' la consueta storia a buon fine, specialità della casa: Aladdin è un giovane spiantato, rimasto orfano da piccolo, che vive, coadiuvato dalla fedele scimmietta Abu, di furtarelli nella vivace città portuale di Agrabah, ai margini del deserto: un bel giorno, al mercato, fa la conoscenza, salvandola da un inseguimento da parte delle guardie che l'hanno scambiata per una ladra, della principessa Jasmine, che aggira il divieto di uscire dal palazzo reale spacciandosi per la sua ancella Dalia: naturalmente scatta il colpo di fulmine, ma Aladdin si rende conto di non avere la minima speranza perché la legge prevede che solo un altro principe possa impalmare la figlia del sultano. A meno di un miracolo: che avviene quando, su incarico dell'avido e malvagio Jafar, Gran Visir dell'anziano sultano padre di Jasmina, gli ordina di penetrare nella Caverna delle Meraviglie per trafugare una lampada che contiene un genio capace di esaudire tutti i desideri di chi ne entra in possesso. E che Aladdin, recuperato anche un magico tappeto volante, una volta liberato il genio che diventa col tempo suo amico, si tiene ben stretto guardandosi bene dal consegnarla al sobillatore, e che utilizza i tre desideri per salvarsi una prima volta la vita; presentarsi come principe a Jasmina e, alla fine di una serie di peripezie per cui la lanterna finisce nelle mani di Jafar, il quale però non ne fa buon uso, per ultimo libera l'amico genio da maleficio per cui era stato imprigionato nella lanterna mentre il perfido Jafar finisce per prendere il suo posto e verrà spedito per un altro millennio almeno di nuovo nella Caverne dalle Meraviglie. Film coloratissimo e tecnicamente molto ben confezionato, vivace, con tanto di coreografie e musiche più che decorose, rende l'atmosfera incantata del racconto e risulta suggestivo, rilassante e perfetto per una fresca serata in sala, al riparo dalla canicola. Avercene...

venerdì 12 luglio 2019

Nureyev - The White Crow

"Nureyev - The White Crow" di Ralph Fiennes. Con Oleg Ivenko, Adèle Exarchopoulos, Chulpan Khamatova, Ralph Fiennes, Alexei Morozov, Raphaël Personnaz e altri. Gran Bretagna 2018 ★★★★-
Film biografico e molto british, pur non essendo un capolavoro brilla in una stagione che a me pare particolarmente squallida e povera nonostante i tanto sbandierati propositi di rilancio enunciati nel dicembre scorso: l'estate del 2019 avrebbe dovuto essere quella della svolta per una promozione del cinema per tutto l'anno, e invece è il solito mortorio. Senza bisogno di grandi voli pindarici, Nureyev, che inizia con la nascita del grande danzatore russo su un convoglio della Transiberiana nel 1938, pur ricostruendone l'infanzia e la formazione con suggestivi e puntuale flash-back, e soprattutto i rapporti con il suo insegnante Alexander Pushkin (ruolo che si è ritagliato il regista Ralph Fiennes) e sua moglie, si focalizza sull'episodio del suo passaggio in Occidente nel giugno del 1961, al termine di un mese di rappresentazioni del balletto del Teatro  Kirov dell'allora Leningrado a Parigi, quando aveva sostituito all'ultimo momento il primo ballerino Konstantin Sergeev, infortunatosi, e che non aveva fatto rimpiangere: le sue esibizioni erano rimaste memorabili e avevano suscitato impressione nel pubblico e negli stessi colleghi francesi, con cui Nureyev era entrato in contatto, avido com'era di confrontarsi non solo col mondo del balletto occidentale ma con tutto l'ambito culturale, interessato com'era all'arte in tutte le sue forme, dalla musica alla letteratura ma soprattutto alla pittura e alla scultura. Approcci e legami che non erano graditi al commissario politico e agli agenti del KGB che seguivano la compagnia i quali cercavano inutilmente di impedire le sue "scappatelle" ma Rudolf non era il tipo di farsi mettere la mordacchia finché, terminata la parte francese della tournée per trasferirsi a Londra, una volta in aeroporto (che ai tempi era quello di Le Bourget) Nureyev veniva "gentilmente" separato dalla compagnia per essere messo sul primo aereo per Mosca, con la scusa che avrebbe dovuto esibirsi davanti a Kruscev in persona, in sostanza sequestrato: fu questo a convincerlo a chiedere asilo politico in Francia, non avendo mai prima manifestato il proposito di lasciare l'Unione Sovietica, e ci riuscì grazie all'intervento di Pierre Lacotte, ballerino e coreografo dell'Opéra, presente in aeroporto per salutare gli omologhi russi, e soprattutto Clara Saint, la fidanzata cilena dell'appena deceduto di Vincent Malraux, figlio dell'allora ministro della Cultura francese André, con cui Nureyev aveva legato in modo particolare durante il soggiorno lungo la Senna. Molto accurata la ricostruzione dell'ambiente e dell'atmosfera dell'epoca, il biopic si tinge anche di tinte thriller, e risulta quindi anche piuttosto avvincente; di ottimo livello le interpretazioni, in particolare Fiennes ha fatto debuttare davanti all'obiettivo un esordiente come Oleg Ivenko, ballerino ucraino del Teatro d'opera e balletto di Kazan (Russia), che ha la stessa età, 23 anni, che aveva Rudolf Nureyev nel 1961, e se l'è cavata in modo molto convincente, facendo rivivere un artista a tutto tondo, mai sazio di novità, dal carattere forte e indomabile: un corvo bianco, per sottolinearne la rarità, se non unicità.

lunedì 8 luglio 2019

Il segreto di una famiglia

"Il segreto di una famiglia" (La Quietud) di Pablo Trapero. Con Bérénice Bejo, Martina Gusmán, Graciela Borges, Édgar Ramirez, Joaquín Furriel, Isidoro Tolcachir e altri. Argentina 2018 ★★★
Sono più di uno, in realtà, i segreti che si disvelano man mano a La Quietud, la lussuosa estancia poco fuori Buenos Aires dove si trovano riunite dopo anni le donne della famiglia Montemayor al capezzale dell'anziano marito e padre Augusto, colpito da un ictus proprio mentre veniva interrogato da un giudice per chiarire delle irregolarità nell'acquisizione di alcune proprietà nella seconda metà degli anni Settanta, prima di trasferirsi in due occasioni a Parigi in qualità di diplomatico: in quella città rimase e si sposò Eugenia, la primogenita; mentre Mia, la sorella minore, non ancora maggiorenne, era rientrata in Argentina insieme al padre e alla madre Esmeralda, con la quale ha un rapporto a dir poco problematico. E' sul legame fortissimo, pressoché simbiotico, tra le due sorelle che si concentra lo sguardo di Trapero, in cui una fa da specchio all'altra, e sulla loro diversa relazione con l'altro vertice di un triangolo al femminile, la dittatoriale (in tutti i sensi) Esmeralda, l'autentica capofamiglia; a sua volta questo non è l'unico triangolo della vicenda perché ve ne è almeno un altro, quello con Vincent, l'uomo che Eugenia ha sposato e con cui vive in Francia e da cui annuncia di aspettare un figlio, e che è stato e rimane l'amore della vita di Mia. Anche lui giungerà a Buenos Aires per presenziare al funerale di Augusto e riprenderà la liaison mai interrotta con Mia, cosa di cui Eugenia era al corrente e la quale a sua volta ha una storia passionale con Esteban, l'erede dello studio notarile in cui lavoravano sia Augusto sia Esmeralda e che è qualcosa di più di un amico di famiglia: pressoché un parente. Più d'uno ha parlato di melodramma d'autore, e in effetti, anche per l'azzeccato commento sonoro (e che non è un tango) affidato a Mon Laferte, viene in mente Pedro Almodóvar: come lui, Trapero mischia toni e registri, dalla tragedia alla farsa, dal grottesco alla commedia con tinte nere, su una base di tensione erotica di fondo ma mantenendo sempre una linea di ambiguità che rimane il tratto essenziale: sostanzialmente non si prende sul serio e, se si sta al gioco, il film può piacere, come nel mio caso, anche molto. Parecchio si deve alle tre protagoniste: Bérénice Bejo (peraltro argentina naturalizzata francese) nella parte di Eugenia; Martina Gusmán, moglie di Trapero, in quella di Mia: le due sono credibili come sorelle anche per la loro sorprendente somiglianza e la lieve differenza d'età nonché, in quella di Esmeralda, la grande Graciela Borges: il suo è un nome d'arte, gentilmente concessole dal celeberrimo scrittore, dato che il padre le aveva vietato di utilizzare quello di famiglia, Zabala.

mercoledì 3 luglio 2019

Arrivederci professore

"Arrivederci professore" (The Professor) di Wayne Roberts. Con Johnny Depp, Zoey Deutch, Danny Huston, Rosemarie DeWitt, Farrah Aviva, Odessa Young e altri. USA 2018 
Dopo due settimane di digiuno cinematorgafico, piuttosto che andare a vedere l'ultimo film del tanto lodato quanto sopravvalutato nuovo fenomeno della regia francocanadese Xavier Dolan, un autentico deficiente, ho optato per Arrivederci professore, seconda opera dell'oscuro Wayne Roberts il quale, a parer mio ma non solo, poteva tranquillamente risparmiarsi la fatica. Il motivo era unicamente il ritorno sugli schermi di Johnny Depp, attore talentuoso dalla carriera ondivaga e tormentata, qui alle prese con un penoso rifacimento, per sommi capi e in maniera maldestra, di una pellicola come L'attimo fuggente. Il film si regge unicamente su di lui, e per certi versi sembra costruito apposta per permettere all'attore di dire quel che pensa sull'establishment, qui rappresentato da una tipica università per ricchi del New England, del conformismo imperante e della mediocrità in generale, che in patria negli ultimi anni gli ha continuamente ostacolato la carriera, senza che ne sia però granché convinto nemmeno lui: probabilmente è meglio che venga a farsi un giro in Europa o in America Latina, dove è ancora apprezzato, invece di prestarsi a operazioni mediocri che lo danneggiano ulteriormente, a cercarsi dei registi e degli autori che sappiano sfruttarne la versatilità. Nel film è Richard Brown, docente di letteratura di mezza età che, quando gli viene diagnosticato un cancro ai polmoni allo stadio terminale, decide di non accettare cure che gli allungherebbero l'esistenza soltanto di alcuni mesi e di approfittarne per dire finalmente quello che pensa e fare quello che desidera, in sostanza fare i conti con tutto ciò a cui ha rinunciato per quieto vivere, a cominciare da un rapporto che si trascina penosamente con la moglie Veronica, che peraltro lo tradisce col rettore dell'Università. Qualche battuta qua e là, stanchi inviti agli studenti a non accettare il tran tran perdendo di vista gli ideali, qualche accenno di politicamente scorretto ma soltanto all'apparenza: la vera cattiveria è un'altra cosa; sottotrame che non si sviluppano, personaggi che si perdono per strada, attori mediocri (a parte Rosemarie DeWitt nella parte di Veronica e il cane che  interpreta sé stesso) ne fanno un film francemente penoso. La stella, ★, e non teschio, ☠, è dovuta, oltre alla simpatia che ho per Depp, all'unico pregio di questo film: la durata, sotto i 90'.