mercoledì 30 ottobre 2019

Tutto il mio folle amore

"Tutto il mio folle amore" di Gabriele Salvatores. Con Claudio Santamaria, Giulio Pranno, Valeria Golino, Diego Abatantuono, Daniel Vivian e altri. Italia 2019 ★★★★
Benché tutto il film ruoti attorno a Vincent (nome datogli dalla celebre canzone di Don McLean), "nato a Trieste il 13 luglio 2003 da Elena M. e adottato da Mario T.", come non manca di presentarsi in maniera compulsiva il ragazzo, affetto dalla nascita da disturbi della personalità, interpretato in maniera ineccepibile e perfino turbante nella sua vitalità esuberante dall'esordiente Giulio Pranno, Tutto il mio folle amore, tratto dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, ispirato a sua volta da una storia vera, il viaggio di un padre attraverso gli USA assieme a un figlio autistico, l'argomento non è tanto il disagio mentale o comportamentale quanto il viaggio, sorta di territorio libero in cui i vari soggetti, uscendo dalle rispettive gabbie, trovano lo spazio e il modo di vedere le cose da un punto di vista diverso da quello abituale e interagire tra loro con dinamiche nuove, mettendo in discussione quelle consuete. Tema, quello del viaggio, congeniale a Salvatores quanto quello dell'adolescenza, così come quello della presa di coscienza delle propria essenza più profonda da parte degli adulti nel mezzo di una situazione di spaesamento e di sconfinamento quale, appunto, quella del viaggio. Il tutto attraverso un racconto semplice, senza tante contorsioni mentali: Willy, un cantante "da matrimoni e funerali" (come direbbe Kusturica: ottimo nella parte, anche per le doti canore, Claudio Santamaria) che aveva conosciuto Elena (Valeria Golino, perfetta nella parte) che faceva la cameriera su una nave da crociera dove lui aveva trovato un ingaggio, si era dileguato dopo averla messa incinta, terrorizzato dalla paternità; si rifà vivo un bel giorno che si trova Trieste per uno spettacolo e, nei fumi dei postumi di una sbronza decide di andare a conoscere finalmente suo figlio: viene ovviamente cacciato dalla donna, che già da 16 anni ha avuto la vita sconvolta dall'esistenza di questo suo figlio anomalo e da Mario (un convincente Diego Abatantuono), suo marito, editor di una casa editrice, intellettuale pacato e disilluso, che con Vincent ha instaurato un solido e affettuoso rapporto tanto da adottarlo. Il ragazzo però ha fatto in tempo a vedere Willy, che lo ritroverà nel suo pick up quando già ha attraversato la frontiera con la Slovenia dove è conosciuto come il Modugno della Dalmazia e lo attende un'altra serata. Da lì in poi inizia l'avventura dei due, che cominciano a conoscersi, e quella di Elena e Mario, che vanno alla loro ricerca  fino alla costa della Croazia, in un susseguirsi di avventure e situazioni paradossali, che alla fine faranno crescere tutti quanti i personaggi coinvolti nell'avventura, a cominciare da Willy nel nuovo ruolo di padre. Ottima la fotografia, così come la colonna sonora, belli e inconsueti (anche se non per me) i paesaggi, scelti con cura e ben amalgamati gli interpreti, che con tutta evidenza hanno collaborato alla costruzione di questa storia che  è una sorta di favola a lieto fine con tempi e modi molto reali e concreti, e dunque facilmente leggibile e, a mio avviso ben raccontata.

lunedì 28 ottobre 2019

Mai morti


Arieccoli, come volevasi dimostrare. La cura "liberista", l'incompetenza, l'idiozia politica di Mauricio Macri e del suo governo, hanno dato ancora una volta i loro frutti e il risultato è l'elezione al primo turno, con oltre il 48% dei voti, di Alberto Fernández alla presidenza della Repubblica Argentina che eserciterà per nome e per conto della sua omonima Cristina già vedova Kirchner e dunque l'eterno, inevitabile ritorno del peronismo al potere. Una malattia congenita, come in Italia il fascismo, e che invece svariati commentatori de sinistra, assieme a Papa Bergoglio e al suo entourage, si ostinano a dipingere come una forza sostanzialmente progressista e vicina al popolo. Di cui è espressione, così come del resto lo è l'epigono sudamericano di Silvio nostro, un Berlusconi più giovane, bello, con più capelli e meno volgare, che ha recuperato quasi una decina di punti sulle primarie obbligatorie svoltesi in agosto (vedi le freccette nella tabella sopra), probabilmente da gente che si è turata il naso pur di non rivedere alla Casa Rosada la Kretina e la sua corte di masnadieri, non giudicando credibile un vecchio arnese come Roberto Lavagna, un altro peronista riciclatosi come sedicente liberale e comunque espressione del sistema, mentre la sinistra "dura e pura" ha confermato la stessa inconsistenza parolaia di quella nostrana. Mi convinco sempre di più quanto sia inutile scomodarsi perfino ad andare a votare "contro", perché non c'è limite al peggio... L'esito delle Regionali in Umbria di ieri è lì a dimostrarlo ancora una volta alle nostre latitudini. 

lunedì 14 ottobre 2019

Antropocene - L'epoca umana

"Antropocene - L'epoca umana" di Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky, Nicholas de Pencier. Voce narrante Alba Rohrwacher. Canada 2018 ★★★★
Terza e ultima parte di una trilogia che comprende Manufactured Landscapes del 2006 e Watermark del 2013, Antropocene è un documentario opera di un collettivo di cineasti e fotografi canadesi, appartenenti all'Anthropocene Working Group che, attraverso immagini spettacolari e ad alto impatto e la voce narrante, nella versione italiana, di Alba Rohrwacher, racconta, in un viaggio attraverso i vari continenti, come l'attività umana stia sfruttando le risorse terrestri in maniera non più sostenibile e modificando in questo modo gli equilibri del pianeta come mai in precedenza, più ancora di quanto possano fare gli eventi naturali, alcuni dei quali, come il riscaldamento del pianeta e l'acidificazione degli oceani, ne sono diretta conseguenza, dando il via a quella che gli scienziati ormai comunemente definiscono una nuova era geologica. Si passa dalla barriera corallina al largo dell'Australia, che sta sbiancando e morendo per il riscaldamento del mare; a Norilk in Siberia, sede delle miniere di nichel e metalli rari più grande al mondo, uno dei luoghi più inquinati della Terra; alle discariche di Dandora, nei pressi di Nairobi, attorno alle quali si industriano 250 mila persone che rimestano nel pattume; alle gigantesche vasche di evaporazione del litio nel deserto di Atacama; alle cave di marmo della nostra Carrara; a Immerath, cittadina del NordReno-Westfalia, in Germania, cancellata, e gli abitanti forzatamente trasferiti, per fare posto a una gigantesca miniera di lignite a cielo aperto per l'estrazione della quale sono stati costruiti i macchinari semoventi più giganteschi esistenti al mondo. Il film si apre e si chiude in Kenia, dove vengono accatastare e infine bruciate in un gigantesco rogo tonnellate di zanne di elefante sequestrate ai bracconieri nel corso di una cerimonia, con tanto di presenza delle più alte autorità nazionali e anche delle organizzazioni internazionali, che vuole essere beneaugurante dopo la loro messa al bando nel commercio internazionale. Il film, nelle sale dal 19 settembre, è anche vedibile, assieme alla mostra Anthropocene, al MAST di Bologna fino al 5 gennaio 2020.

venerdì 11 ottobre 2019

Il pianeta in mare

"Il pianeta in mare" di Andrea Segre e Gianfranco Bettin. Italia 2019 ★★★★
Nel centenario degli inizi dei lavori per la costruzione della zona industriale di Marghera e del relativo porto (un'area di duemila ettari, 18 canali portuali, 135 chilometri di binari, ai tempo del Petrolchimico una delle zone più inquinate d'Europa), una scelta esiziale per i delicatissimi equilibri lagunari anche se ha dato un lavoro (ma anche la morte per cancro da intossicazione) a decine di migliaia di persone cambiando la faccia del Veneto un tempo quasi solo rurale, ecco il documentario scritto e diretto dal veneziano di Dolo Andrea Segre e da Gianfranco Bettin, ambientalista e politico di lungo corso, nato proprio a Marghera, della cui Municipalità è anche presidente, presentato con successo alla recente Mostra del Cinema di Venezia: in un contrappunto fra immagini di repertorio in bianco e nero, dai primi scavi dei Canale dei Petroli e dall'interramento dell'area fino al massimo sviluppo e alle lotte operaie degli anni Settanta e quelle vivide e impressionanti filmate in un'estate recente da Segre, che documentano lo stato attuale, tra dismissioni (a cominciare dal Petrolchimico), archeologia industriale, cantieristica ancora attiva ed evoluzione verso nuovi scenari legati al terziario, si svolge una sorta di dialogo tra la dimensione collettiva e quella individuale, tra pubblico e privato, con il comune denominatore del lavoro. Vediamo così due tecnici ed ex sindacalisti in pensione che ripercorrono come fantasmi i luoghi, ormai desertificati, dove per trent'anni hanno trascorso la maggior parte della loro vita ripetendo all'infinito gli stessi gesti; la trattoria a prezzi popolari rimasta aperta, con la parona che nota che i camionisti non mangiano (non potendoselo più permettere) come una volta, specialmente a pranzo; gli operai della Fincantieri, in prevalenza stranieri, rumeni, africani, asiatici, a metà strada tra nostalgia di casa e integrazione, che hanno sostituito quelli locali o di antica immigrazione dal Sud (in particolare rimane impresso un siciliano sulla cinquantina che ha perso qualsiasi accento e parla ormai in veneto) impiegati a costruire quelle mostruose navi da crociera extralusso di oltre 15 piani che poi transitano impunemente nel bacino di San Marco, pagati quando va bene 1200 € al mese ed eternamente precari; due imprenditori della new economy, uno che ha girato il mondo e ha preferito tornare nel suo paesino nell'entroterra veneziano da duecento abitanti, l'altro che vive stabilmente in Austria ma rientra a Marghera almeno un paio di giorni alla settimana con il pretesto del lavoro; due ex operai ora pescatori che dragano nella fanghiglia sotto gli archi del Ponte della Libertà alla ricerca quasi vana dei rari vermi, carusoi, caparossoli, peverasse peoci superstiti. Uno spaccato di quel che è oggi Porto Marghera, tra presente e futuro, illustrato indirettamente dai dialoghi tra i protagonisti: un film empatico, che lascia allo spettatore trarre le conclusioni, senza influenzarlo. Lo consiglio caldamente. 

martedì 8 ottobre 2019

Joker

"Joker" di Todd Phillips. Con Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beets, Frances Conroy, Bill Camp, Marc Maron, Brett Cullen, Glenn Fleshler e altri. USA 2019 ★★★★★
Senza alcun dubbio Joker è stato il film che mi ha più coinvolto, entusiasmato e anche commosso da parecchio tempo, un pugno nello stomaco non tanto per le scene di violenza, ché anzi sono catartiche, ma per la compassione profonda che Alfred Fleck (in tedesco significa macchia), uno stralunato, intenso, inquietante e gigantesco Joaquin Phoenix, suscita in chiunque abbia un minimo di sensibilità e di capacità di indignazione, ma perché colpisce nel vivo, in primo luogo un sistema che si basa sulle disuguaglianze, la sopraffazione, la violenza e il Paese che se ne fa paladino, esportandolo a livello globale, e che ha un unico fondamento: il denaro che tutto può e tutto giustifica. Il Joker di Todd Phillips è sganciato dalla saga Marvel, e il collegamento con il futuro Batman è soltanto indiretto; si concentra invece sulla parabola di Alfred Fleck, un aspirante comico fortemente depresso e con disturbi della personalità sempre più evidenti sottolineati da una agghiacciante e irrefrenabile risata sganciata da ogni contesto che lo affligge specialmente nei momenti di maggiore stress, che vive in uno squallido appartamento di Gotham City (in tutto e per tutto la New York degli anni Ottanta) assieme alla madre Penny, psicolabile più di lui, e sopravvive facendo l'uomo-sandwich travestito da pagliaccio. Dopo un'aggressione violenta da parte di una banda di ragazzini teppisti, un collega gli fornisce una rivoltella, che gli sfuggirà durante un'esibizione come clown in un reparto ospedaliero per l'infanzia e questo causerà il suo licenziamento. Mentre rientra a casa, ancora vestito e truccato da pagliaccio, viene aggredito e pestato da un terzetto di yuppie, alle dipendenze del miliardario Thomas Wayne, candidato a sindaco per riportare, a suo dire, l'ordine in una città ai limiti della rivolta sociale, dopo che ha cercato di difendere una ragazza che avevano insidiato, e li fulmina. Primo sospiro di sollievo da parte del pubblico in sala, e anche da parte dei suoi concittadini più inquieti e incazzati, che cominciano a simpatizzare per questo fantomatico joker ricercato dalla polizia. Nel frattempo Fred precipita sempre di più nella follia, anche perché il taglio alle spese sociali gli toglie l'assistenza psichiatrica e le cure mediche, scopre di essere stato adottato dalla madre che invece gli aveva raccontato che fosse figlio di Wayne (figlio di Wayne, Bruce, per la cronaca è invece il futuro Batman, di cui in questo film non si parla), presso il quale aveva lavorato trent'anni prima, e si esibisce in un locale con un one man show così insensato che viene notato da Murray Franklin (Robert De Niro), l'anchor man tipo David Letterman che è un suo idolo, e che lo inviterà nella sua trasmissione in realtà per deriderlo e umiliarlo ancora. Fred ci va, intenzionato a suicidarsi in diretta dopo aver confessato i tre omicidi della metropolitana, e invece... la scena è talmente liberatoria che posso solo consigliare di andare a vedere il film. Una regia sontuosa, quella di Todd Phillips, e in questo intreccio di degrado morale, follia, violenza e redenzione torna immediatamente alla memoria Taxi Driver, e non a caso produttore di questo Joker è Martin Scorsese; e la sua mano, anzi: il suo orecchio lo si nota anche dalla strepitosa colonna sonora, che più rock non si può; inoltre, non a caso a interpretare l'altro personaggio fondamentale del film è Bob De Niro. Infine, un pensiero spontaneo al giornalista Alan Friedman, col suo libro e le omonime trasmissioni Questa non è l'America: e invece sì, caro cicciobello, è proprio questa l'America, ed è proprio questa New York, tale e quale, quella che vedono gli occhi non obnubilati dal mito della Grande Mela e dalla manipolazione della propaganda, il prodotto d'esportazione USA più venduto e imitato nel mondo  (e infatti ormai sono decine le megalopoli che dopo averla copiata la superano per abitanti e squallore): lurida, violenta, corrotta fino al midollo e, guarda caso, patria del tanto esecrato Trump. 

sabato 5 ottobre 2019

Ad Astra

"Ad Astra" di James Gray. Con Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, John Ortiz, LivTyler, Donald Sutherland, Greg Bryk e altri. USA 2019 ★-
Di solito, quando lascio decantare il film in un cassetto per qualche giorno, sospendendo il giudizio, il responso alla fine è positivo, nel senso che, se inizialmente non mi aveva convinto del tutto, generalmente trovo i motivi per farmelo piacere, dopo averlo opportunamente, diciamo così, digerito; con Ad Astra mi è successo il contrario: pur trovandolo noioso, scontato e alquanto stiracchiato, oltre a pescare smaccatamente qui e là rasentando il plagio, non l'avevo ritenuto dei peggiori, anche per la simpatia che ho per Brad Pitt; passato qualche giorno, il giudizio è diventato del tutto negativo, Ad Astra risulta tronfio, banale, tanto ridicolo quanto penoso nel suo tentativo di essere credibile: si giustificherebbe soltanto se si trattasse di promuovere una nuova Star di nome Brad Pitt, ma si dà il caso che costui non ne abbia affatto bisogno (vedi la prestazione nell'ultimo film di Quentin Tarantino) e, anzi, l'esito sia controproducente, facendogli indossare i panni di un maggiore astronauta, Roy McBride, completamente assorbito dal dovere e dalle sue menate esistenziali quanto emotivamente arido e anaffettivo, ostentando da un lato un autocontrollo pressoché robotico e dall'altro un'insicurezza puerile, ancora alle prese col trauma adolescenziale dell'abbandono da parte del padre, Clifford (un Tommy Lee Jones costretto a una parte grottesca da un copione semplicemente ridicolo), il Più Grande Astronauta di Sempre, sulle cui orme ha costruito tutta la sua esistenza, inopinatamente sparito su una delle Lune di Nettuno assieme al suo equipaggio una trentina di anni prima, durante una missione alla ricerca di forme di vita intelligenti: proprio da lì giungono delle micidiali scariche di antimateria che mettono a rischio non soltanto la Terra, ma l'intero sistema solare. E chi viene incaricato di andare alla ricerca della missione dispersa e, va da sé, salvare il mondo? McBride Junior, naturalmente che, dopo una tappa su Marte, dove la forza di gravità sembra essere uguale a quella terrestre mentre in realtà è meno della metà (è solo una delle mille incongruenze che saltano all'occhio più sprovveduto), attraverserà gli anelli di Saturno e Nettuno armato di uno scudo di lamiera, e oltre a ritrovare il padre, che nel frattempo ha sterminato tutto il suo equipaggio, recupererà pure il senso della sua stessa vita. Oh yeah. I riferimenti sono chiari: McBride padre è il colonnello Kurz di Apocalypse Now, McBride figlio è il comandante David Bowman di 2001 Odissea nello Spazio. Niente di meno: me cojoni. Il capolavoro di Coppola è del 1979, quello di Kubrick addirittura del 1968: entrambi sembrano girati oggi; Ad Astra, che ne è tutt'al più una squallida parodia, pare prodotto negli anni Sessanta. Oltrettutto prendendosi terribilmente sul serio, e per imbecilli gli spettatori: James Gray, non contento di propinare una storia implausibile, per soprammercato affida a Roy McBride/Brad Pitt il ruolo della voce narrante fuori campo non solo delle proprie riflessioni ma di ogni passaggio supposto "cruciale" di questo indigesto polpettone spaziale, che pur durando soltanto 124' dà l'impressione di superare, in inutile ridondanza per quanto è tedioso, quella di entrambi i suoi referenti di cui sopra messi insieme, il cui minutaggio complessivo rasenterebbe le sette ore. Memorabili, quanto questo squallido epigono è da dimenticare in toto

martedì 1 ottobre 2019

Il Sindaco del Rione Sanità

"Il Sindaco del Rione Sanità" di Mario Martone. Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe M. Gaudino, Gennaro di Colandrea, Lucienne Perreca, Salvatore Presutto, Viviana Cangiano e altri. Italia 2019 ★★★★
Ancora Napoli. Ci sono film, come il recente Martin Eden, molto ben fatti, che personalmente avrei visto meglio come adattamento teatrale del testo da cui sono tratti; altri, come questo di Mario Martone, che ripropone su grande schermo la versione teatrale in chiave odierna dell'omonimo classico di Eduardo De Filippo, scritto nel 1960, di cui era già stato regista due anni fa per NEST, Napoli Teatro Est di San Giovanni a Teduccio, portato in scena dallo stesso collettivo di bravissimi attori che vediamo nella pellicola. Ammetto che non vado pazzo per il cinema di Martone, per quanto sia uno degli autori italiani più validi e meno banali in circolazione; in questo caso però ho trovato felice la sua idea e ottimo il risultato. La vicenda è sufficientemente nota per non entrare nel dettagli della trama: in sostanza si tratta del ritratto di una figura carismatica e complessa, quella di Antonio Barracano, chiamato appunto il Sindaco del Rione Sanità, dov'è nato, da coloro che si rivolgono a lui, invece che all'autorità, per sistemare controversie. In sostanza amministra la giustizia, non sopra la legge ma parallelamente a essa, in modo concreto e in base a un suo codice, essenzialmente etico e basato sull'esperienza reale, soprattutto in modo credibile e accettabile per tutte le parti. Ad affiancarlo un medico, che gli è fedele da anni ma vorrebbe sganciarsi e andare a trovare i famigliari a New York e, forse, rifarsi una vita, e che all'occorrenza cura le ferite di persone che preferiscono non passare per un ospedale pubblico. Fra le varie figure che si rivolgono a lui già dalla mattinata di un giorno d'autunno, nella sua villa fuori città, sulle pendici del Vesuvio, spiccano Rituccia e Raffiluccio Santaniello, quest'ultimo figlio di un ricco fornaio, Arturo, che l'ha ricusato e diseredato, il quale gli comunica l'intenzione di eliminare il padre. Totò Barracano rivede nel ragazzo sé stesso giovane, quando per vendicare un torto subito a sua volta si era trasformato in assassino, senza però essere condannato perché al processo si era presentato con falsi testimoni, tutti opportunamente pagati, e prende in mano la situazione, da un lato convocando il padre, dall'altro cercando di frenare il giovane, ricordandogli che uno dimostra d'essere uomo anche e soprattutto facendo un passo indietro e riconoscendo i propri errori. La scena, per il finale, si sposta a Napoli, nel rione, appunto, con Barracano che per trovare un accordo si reca nel negozio di Arturo Santaniello, che però prende paura e l'accoltella: nonostante sia ferito e sappia che la sua fine è vicina, il Sindaco convoca nel suo lussuoso appartamento tutti i questuanti che si erano rivolti a lui nel corso della mattinata e per l'ultima volta sistema le cose, a modo suo, impendendo che si scateni una serie di vendette con spargimento di inutile sangue di "ignoranti". Per quanto attualizzata, la vicenda conserva tutto il senso che le aveva dato De Filippo, che non stava propriamente parlando di un boss della camorra e nemmeno lo fa Martone, altrettanto criticato per questo. Barracano è diverso, un personaggio complesso e autorevole, credibile per chi si mette nelle sue mani, magari rispettato pure dai camorristi che hanno in mano il quartiere, ma non è lui stesso un capomafia. I temi sono altri: la sfiducia nella giustizia, l'incultura, la povertà, il tradimento, il libero arbitrio, i vincoli famigliari, l'amicizia. Rara intensità, recitazione potente e di grande qualità, due ore che passano in un baleno. Film coinvolgente, superiore alle mie aspettative.