sabato 31 agosto 2019

Rien ne va plus


Leggo sempre volentieri, tra i "giallisti" italiani, Andrea Camilleri, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Maurizio De Giovanni, Bruno Morchio, il compianto Andrea G. Pinketts, Alessandro Robecchi e, da ultimo, Gavino Nemus e Gaetano Savatteri, ma il mio preferito rimane Antonio Manzini, e me lo sono preservo sempre per i momenti migliori. 

mercoledì 28 agosto 2019

I Have a Dream

Suggestioni di un mezzogiorno di fine estate belgradese, alla Velika Skadarlija, ex Filipova Pivara (birrificio). E un pensiero di odio profondo alla Fornero.
P.S.: devo traslitterare dal cirillico o il senso della testata si evince lo stesso ?

lunedì 26 agosto 2019

Il Signor Diavolo

"Il Signor Diavolo" di Pupi Avati. Con Filippo Franchini, Gabriel Lo Giudice, Lorenzo Salvatori, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Chiara Caselli, Massimo Bonetti, Riccardo Claut, Ludovica Pedetta e altri. Italia 2019 ★★★=
Il ritorno agli antichi amori (vedi La casa delle finestre che ridono, del 1976) da parte del regista bolognese con un giallo-horror "gotico", come si suol dire, mi ha confermato quanto ho sempre pensato dei suoi lavori: discreti, talvolta buoni, mai ottimi; apprezzo la sua capacità di caratterizzare tipi umani normalissimi alle prese con l'inconsueto se non con il mistero (come in questo caso), ma le sue storie non mi ha mai entusiasmato, e il suo modo di raccontarle l'ho sempre trovato noioso, e non perché prive di colpi di scena (qui ce ne sono, alcuni anche truculenti) e nemmeno perché quasi sempre inserite in atmosfere demodé e collocate in un passato a tratti rimpianto però nemmeno idealizzato. Comunque, cara grazia, con quel che passa il convento in questo periodo. Qui ritorna al 1952, quando un giovane funzionario del ministero di Grazia e Giustizia, finora relegato a ordinare e archiviare fascicoli, viene spedito dai sui superiori a Venezia per cercare di fermare un procedimento giudiziario che potrebbe coinvolgere membri della Chiesa e creare difficoltà al governo De Gasperi di cui questa è un pilastro fondamentale: un adolescente ha ucciso un suo coetaneo, figlio di una facoltosa nobildonna veneziana, ritenendolo nientemeno che il Diavolo, e la donna minaccia di denunciare le omertà e ambiguità del clero nella vicenda (è il sagrestano a inculcare ai ragazzini che stanno facendo catechismo in preparazione della prima comunione il "rispetto" per il maligno, chiamandolo Signore, come da titolo). L'ucciso, un essere deforme e con la dentatura suina (motivo per cui si vocifera, nella campagna lagunare o polesana in cui si sono svolti i fatti, che sia stato concepito dalla madre con lo sperma di un verro) come se non bastasse ha causato la morte del miglior amico del giovane reo confesso nonché, pare, la morte nella culla della sorellina adottiva dopo averla sbranata, altra vicenda su cui non è mai stata fatta chiarezza. Attraverso una serie di flash back durante il viaggio del funzionario da Roma a Venezia vengono visualizzati gli interrogatori del ragazzo e riproposti i fatti a cui si riferiscono; una volta arrivato in loco, il giovane legale scopre che qualcosa non va: troppe contraddizioni, troppi aspetti non chiari, e cerca di approfondire, ma non è quello che i suoi superiori volevano, perché l'intenzione era di insabbiare il tutto e non la ricerca di una verità. Quando verrà sollevato dall'incarico, deciderà di proseguire le indagini per conto suo prima di rientrare a Roma, sempre ammesso che ci torni... Cosa che non svelo e qui mi fermo. Il film, ben interpretato da attori perlopiù semisconosciuti ma non al regista, appartenendo all'entourage di Avati, pur alternando tempi, luoghi, situazioni e personaggi conserva una certa fissità ripetitiva, e pur durando meno di un'ora e mezzo, risulta pesante; anche alcune incongruenze saltano all'occhio, o meglio all'orecchio: veneziani che parlano con accento triestino posticcio o perfino bolognese; motoscafi che sfrecciano dalla Serenissima al Polesine... Mah. Però, come dicevo all'inizio, efficaci le caratterizzazioni e, attraverso queste, la rievocazione di un'epoca passata ma ancora nella memoria di molti, fatta di superstizione e oscurantismo, che non riguardavano soltanto la campagna padana profonda bensì anche ambienti colti e borghesi. Comunque, un film vedibile. 

mercoledì 14 agosto 2019

Hotel Artemis

"Hotel Artemis" di Drew Pearce. Con Jodie Foster, Sterling K. Brown, Sofia Boutella, Jeff Goldblum, Brian Tyree Henry, Jenny Slate, Zachary Quinto, Charlye Day, Dave Bautista e Kenneth Joy. USA 2018 ★★★=
Los Angeles, estate del 2028: mentre nello Stato della California entra in vigore la legge che privatizza l'acqua (cosa nemmeno tanto remota, come sappiamo) e la città è sconvolta da una rivolta di massa tanto diffusa e violenta che viene dichiarata la legge marziale, un trio di criminali, rimasto ferito dopo una sparatoria con la polizia dopo un colpo parzialmente fallito nel caveau di una banca, bussa alla porta dell'Hotel Artemis, che è un ospedale segreto dove vengono accolti e curati esclusivamente gangster affiliati e dove vigono alcune regole che sono legge: innanzitutto quella di non commettere crimini nei confronti di altri ospiti. A gestirlo Jean Thomas, chiamata l''infermiera (Jodie Foster), in realtà un medico a cui era stata tolta l'abilitazione perché, dopo la morte del figlio per overdose, si era data all'alcol. Quanto è efficiente e rigorosa nel gestire la sua attività all'interno dell'Hotel Artemis, tanto viene assalita da crisi di panico appena ha a che fare con il mondo esterno, ma è ciò che capita in quella notte di giugno, quando dopo l'arrivo del terzetto di banditi, di cui soltanto due vengono accolti, saltano tutte le regole su cui si basa l'organizzazione di questo esclusivo nosocomio, le cui stanze, tutte riccamente addobbate in stile retró, hanno nomi che evocano chi le ospita, tra cui Nice, una affascinante e inesorabile sicaria francese che uccide trasmettendo al la diretta al degli sgozzamenti. Ma non è l'unica a contravvenire alle norme della casa: lo fa anche l'infermiera, accogliendo una poliziotta rimasta ferita negli scontri e che conosceva perché era amica d'infanzia di suo figlio, in più è costretta a ricoverare anche King Wolf, ossia il vero boss di Los Angeles, che non ne avrebbe diritto pur essendo il proprietario dell'Artemis e colui che le ha affidato la sua gestione. Con lui Jean ha stretto un "patto col diavolo", ma sotto anestesia King confesserà una verità che cambia le carte in tavola... Claustrofobico e incalzante, il film si disperde in sottotrame abbastanza assurde,  tra cui la scoperta che uno degli ospiti, Waikiki, il "cervello" del colpo in banca, si ritrova con una penna che contiene dei rarissimi diamanti che appartengono a King Wolf... Insomma tanti spunti, per questa sorta di thriller distopico piuttosto confusionario ma alla fine comunque coinvolgente e, a suo modo, divertente. Cast con attori all'altezza, che si adeguano a un'interpretazione caricaturale dei loro personaggi; copione zoppicante, pur essendo l'autore, qui anche regista all'esordio, uno sceneggiatore di fama, eppure in qualche modo il film funziona, perché Drew Pearce sa di cinema, le riprese sono emozionanti e il ritmo adeguato a mantenere sveglia l'attenzione dello spettatore nonostante i rallentamenti della fase centrale della pellicola, e riesce a portare la vicenda fino in fondo, pur non sviluppandone alcune interessanti tracce come avrebbe potuto. Molto a suo modo, godibile, anche perché in questo periodo non c'è molto altro da vedere. 

martedì 13 agosto 2019

Los Inmortales


A commento del risultato delle Primarie "aperte simultanee e obbligatorie" (PASO) tenutesi in Argentina domenica 11 per designare le formule di candidati alla presidenza e vicepresidenza alle elezioni che si terranno a fine ottobre, e che hanno visto i peronisti, vicini al 50%, infliggere una legnata micidiale all'attuale presidente Mauricio Macri, un mio amico che ha frequentato per parecchio tempo il Paese (e che per contrappasso ultimamente si rifugia appena possibile in Siberia) commenta che "quando pensiamo che in Italia vada tutto male e che abbiamo toccato il fondo, a farci sentire meglio c'è sempre l'Argentina", col corollario del puntuale crollo della borsa e del calo del peso di un altro 26% sul dollaro: immediate reazioni dei mercati alla prospettiva di un ritorno al potere dell'eterno peronismo, aggiornato al nuovo millennio in versione kirchnerista. Definirlo populismo di sinistra è quantomeno fuorviante trattandosi di una riedizione di un cancro nazionale come da noi il fascismo endemico: Mai morti: del resto ho sempre sottolineato la sconcertante somiglianza dei due Paesi: stessa razza, stessa faccia, viene da pensare. Candidato favorito alla presidenza sarà dunque Alberto Fernández, un immarcescibile camaleonte della politica, già capo di gabinetto dell'ex presidente Nestor Kirchner e che avrà come vice la vedova consorte ed ex presidenta, per due mandati, Cristina Fernández de Kirchner, ossia la vera vincitrice di queste primarie-farsa, che non si è candidata alla presidenza in prima persona perché quest'ultima carica non prevede l'immunità (mentre quella di vice e senatrice sì) per la pletora di vicende giudiziarie di cui lei e la sua famiglia sono al centro (corruzione, arricchimenti illeciti e quant'altro). Non che sia più di tanto dispiaciuto della disfatta di Macri: il suo PRO (che ha vinto solo dove sopravvive una parvenza di classe media: la città autonoma di Buenos Aires e Córdoba e dintorni), alleato con quanto resta del  fu glorioso radicalismo, è un partito liberista, di centrodestra e filo-americano che ha molte somiglianze con Forza Italia: del resto Mauricio, che ha sempre detto di ispirarsi a Silvio Berlusconi, è un Pierpirla un po' più intelligente del figlio di quest'ultimo e a sua volta rampollo di cotanto padre, Franco, un grosso imprenditore edile di origine calabrese con attività economiche a tutto campo; la tragedia è che il peronismo kirchnerista è ancora peggio, e non si vedono alternative: il terzo incomodo era l'economista ed ex ministro Roberto Lavagna, sostanzialmente un altro peronista per quanto "illuminato" (si fa per dire), mentre la sinistra vera e propria (ma parolaia quanto quella nostrana) fa festa per potersi presentare alle presidenziali d'autunno su una base di consensi del 2,87%, tanta roba! Faccio notare che alle PASO, elezioni pletoriche per confermare dei candidati già scelti, ha partecipato con entusiasmo degno di miglior causa oltre il 75% dell'elettorato. In sostanza, come in Italia, non c'è la possibilità di una scelta decente (ammesso e non concesso che votare abbia un senso se non contro). E, ricordando all'amico di cui sopra che "il peggio deve ancora venire" e non si è mai finito di scavare nella fossa, rituffiamoci allegramente nel letamaio nazionale.

domenica 11 agosto 2019

Serenity - L'isola dell'inganno

"Serenity - L'isola dell'inganno" (Serenity) di Steven Knight. Con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Djimon Hounsou, Diane Lane, Jason Clarke, Jeremy Strong e altri. USA 2019 ★★★
Clamoroso flop al botteghino negli USA, non ha trovato una grande accoglienza nemmeno da questa sponda dell'Atlantico, specialmente da parte della critica; per atmosfere, personaggi e luoghi vagamente hemingwayani (siamo a Plymouth, un'isola che non c'è e si suppone dalle parti dei Caraibi; in realtà la location non si trovava in una delle Keys al largo della Florida, bensì in una delle Mauritius) ci si aspetta un noir di quelli hard boiled anni Quaranta, ma dopo metà film si comincia a capire che qualcosa non quadra e l'inganno (rivelatore l'occhiello aggiunto all'edizione italiana del titolo) che frega sia i suddetti personaggi sia lo spettatore viene pienamente svelato nel finale: siamo in un gioco, anche di parole, per dirla con Edoardo Bennato, per la precisione in un videogioco creato dalla mente di un adolescente "difficile", rimasto a sei anni orfano di padre, morto in Irak in una delle tante missioni USA a portare la loro idea di democrazia in giro per il mondo. Eppure il torrido mondo tropicale e la strana fauna umana che popola l'isola sembrano all'inizio più che reali: il collerico e indebitato Baker Dill (McConaughey) proprietario e capitano della barca con cui porta a pesca i ricchi turisti che giungono a Plymouth, ossessionato dalla caccia a un tonno gigante; il suo saggio e prudente secondo di colore (Djimon Hounsou); la ex moglie di Baker, Karen (Anne Hathaway incredibilmente virata in biondo), che riappare dal passato per fargli una proposta che non può rifiutare in nome dell'antico amore adolescenziale e del figlio che Patrick che hanno avuto in comune e con cui il padre sembra essere in contatto telepatico: uccidere il nuovo marito, il bastardo della situazione interpretato da un cattivo per definizione come Jason Clarke, il quale la picchia e maltratta il ragazzino, simulando un incidente di pesca. Accetterà o non accetterà? In attesa del momento della verità e della fatidica decisione tra bene e male Baker-McConaughey, tra uno shottino di rum e un altro si sollazza con Constance, la Milf di turno (Diane Lane), non trascurando un ripassino all'ex consorte stoppato sul più bello, per la gioia delle spettatrici in sala esibisce abbondanti porzioni del suo corpo muscoloso ma asciutto, soprattutto le terga ma mai l'arnese (il film è pur sempre USA) e gli altri personaggi fanno da corollario, compreso un gatto nero, l'attore più in parte dell'intero cast. Che è di prim'ordine ma parte anch'esso della parodia: McConaughey, l'improbabile bionda Anne Hathaway, Jason Clarke e la stessa Diane Lane la fanno di sé stessi (ignoro quanto ne fossero consapevoli quando hanno girato il film e se fossero al corrente di come Steven Knight, di cui peraltro ricordo l'ottimo Locke, lo avrebbe montato). Ecco, se vi aspettate un vero e proprio thriller, come lo ha presentato la casa di produzione, rimanete pure a casa; se prendete Serenity per la farsa che in effetti è, e probabilmente voleva essere nelle intenzioni del regista, potreste trovarlo perfino buono. Così come, in un impeto di generosità, faccio io. 

sabato 10 agosto 2019

A Taxi Driver

"A Taxi Driver" di Hun Jang. Con Song Kang-ho, Thomas Kretschmann, Yoo Hae-jin, Jun-yeol Ryu, Park Hyuk-kwon e altri. Corea del Sud 2017 ★★★★
Reduce da un grandissimo e significativo successo di pubblico e critica in patria, dove tocca un tasto dolente come il massacro di Gwangju, avvenimento tragico e travisato oltre che tenuto nascosto nelle sue dimensioni  avvenuto nel maggio del 1980 nella città che era il bastione della democrazia e del movimento degli studenti contro il governo golpista di Chun Doo-hwan, salito al potere dopo il golpe dell'ottobre dell'anno prima, è arrivato anche in alcune sale italiane questo ottimo film di Hun Jang che ha come straordinario protagonista una stella locale nota anche in Occidente come Song Kang-ho, che qui impersona il taxista che a quel tempo accompagnò nella città, assediata e isolata dai militari, in cui era praticamente impossibile entrare, il reporter della televisione tedesca Jürgen Hinzpeter (interpretato da Thomas Kretschmann), l'unico giornalista occidentale che riuscì a filmare gli avvenimenti e a diffondere le notizie della carneficina (il numero delle vittime, fra le due e le tremila, non fu mai rivelato) fuori dalla Corea. E' abbastanza tipico del  cinema coreano mischiare i generi e miscelare comicità, commedia e dramma anche nel caso di un film tratti da vicende reali, e quindi non stupisce una prima parte che dipinge Kim, così si chiama il tassinaro del titolo (il riferimento ad Alberto Sordi è voluto e probabilmente ha ispirato anche il regista Hun Jang), un uomo rimasto vedovo e con una figlia piccola a carico, sostanzialmente come un qualunquista in politica e attaccato ai soldi (di cui ha un costante bisogno per mantenere la bambina) che "frega" con astuzia il ricco cliente a un collega che ha avuto la malaugurata idea di parlare in una trattoria frequentata da tassisti di un occidentale disposto a pagare una cifra spropositata per portarlo a Gwangju da Seul e ritorno: quel qualcuno era Hinzpeter, arrivato in Corea facendosi passare per missionario dal Giappone, dove era corrispondente per l'Asia dell'ARD, che inizialmente è piuttosto diffidente di Kim e non lo ha in grande simpatia: come se non bastasse l'autista parla troppo, si spaccia per conoscitore dell'inglese per essere stato a lavorare per cinque anni in Arabia Saudita e gira con un catorcio che ha sulle spalle qualcosa come 600 mila chilometri. Ma sia il tono del film, sia i rapporti tra i due cambiano pian piano, così come il modo di considerare i moti di protesta, che il regime fa passare per un'insurrezione comunista e che non coinvolgono soltanto il mondo studentesco, quando arrivano nella città in rivolta, mentre divengono testimoni dei massacri e vittime a loro volta di una caccia all'uomo rispetto alla quale anche i fatti del G8 di Genova del 2001 erano un innocente gioco da bambini; cambiano anche le modalità di ripresa, e le scene delle azioni dei militari sono veramente suggestive ed impressionanti, anche se da incubo. Nonostante ciò e alcune ingenuità (non si riesca francamente a capire come Kim e Hinzpeter siano riusciti a farla franca e uscire da Gwangju e ancor più riuscire a entrare, e Hinzpeter passare i controlli, all'aeroporto internazionale di Gimpo) l'impatto del film non è indifferente e può dirsi decisamente riuscito, girato con competenza e bene interpretato, ovviamente e giustamente alla coreana. Hinzpeter morì nel 2015 senza essere riuscito a rintracciare il suo tassista e compagno di avventura, che gli aveva scritto su un foglio volutamente il nome incompleto, mentre il vero Kim è vivo e vegeto e ha rivelato la sua identità soltanto nel 2017, dopo l'uscita del film. Se vi capita a tiro, una pellicola che consiglio.

giovedì 8 agosto 2019

Conversazione su Tiresia

"Conversazione su Tiresia" di e con Andrea Camilleri. Italia, 2018 ★★★★★
L'occasione di rendere il mio personale saluto all'autore siciliano recentemente deceduto mi si è presentata per puro caso: mi ero perso la proiezione al cinema, il 5, 6 e 7 novembre scorso presentata da NexoDigital, dello spettacolo tenuto da Andrea Camilleri l'11 giugno dell'anno scorso al Teatro Greco di Siracusa gremito, e caso ha voluto che la visione della pellicola, riproposta martedì scorso nell'ambito di Secret Garden, manifestazione di cinema all'aperto promossa dal Comune (nel cartellone di UdinEstate) e curata dal CEC, venisse spostata in una delle sale del Centrale (unico cinema rimasto aperto in città, non considerando i multisala inseriti negli orridi centri commerciali situati nei sobborghi) causa maltempo, in questo caso provvidenziale, al posto di un film che mi accingevo a vedere per pura disperazione. In sostanza "Conversazione su Tiresia" mi si è imposto ed è stato un bene, perché merita davvero. Chi conosce Camilleri anche solo come autore del Commissario Montalbano (e a prescindere dal suo essere stato, prima che romanziere, valente e riconosciuto sceneggiatore, regista sia teatrale sia televisivo nonché drammaturgo) sa quanto gusto avesse della narrazione, e in questi 75' da solo, seduto al centro del palcoscenico come se stesse di fronte a un caminetto, assistito da un ragazzo accoccolato ai suoi piedi chemai ha dovuto intervenire nel suo ruolo di suggeritore ma limitandosi a  porgergli di tanto in tanto un bicchier d'acqua e accompagnato, in alcuni passaggi, da un flauto; alle spalle uno schermo dove vengono proiettate immagini classiche e alcuni testi in sovrimpressione, dà una prova dell'incredibile lucidità che avesse ai suoi 93 anni; della memoria intatta e vivida; del gusto di vivere e di raccontarla (per dirla con Gabriel García Márquez); dell'essere un uomo di vasta cultura e della capacità di comunicarla con semplicità, ma senza mai banalizzazioni, in modo che chiunque fosse messo in condizione di capire: un vero, autentico intellettuale, senza la spocchia che troppo spesso accompagna la categoria, merce rarissima e non soltanto nel nostro Paese. Nella sua conversazione, Camilleri racconta in prima persola la storia dell'indovino tebano, di come avesse sperimentato l'essere trasformato in femmina e poi di nuovo in uomo ma ridotto alla cecità (come del resto il cuntatore negli ultimi anni) facendo giustizia delle varie teorie su come fosse stato privato della vista e quindi del passaggio da Tiresia in quanto persona a personaggio, maschera, ossia di come fosse stato ritratto dagli autori che si sono occupati di lui nel corso di oltre due millenni, da Esiodo a Sofocle a Omero; da Ovidio a Seneca; da Dante ad Apollinaire, da Virginia Woolf a Ezra Pound, Da Primo Levi a Cesare Pavese a Pier Paolo Pasolini... Non un attimo di indecisione, nel massimo della naturalezza ed espresso con una grande umanità ed empatia, un gioiello prezioso, che andrebbe diffuso il più possibile, specie nelle scuole. Grazie, Maestro, ancora una volta.

martedì 6 agosto 2019

Little Forest

"Little Forest" di Soon-rye Yim. Con Tae-ri Kim, Jun-yeol Ryu, Ki-jo Jin, Moon So-ri e altri. Corea del Sud 2018 ★★★½
Primo film della rassegna cinematografica K-Cinema / Il fascino (in)discreto della Corea del Sud, promossa dalla sempre benemerita casa di produzione e distribuzione friulana Tucker Film e da Far East Festival di Udine, che comprende quattro film che vengono proposti una volta alla settimana sugli schermi di Pordenone, Udine, Monfalcone e Trieste nel mese di agosto, Little Forest, tratto da un manga giapponese, girato con grande delicatezza dall'esperta mano della regista Soon-rue Yim con gusto prettamente coreano e interpretato da giovani attori emergenti di quel fecondo, cinematograficamente parlando, Paese. La trama, all'apparenza inconsistente, ruota attorno alla crisi della giovane Hye-won che, delusa dall'aver fallito l'esame d'ammissione all'università, dal lavoro umiliante in una caffetteria e dal rapporto con il fidanzato, lascia la megalopoli Seul per fare ritorno al paese rurale dov'è nata e cresciuta nella casa che condivideva con la madre, che l'aveva abbandonata all'improvviso e senza preavvertire quando frequentava l'ultimo anno di liceo e non vedeva l'ora di trasferirsi nella capitale e cambiare vita. Intenzionata inizialmente a restare sola e recuperare innanzitutto sé stessa, e a rimanere qualche settimana nella casa avita, i ritmi lenti e rilassati della campagna, i rapporti riallacciati con due amici d'infanzia, un giovane agronomo che si è messo a coltivare i frutteti di famiglia e un'impiegata di banca completamente diversa da lei di carattere ma con cui si completa, nonché una zia che vive nelle vicinanze, fanno sì che i mesi trascorrano e lei riscopra il valore delle sue radici e la sua autentica dimensione; il tutto scandito dai deliziosi pasti che prepara, avendo imparato dalla sua fantasiosa madre, in grado di inventarsi manicaretti con il poco che passava il convento e seguendo il ritmo delle stagioni, dall'inverno all'autunno successivo, riuscendo a comprendere quel che attraverso i suoi insegnamenti le aveva voluto indirettamente trasmettere e così anche i motivi del suo abbandono, che consisteva soprattutto in un invito a seguire la propria strada e le sue vere vocazioni, in sostanza riconciliandosi sia con la genitrice sia con sé stessa. Un film didascalico quanto si vuole, di una semplicità a tratti disarmante per quanto può sembrare idilliaco ma non banale e che fa pensare, benché la regista abbia scelto apposta, penso, uno stile molti televisivo, evidente nel modo in cui vengono riprese e commentate le varie ricette ideate ed eseguite dalla ragazza e apprezzate dai suoi amici.

domenica 4 agosto 2019

Men In Black International

"Men In Black International" di F. Gary Gray. Con Chris Hemsworth, Tessa Thompson, Liam Neeson, Emma Thompson, Rafe Spall, Rebecca Ferguson e altri. USA 2019 ★★½
Classico film che non andrei a vedere appositamente in una sala cinematografica, ma a cui dedicherei al massimo una stravaccata serata televisiva, Men in Black International è l'ennesimo sequel derivato dal fortunato originale di oltre vent'anni fa, tratto a sua dal celebre fumetto di Lowell Cunningham che raccontava le mirabolanti avventure dei MIB, membri nerovestiti con camicia bianca e occhiali scuri d'ordinanza di una organizzazione ultrasegreta che regola l'afflusso degli alieni sul pianeta Terra, venendo a patti con quelli "buoni" ed eliminando quelli cattivi e pericolosi: il segreto sulla loro esistenza in generale viene mantenuto attraverso lo sparaflash, un raggio con cui viene cancellata la memoria dell'incontro con gli extraterrestri agli umani che hanno avuto la ventura di esserne protagonisti. E' quel che succede nel 1996 ai genitori di Molly (Tessa Thompson), che invece ne rimane immune dopo aver favorito la fuga di un piccolo extraterrestre. Cresciuta con la certezza, comprovata dall'esperienza personale, che gli alieni esistano, la sua massima aspirazione è quella di entrare a far parte della misteriosa organizzazione dei MIB e la vicenda raccontata dal film è come riesca a raggiungere il suo scopo, dall'individuazione di uno sbarco di alieni all'individuazione della sede newyorkese dell'organizzazione; all'attirare l'attenzione della sua massima dirigente, l'Agente O (Emma Thompson); all'arruolamento in prova, durante la quale viene spedita in missione alla sede di Londra, dove viene affiancata dal responsabile, l'Agente T (Liam Neeson), all'Agente H (il bellone della situazione, Chris Hemsworth). Le peripezie non mancano e vedono la coppia in azione tra la capitale inglese, l'esotica Marrakesh, un'isola-fortezza nel golfo di Napoli e Parigi, in particolare la Torre Eiffel, dove si crea il cuneo spazio-temporale da cui transitano gli esseri di un'altra dimensione e del cui regolare funzionamento sono per l'appunto responsabili i Men in Black. A risolvere genialmente i problemi che si creano, scoprire un insospettabile traditore (che non è chi tutti pensano che sia) e rimettere sul binario giusto l'Agente H sarà naturalmente la giovane Woman in Black, anche dal punto di visto dell'epidermide, Molly. A suo modo e coi suoi limiti, il film funziona discretamente, come una gazzosa quando fa caldo, e si rivela un passatempo innocuo e divertente. Ma proprio niente di più. 

venerdì 2 agosto 2019

Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn...


J. W. Goethe, Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn (1795)
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn,
Im dunkeln Laub die Goldorangen glühn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht?
Kennst du es wohl? Dahin!
Dahin möcht’ ich mit dir,
O mein Geliebter, ziehn.
Kennst du das Haus? Auf Säulen ruht sein Dach,
Es glänzt der Saal, es schimmert das Gemach,
Und Marmorbilder stehn und sehn mich an:
Was hat man dir, du armes Kind, getan?
Kennst du es wohl? Dahin!
Dahin möcht’ ich mit dir,
O mein Beschützer, ziehn.
Kennst du den Berg und seinen Wolkensteg?
Das Maultier such im Nebel seinen Weg,
In Höhlen wohnt der Drachen alte Brut;
Es stürzt der Fels und über ihn die Flut.
Kennst du ihn wohl? Dahin!
Dahin geht unser Weg!

O Vater, laß uns ziehn!

J. W. Goethe, Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? 
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro,
Una brezza lieve dal cielo azzurro spira,
Il mirto è immobile, alto è l’alloro!
Lo conosci tu?
Laggiù! Laggiù!
O amato mio, con te vorrei andare!
Conosci tu la casa? Sulle colonne il tetto posa,
La grande sala splende, scintillano le stanze,
Alte mi guardano le marmoree effigi:
Che ti hanno fatto, o mia povera bambina?
La conosci tu?
Laggiù! Laggiù!
O mio protettore, con te vorrei andare.
Conosci tu il monte e l’impervio sentiero?
Il mulo nella nebbia cerca la sua strada,
Nelle grotte s’annida l’antica stirpe dei draghi,
La roccia precipita e sopra lei l’ondata:
Lo conosci?
Laggiù! Laggiù,
Porta la nostra strada, andiamo o padre mio!

(Traduzione di A. Rho e E. Castellani in J. W. Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni di apprendistato, Adelphi, Milano 1974