"Ad Astra" di James Gray. Con Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, John Ortiz, LivTyler, Donald Sutherland, Greg Bryk e altri. USA 2019 ★-
Di solito, quando lascio decantare il film in un cassetto per qualche giorno, sospendendo il giudizio, il responso alla fine è positivo, nel senso che, se inizialmente non mi aveva convinto del tutto, generalmente trovo i motivi per farmelo piacere, dopo averlo opportunamente, diciamo così, digerito; con Ad Astra mi è successo il contrario: pur trovandolo noioso, scontato e alquanto stiracchiato, oltre a pescare smaccatamente qui e là rasentando il plagio, non l'avevo ritenuto dei peggiori, anche per la simpatia che ho per Brad Pitt; passato qualche giorno, il giudizio è diventato del tutto negativo, Ad Astra risulta tronfio, banale, tanto ridicolo quanto penoso nel suo tentativo di essere credibile: si giustificherebbe soltanto se si trattasse di promuovere una nuova Star di nome Brad Pitt, ma si dà il caso che costui non ne abbia affatto bisogno (vedi la prestazione nell'ultimo film di Quentin Tarantino) e, anzi, l'esito sia controproducente, facendogli indossare i panni di un maggiore astronauta, Roy McBride, completamente assorbito dal dovere e dalle sue menate esistenziali quanto emotivamente arido e anaffettivo, ostentando da un lato un autocontrollo pressoché robotico e dall'altro un'insicurezza puerile, ancora alle prese col trauma adolescenziale dell'abbandono da parte del padre, Clifford (un Tommy Lee Jones costretto a una parte grottesca da un copione semplicemente ridicolo), il Più Grande Astronauta di Sempre, sulle cui orme ha costruito tutta la sua esistenza, inopinatamente sparito su una delle Lune di Nettuno assieme al suo equipaggio una trentina di anni prima, durante una missione alla ricerca di forme di vita intelligenti: proprio da lì giungono delle micidiali scariche di antimateria che mettono a rischio non soltanto la Terra, ma l'intero sistema solare. E chi viene incaricato di andare alla ricerca della missione dispersa e, va da sé, salvare il mondo? McBride Junior, naturalmente che, dopo una tappa su Marte, dove la forza di gravità sembra essere uguale a quella terrestre mentre in realtà è meno della metà (è solo una delle mille incongruenze che saltano all'occhio più sprovveduto), attraverserà gli anelli di Saturno e Nettuno armato di uno scudo di lamiera, e oltre a ritrovare il padre, che nel frattempo ha sterminato tutto il suo equipaggio, recupererà pure il senso della sua stessa vita. Oh yeah. I riferimenti sono chiari: McBride padre è il colonnello Kurz di Apocalypse Now, McBride figlio è il comandante David Bowman di 2001 Odissea nello Spazio. Niente di meno: me cojoni. Il capolavoro di Coppola è del 1979, quello di Kubrick addirittura del 1968: entrambi sembrano girati oggi; Ad Astra, che ne è tutt'al più una squallida parodia, pare prodotto negli anni Sessanta. Oltrettutto prendendosi terribilmente sul serio, e per imbecilli gli spettatori: James Gray, non contento di propinare una storia implausibile, per soprammercato affida a Roy McBride/Brad Pitt il ruolo della voce narrante fuori campo non solo delle proprie riflessioni ma di ogni passaggio supposto "cruciale" di questo indigesto polpettone spaziale, che pur durando soltanto 124' dà l'impressione di superare, in inutile ridondanza per quanto è tedioso, quella di entrambi i suoi referenti di cui sopra messi insieme, il cui minutaggio complessivo rasenterebbe le sette ore. Memorabili, quanto questo squallido epigono è da dimenticare in toto.
Di solito, quando lascio decantare il film in un cassetto per qualche giorno, sospendendo il giudizio, il responso alla fine è positivo, nel senso che, se inizialmente non mi aveva convinto del tutto, generalmente trovo i motivi per farmelo piacere, dopo averlo opportunamente, diciamo così, digerito; con Ad Astra mi è successo il contrario: pur trovandolo noioso, scontato e alquanto stiracchiato, oltre a pescare smaccatamente qui e là rasentando il plagio, non l'avevo ritenuto dei peggiori, anche per la simpatia che ho per Brad Pitt; passato qualche giorno, il giudizio è diventato del tutto negativo, Ad Astra risulta tronfio, banale, tanto ridicolo quanto penoso nel suo tentativo di essere credibile: si giustificherebbe soltanto se si trattasse di promuovere una nuova Star di nome Brad Pitt, ma si dà il caso che costui non ne abbia affatto bisogno (vedi la prestazione nell'ultimo film di Quentin Tarantino) e, anzi, l'esito sia controproducente, facendogli indossare i panni di un maggiore astronauta, Roy McBride, completamente assorbito dal dovere e dalle sue menate esistenziali quanto emotivamente arido e anaffettivo, ostentando da un lato un autocontrollo pressoché robotico e dall'altro un'insicurezza puerile, ancora alle prese col trauma adolescenziale dell'abbandono da parte del padre, Clifford (un Tommy Lee Jones costretto a una parte grottesca da un copione semplicemente ridicolo), il Più Grande Astronauta di Sempre, sulle cui orme ha costruito tutta la sua esistenza, inopinatamente sparito su una delle Lune di Nettuno assieme al suo equipaggio una trentina di anni prima, durante una missione alla ricerca di forme di vita intelligenti: proprio da lì giungono delle micidiali scariche di antimateria che mettono a rischio non soltanto la Terra, ma l'intero sistema solare. E chi viene incaricato di andare alla ricerca della missione dispersa e, va da sé, salvare il mondo? McBride Junior, naturalmente che, dopo una tappa su Marte, dove la forza di gravità sembra essere uguale a quella terrestre mentre in realtà è meno della metà (è solo una delle mille incongruenze che saltano all'occhio più sprovveduto), attraverserà gli anelli di Saturno e Nettuno armato di uno scudo di lamiera, e oltre a ritrovare il padre, che nel frattempo ha sterminato tutto il suo equipaggio, recupererà pure il senso della sua stessa vita. Oh yeah. I riferimenti sono chiari: McBride padre è il colonnello Kurz di Apocalypse Now, McBride figlio è il comandante David Bowman di 2001 Odissea nello Spazio. Niente di meno: me cojoni. Il capolavoro di Coppola è del 1979, quello di Kubrick addirittura del 1968: entrambi sembrano girati oggi; Ad Astra, che ne è tutt'al più una squallida parodia, pare prodotto negli anni Sessanta. Oltrettutto prendendosi terribilmente sul serio, e per imbecilli gli spettatori: James Gray, non contento di propinare una storia implausibile, per soprammercato affida a Roy McBride/Brad Pitt il ruolo della voce narrante fuori campo non solo delle proprie riflessioni ma di ogni passaggio supposto "cruciale" di questo indigesto polpettone spaziale, che pur durando soltanto 124' dà l'impressione di superare, in inutile ridondanza per quanto è tedioso, quella di entrambi i suoi referenti di cui sopra messi insieme, il cui minutaggio complessivo rasenterebbe le sette ore. Memorabili, quanto questo squallido epigono è da dimenticare in toto.
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