"Il segreto di una famiglia" (La Quietud) di Pablo Trapero. Con Bérénice Bejo, Martina Gusmán, Graciela Borges, Édgar Ramirez, Joaquín Furriel, Isidoro Tolcachir e altri. Argentina 2018 ★★★★
Sono più di uno, in realtà, i segreti che si disvelano man mano a La Quietud, la lussuosa estancia poco fuori Buenos Aires dove si trovano riunite dopo anni le donne della famiglia Montemayor al capezzale dell'anziano marito e padre Augusto, colpito da un ictus proprio mentre veniva interrogato da un giudice per chiarire delle irregolarità nell'acquisizione di alcune proprietà nella seconda metà degli anni Settanta, prima di trasferirsi in due occasioni a Parigi in qualità di diplomatico: in quella città rimase e si sposò Eugenia, la primogenita; mentre Mia, la sorella minore, non ancora maggiorenne, era rientrata in Argentina insieme al padre e alla madre Esmeralda, con la quale ha un rapporto a dir poco problematico. E' sul legame fortissimo, pressoché simbiotico, tra le due sorelle che si concentra lo sguardo di Trapero, in cui una fa da specchio all'altra, e sulla loro diversa relazione con l'altro vertice di un triangolo al femminile, la dittatoriale (in tutti i sensi) Esmeralda, l'autentica capofamiglia; a sua volta questo non è l'unico triangolo della vicenda perché ve ne è almeno un altro, quello con Vincent, l'uomo che Eugenia ha sposato e con cui vive in Francia e da cui annuncia di aspettare un figlio, e che è stato e rimane l'amore della vita di Mia. Anche lui giungerà a Buenos Aires per presenziare al funerale di Augusto e riprenderà la liaison mai interrotta con Mia, cosa di cui Eugenia era al corrente e la quale a sua volta ha una storia passionale con Esteban, l'erede dello studio notarile in cui lavoravano sia Augusto sia Esmeralda e che è qualcosa di più di un amico di famiglia: pressoché un parente. Più d'uno ha parlato di melodramma d'autore, e in effetti, anche per l'azzeccato commento sonoro (e che non è un tango) affidato a Mon Laferte, viene in mente Pedro Almodóvar: come lui, Trapero mischia toni e registri, dalla tragedia alla farsa, dal grottesco alla commedia con tinte nere, su una base di tensione erotica di fondo ma mantenendo sempre una linea di ambiguità che rimane il tratto essenziale: sostanzialmente non si prende sul serio e, se si sta al gioco, il film può piacere, come nel mio caso, anche molto. Parecchio si deve alle tre protagoniste: Bérénice Bejo (peraltro argentina naturalizzata francese) nella parte di Eugenia; Martina Gusmán, moglie di Trapero, in quella di Mia: le due sono credibili come sorelle anche per la loro sorprendente somiglianza e la lieve differenza d'età nonché, in quella di Esmeralda, la grande Graciela Borges: il suo è un nome d'arte, gentilmente concessole dal celeberrimo scrittore, dato che il padre le aveva vietato di utilizzare quello di famiglia, Zabala.
Sono più di uno, in realtà, i segreti che si disvelano man mano a La Quietud, la lussuosa estancia poco fuori Buenos Aires dove si trovano riunite dopo anni le donne della famiglia Montemayor al capezzale dell'anziano marito e padre Augusto, colpito da un ictus proprio mentre veniva interrogato da un giudice per chiarire delle irregolarità nell'acquisizione di alcune proprietà nella seconda metà degli anni Settanta, prima di trasferirsi in due occasioni a Parigi in qualità di diplomatico: in quella città rimase e si sposò Eugenia, la primogenita; mentre Mia, la sorella minore, non ancora maggiorenne, era rientrata in Argentina insieme al padre e alla madre Esmeralda, con la quale ha un rapporto a dir poco problematico. E' sul legame fortissimo, pressoché simbiotico, tra le due sorelle che si concentra lo sguardo di Trapero, in cui una fa da specchio all'altra, e sulla loro diversa relazione con l'altro vertice di un triangolo al femminile, la dittatoriale (in tutti i sensi) Esmeralda, l'autentica capofamiglia; a sua volta questo non è l'unico triangolo della vicenda perché ve ne è almeno un altro, quello con Vincent, l'uomo che Eugenia ha sposato e con cui vive in Francia e da cui annuncia di aspettare un figlio, e che è stato e rimane l'amore della vita di Mia. Anche lui giungerà a Buenos Aires per presenziare al funerale di Augusto e riprenderà la liaison mai interrotta con Mia, cosa di cui Eugenia era al corrente e la quale a sua volta ha una storia passionale con Esteban, l'erede dello studio notarile in cui lavoravano sia Augusto sia Esmeralda e che è qualcosa di più di un amico di famiglia: pressoché un parente. Più d'uno ha parlato di melodramma d'autore, e in effetti, anche per l'azzeccato commento sonoro (e che non è un tango) affidato a Mon Laferte, viene in mente Pedro Almodóvar: come lui, Trapero mischia toni e registri, dalla tragedia alla farsa, dal grottesco alla commedia con tinte nere, su una base di tensione erotica di fondo ma mantenendo sempre una linea di ambiguità che rimane il tratto essenziale: sostanzialmente non si prende sul serio e, se si sta al gioco, il film può piacere, come nel mio caso, anche molto. Parecchio si deve alle tre protagoniste: Bérénice Bejo (peraltro argentina naturalizzata francese) nella parte di Eugenia; Martina Gusmán, moglie di Trapero, in quella di Mia: le due sono credibili come sorelle anche per la loro sorprendente somiglianza e la lieve differenza d'età nonché, in quella di Esmeralda, la grande Graciela Borges: il suo è un nome d'arte, gentilmente concessole dal celeberrimo scrittore, dato che il padre le aveva vietato di utilizzare quello di famiglia, Zabala.
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