venerdì 30 settembre 2022

Ti mangio il cuore

"Ti mangio il cuore" di Pippo Mezzapesa. Con Elodie Di Patrizi, Francesco Patané, Francesco Di Leva, Lidia Vitale, Giovanni Trombetta, Letizia Pia Cartolaro, Tommaso Ragno, Michele Placido, Giovanni Anzaldo, Mauro Lamanna, Brenno Placido e altri. Italia 2022 ★★★★+

Non sapevo nulla di Pippo Mezzapesa prima dell'uscita di Ti mangio il cuore, benché sia attivo cinematograficamente già da una ventina d'anni come documentarista e sceneggiatore, ma anche come regista di un lungometraggio, Il paese delle spose infelici, uscito nel 2011, tratto da un romanzo di Mario Desiati e ambientato all'ombra dell'ILVA di Taranto, che ci terrei a recuperare perché è evidente che la stoffa c'è; ero però al corrente, pur non avendolo letto, del contenuto del libro-inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini sulla Società foggiana e su una feroce faida tra famiglie avvenuta nel promontorio del Gargano e la vicenda della prima collaboratrice di giustizia che ha permesso di aprire uno squarcio su quella che è quarta mafia d'Italia, la meno conosciuta e forse la più efferata e arcaica. Il film, girato in un bianco e nero tetro e dai forti contrasti che sottolinea la cupezza e l'intensità delle passioni sottostanti, racconta della ripresa, dopo una quarantina di anni di tregua, della faida fra due famiglie, quella dei Malatesta e quella dei Camporeale. Michele Malatesta (Tommaso Ragno) era l'unico sopravvissuto della sua famiglia dopo una strage compiuta dagli avversari negli anni Sessanta: uno a uno ha eliminato tutti i responsabili, vendicando il torto, e da allora in paese era stato raggiunto un equilibrio garantito da una terza famiglia, i Montanari, capeggiati con paziente astuzia da Vincenzo (Michele Placido, bravo a non calcare la mano con la caratterizzazione), il famoso terzo destinato a godere tra i due litiganti. Capita che Andrea, il figlio prediletto di Michele Montanari, si innamori, ricambiato, della bellissima Marilena, moglie di Santo Camporeale, latitante, e la tresca tra i due continui nonostante le minacce dai relativi clan, finché uno dei Camporeale decide di eliminare il capofamiglia rivale per quello che ritiene un affronto intollerabile ma anche per regolare i conti con l'autore dell'assassinio dei propri parenti. Tocca proprio ad Andrea, un ragazzo moderno e di buoni sentimenti, finora il più estraneo alle logiche malavitose nonché refrattario all'uso delle armi, considerato quello senza nerbo in famiglia, essere l'autore della ritorsione, prima titubante, anche per non coinvolgere Marilena, che nel frattempo, cacciata dai Camporeale e incinta di Andrea, è stata accolta dai Malatesta nonostante l'avversione di Teresa, madre del ragazzo e vedova di Michele, la bravissima Lidia Vitale, la vera "anima nera", o albero del veleno, come la definisce Marilena, che scatena la belva che è celata nel figlio il quale, dopo il primo omicidio, si cala sempre più nel personaggio del vendicatore senza più porre alcun limite alla propria ferocia, perché al sangue, comunque, non si comanda. Il racconto è serrato, intenso, non concede tregua né speranza: nonostante la brutalità della storia e delle immagini, formalmente il film è estremamente elegante, la fotografia di fortissimo impatto e a completare l'opera c'è una colonna sonora di alto livello con musiche appositamente composte da Theo Teardo. Convincente Francesco Patané nel difficile ruolo di Andrea, una citazione ulteriore merita Elodie Di Patrizi, nota come cantante col solo nome di battesimo, autrice di un'interpretazione esemplare per misura, espressività ed efficacia. Prima della proiezione era passato il trailer del nuovo film di Paolo Virzì, Siccità, e in una scena compariva l'ovale stolido di Monica Bellucci, dotata oltre che di una voce particolarmente sgradevole di una dizione inaccettabile financo a livello dilettantesco, osannata "diva" del nostro cinema soprattutto all'estero, probabilmente perché sono costretti a doppiarla, essendo incapace di prodursi in una battuta intera anche solo in italiano, e a contrasto risulta evidente a chiunque quale delle due sia un'attrice vera e chi non abbia nemmeno la più pallida idea di cosa significhi recitare su un palco o su un set. Una pellicola che mi ha colpito e sorpreso, oltre le mie aspettative. 

martedì 27 settembre 2022

Nido di vipere

"Nido di vipere" (Beasts Clawing At Straws) di Kim Yong-Hoon. Con Jeon Do-yeon, Woo-sung Jung, Yuh Jung Youn, Seong-woo Bae, Hyeon-bin Shin, Jeing Man-sik, Jin Kyung, Ga-ra Jung, Jun-han Kim, Jin-Woong Bae, Heo Dong-won, Jang Eui-Don, Kwun Hyuk-bum e altri. Corea del Sud 2020 ★★★★1/2

Un esordio alla regià col botto come quello di Kim Yong-Hoon conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, l'eccellenza raggiunta da tempo dalla cinematografia sudcoreana nel suo complesso, in particolare nel genere noir, in cui ha saputo sintetizzare il meglio della tradizione USA, con riferimento in particolare ai fratelli Coen e a Quentin Tarantino, e quella del poliziesco di Hong Kong. Un disgraziato pieno di debiti che, dopo il fallimento del ristorante di famiglia, per campare lavora nella sauna di un albergo, ritrova un borsone Luis Vuitton colmo di contante lasciato lì in deposito da un cliente che si scoprirà essere in fuga e lo nasconde nel deposito con l'intenzione di recuperarlo in un secondo momento senza dire nulla a suoi colleghi. E' da questo primo tentativo (che non si rivelerà nemmeno tale) con l'inganno che si mette in moto il meccanismo abilmente congegnato e confezionato dal regista e sceneggiatore coreano che ha adattato il romanzo del giapponese Keisuke Sone, il cui titolo originale suona, a senso, Bestie che si arrampicano sugli specchi e riflette, al solito, meglio di quelli ideato dalla distribuzione nostrana, il lo spirito il contenuto del film. Il borsone  farà il suo giro tra le mani dei protagonisti di questa vorticosa ma a suo modo lineare vicenda: una giovane donna maltrattata e picchiata dal marito che lavora come entraineuse in un locale per uomini, che incarica un cliente che si innamora di lei di accopparlo, ma le cose non andranno come devono; un funzionario della dogana corrotto, a sua volta nei guai perché deve restituire a uno strozzino il denaro avuto in prestito per pagare i debiti della sua fidanzata sparita nel frattempo; quest'ultima, la diabolica e fatale Yeon Hee, un'avventuriera tra le altre cose anche tenutaria di un bordello, e quando entra in scena lei, interpretata da Jeon Do-yeon, grandiosa, il livello qualitativo si alza a dismisura e la bravissima attrice dominerà la scena fino alla fine della pellicola. Non manca un poliziotto che usa dei metodi investigativi particolari, facendosi amico dell'indagato e insinuandosi con mille trucchi nella sua esistenza che ricorda, per chi ne ha memoria, l'immortale Tenente Colombo del mitico Peter Falk. Le vite e i destini di tutti questi personaggi, estranei tra loro, nel corso della storia troveranno il modo di intrecciarsi e fregarsi a vicenda, mentre ciascuno di essi cercherà di escogitare la maniera di impossessarsi del ricco malloppo e, al contempo, togliersi dai casini in cui si è ficcato per conseguire lo scopo, il tutto raccontato con un andamento circolare che ricorda inevitabilmente Pulp Fiction o Le iene ma, per la trama, anche Non è un paese per vecchi. Nonostante la continua sensazione di déjà vu, tanto che ho dovuto andare a controllare se non l'avessi per caso già visto, Nido di vipere è di una godibilità assoluta per chi è appassionato del genere ma anche per chi semplicemente apprezza un lavoro ben fatto, una storia raccontata con acume, ironia e con ritmo crescente, e pure per chi, nonostante il ghigno sarcastico che sottintende il tutto, affondando nelle umane miserie  e debolezze, apprezza il lieto fine, perché la fatidica borsa finirà nelle mani dell'unica persona che se lo merita e che è del tutto ignara della sua esistenza e del suo complicato viaggio fino a lei...

sabato 24 settembre 2022

L'anarchico votante


Sarà un paradosso, ma pur essendo anarchico da quando sono stato in grado di farmi un'idea politica benché sia cresciuto in una famiglia di marxisti più o meno ortodossi, o forse proprio per questo (del resto sono anche interista con genitori milanisti e zii juventini, in omaggio alla squadra tifata da quel losco individuo di Palmiro Togliatti) dal 1975, quando ho raggiunto la maggiore età (già a 20 anni e per fortuna non a 16 come si vorrebbe oggi), credo di non avere mai saltato un'elezione, salvo qualche referendum idiota o superfluo e un "ballottaggio" altrettanto inutile quando ancora abitavo a Milano. Magari ho annullato la scheda (bianca mai!), più spesso ho votato "contro", e solo due volte per l'allora PCI: alle amministrative del 1975, appunto, e alle "europee" del 1989. Nel 2013 ho votato convintamente M5S: non perché d'accordo su tutto, anzi, ma, appunto, per votare "contro", in modo particolare al PD, che come i suoi predecessori DS, PDS e PCI ritengo i principali responsabili dei compromessi più vergognosi e della distruzione di tutto ciò che era la sinistra in questo Paese, a cominciare da quel poco di Stato sociale che si era riusciti a conquistare nel corso dei decenni seguiti alla Seconda Guerra Mondiale (è evidente che quel che si definisce centro o destra non l'ho mai nemmeno alla lontana preso in considerazione). Alle scorse elezioni ho spaiato il voto: M5S per la Camera e Potere al popolo per il Senato. Questa volta, intendendo correttamente l'invocazione al "voto utile" da parte dei pidioti, ossia all'inverso (mio padre mi diceva sempre che occorre leggere il Corriere della Sera ma interpretandolo all'incontrario, non solo per sapere come la pensano i paróni, ma perché la verità di solito sta lì), avevo inizialmente deciso di invertire l'ordine, Unione Popolare per la Camera e M5S per il Senato, seguendo quindi in parte il cuore (UP) e in parte la "ragione" (M5S: l'unico voto che garantisce di infastidire il Sistema e chi lo sostiene, a cominciare dagli utili pidioti). Questo fino a una settimana fa, quando è stato chiaro, anche senza sondaggi "ufficiali", che il Movimento ora guidato da Conte, eliminati gli scarti grazie alle provvidenziali scissioni nonché agli innumerevoli cambi di casacca di parlamentari "cadreghisti" e non più eterodiretto da quel forsennato di Beppe Grillo, il quale schierandolo a favore del Governo Draghi ha dimostrato tutta la sua imbecillità politica, stava rimontando la china. Siccome il M5S pare avviato a un discreto successo (almeno rispetto ai sondaggi che fino a un mese fa lo davano appena sopra le due cifre percentuali), tanto da essere all'improvviso considerato meritevole di "voto utile" per i collegi uninominali in bilico perfino dagli esponenti meno cretini del PD, ho così deciso che fosse più utile cercare di contribuire al raggiungimento del 3% da parte di Unione Popolare, guidata impeccabilmente da Luigi De Magistris, per mandare in parlamento gente intelligente, preparata, coerente e di sicura affidabilità e onestà, che porta in dote un programma chiaro e che condivido pressoché in toto, pur avendo molte perplessità sulla cosiddetta democrazia rappresentativa in sé, questa sì il "meno peggio". In modo particolare con une legge elettorale truffaldina, indecente oltre che palesemente incostituzionale: e non aver fatto pressoché nulla per modificarla nell'arco di quattro anni e mezzo è una cosa che non perdono al M5S e mi ha spinto a non dargli nemmeno uno dei due voti a disposizione.

mercoledì 21 settembre 2022

Maigret

"Maigret" di Patrice Leconte. Con Gérard Depardieu, Jade Labeste, Clara Antoons, Mélanie  Bernier, Aurore Clément, Anne Loirert, André Wilms e altri. Francia 2022 ★★★★

Un Maigret "definitivo", come si evince già dal lapidario titolo, così come lo vede Patrice Leconte, che per compendiarne la figura ha scelto di adattare liberamente il 45° dei 75 romanzi che il prolifico Georges Simenon ha dedicato a uno dei più celebri commissari della letteratura e, a seguire, del cinema e ancor di più della TV, ossia La giovane morta, uscito nel 1954, e nella Parigi di quegli anni del dopoguerra il regista ambienta, con estremo rigore, la vicenda. Per la precisione nella zona del IX arrondissement, quello che comprende Montmartre, Pigalle, Batignolles e Porte De Clichy, ai tempi piuttosto malfamato. E' in Place de Vintmille che viene rinvenuta cadavere una  ragazza, accoltellata con una mezza dozzina di fendenti: indossa un lussuoso abito da sera, ma ai piedi ha delle scarpe comuni e un po' scalcagnate, porta della biancheria ordinaria e nella borsetta non c'è alcun documento che possa condurre a una sua identificazione. Il commissario non ha pressoché nulla in mano, tranne un biglietto con un indirizzo e il nome della casa di moda che ha prodotto l'abito, ma a illuminarlo è l'incontro casuale con una giovane taccheggiatrice che assomiglia alla vittima, una delle tante ragazze che arrivano quotidianamente dalla provincia in fuga dalla povertà e dalla mancanza di prospettive e in cerca di un futuro di riscatto nella sfavillante capitale, che inevitabilmente si rivelerà meno amichevole e accogliente di quel che sperassero. A coinvolgerlo ulteriormente è l'età della vittima, poco più che ventenne, quella che avrebbe la figlia dei coniugi Maigret se fosse ancora viva, e così l'indagine diventa innanzitutto una sorta di scavo psicologico sulle tracce della memoria e un assemblaggio di indizi raccolti man mano in base soprattutto alla capacità di osservazione del commissario, sia per quanto riguarda i dettagli, sia per quanto riguarda i tipi umani che incrociano la sua meticolosa inchiesta, e che forniscono un quadro ben preciso, come sempre nei romanzi di Simenon, degli ambienti sociali con cui viene a contatto per stabilire la verità, ché è questo il compito di uno sbirro, e non quello di giudicare. E con pazienza la verità emerge, grazie anche a un escamotage ideato da Maigret e alla collaborazione di Betty, l'aspirante avventuriera che ha preso sotto la sua protezione con l'intenzione di "redimerla" ma soprattutto di evitarle la fine della ragazza morta, finita, come tante, nelle grinfie di gente viziosa e senza scrupoli che preferisce perfino simulare un assassinio pur di nascondere sotto un tappeto la propria sporcizia. Un film buio, crepuscolare, salvo in un paio di scene: quelle di una festa a cui aveva partecipato la vittima e quella di un matrimonio frettolosamente organizzato per evitare di essere scoperti da parte dei responsabili della morte della ragazza, che sembrerebbe in bianco e nero, tanto sono cupi i colori, e cupa, oltre che incombente, è la figura del commissario, spesso in controluce, impersonato dal monumentale Gérard Depardieu, in un'interpretazione degna della sua fama, un Maigret dolente, stanco, stranamente inappetente e a cui il medico ha appena vietato di fumare l'amata pipa, con lo sguardo rivolto al passato piuttosto che a un futuro di cui non vede le attrattive: un uomo che sembra dire addio a tutto ciò che lo aveva circondato fino ad allora. Di alto livello la fotografia di questo noir classico nello stile ma pure sui generis per la parte intimistica, e anche gli altri interpreti del tutto all'altezza della situazione. Un esercizio di stile da parte di Leconte, ma anche un polar esemplare. 

lunedì 19 settembre 2022

Al servizio dello Zio Sam - Agende Draghi a rapporto

Giusto a 5 giorni dal voto. Questo è il presidente del Consiglio in carica per il "disbrigo degli affari correnti". Meditate, gente, meditate...

venerdì 9 settembre 2022

Bullet Train

"Bullet Train" di David Leitch. Con Brad Pitt, Aaron Taylor Johnson, Brian Tyree Henry, Andrew Koji, Hiroyuki Sanada, Joey King, Michael Shannon (II), Masi Oka, Karen Fukuhara, Zazie Beets, Sandra Bullock e altri. USA 2022 ★★★-

Via di mezzo fra thriller burlesco, di chiara ispirazione tarantiniana (Pulp Fiction ma anche Le Iene) e un fumetto interpretato da attori in carne e ossa, l'ambientazione in un treno e lo svolgimento con unità d'azione, spazio (chiuso) e tempo ricorda anche il coreano Snowpiercer o, se vogliamo, le varie versioni di Assassinio sull'Orient Express o sul Nilo: se lo scopo è il divertimento, il film di David Leitch raggiunge lo scopo, anche grazie a un cast ben assortito di attori sufficientemente simpatici e in grado di caratterizzare a dovere gli strampalati personaggi cui sono stati chiamati a dare vita (e morte). Siamo insomma dalle parti dei film di 007, quanto a verosimiglianza (ossia meno di zero) ma con l'esimente che qui regista e sceneggiatore(Zak Olkewicz, che ha adattato l'omonimo romanzo del giapponese Kōtarō Isaka, internazionalizzandone i personaggi) non si prendono sul serio, e già solo per questo sono ampiamente perdonati. Protagonista principale è Brad Pitt nei panni di Ladybug, ossia Coccinella, che viene incaricato dalla fantomatica agenzia per cui lavora di sostituire una collega per rubare una misteriosa valigetta durante un viaggio notturno da Tokyo e Kyoto sul celebre Shinkanzen, il treno ultraveloce dello "proiettile". Ladybug, agente segreto sui generis non si ritiene un assassino o un malvivente ma vittima delle situazioni e della sfortuna, e cerca di riconciliarsi con sé stesso tramite psicanalisi e meditazione zen: durante l'operazione viene "teleguidato" via auricolare da Maria Beetle (Sandra Bullock, che appare in un breve cameo alla fine della pellicola): rimaniamo in tema di insetti esapodi, ma non è per nulla semplice riuscire nell'impresa perché si tratta di sottrarla a due strani gemelli, Lemon e Tangerine, uno nero e l'altro bianco, killer di professione, che devono consegnarla a Morte Bianca, un mafioso russo che si è impossessato di un ramo della yakuza, assieme al figlio di quest'ultimo, che nel frattempo è diventato cadavere. Non sono i soli a essere interessati alla valigetta, ma anche altri personaggi, tutti in vena di omicidio che, si scoprirà, non si trovano casualmente sul Bullet Train; Prince, una ragazzina apparentemente indifesa ma in realtà diabolica e in grado di elaborare strategie micidiali e che tiene sotto ricatto Kimura facendolo lavorare per lei; Wolf, un sicario messicano assetato di vendetta e Hornet, che uccide per mezzo di serpenti velenosissimi, infine il padre di Kimura, detto Il Vecchio, che sale sullo Shinkanzen nell'ultimo tratto, per lo scontro finale con Morte Bianca al fine di riappropriarsi della fazione yakuza. In realtà è tutto completamente sconclusionato e non ha nemmeno senso cercare di dipanare la matassa e rimetterla insieme in qualche modo: la vicenda, per come è raccontata, è solo un pretesto per l'azione, i giochi d'artificio e, soprattutto l'irrefrenabile parlarsi addosso a suon di battute, più o meno felici, ma il risultato, per quanto il film sia idiota, è paradossalmente gradevole e due ore e rotti trascorrono in un attimo e alla fine il senso è proprio questo. Considerando quel che viene proposto in sala, è già qualcosa: almeno uno evita di darsi una martellata sullo scroto da solo.

venerdì 2 settembre 2022

Giorni d'estate

"Giorni d'estate" (Summerland) di Jessica Swale. Con Gemma Arterton, Lucas Bond, Gugu Mbatha-Raw, Penelope Wilton, Tom Courtenay, Siân Phillips, Amanda Root, David Horovitch, Martina Laird e altri. GB 2020 ★★+

Se non fosse avvilente, la caparbietà con cui i distributori nostrani stravolgono sistematicamente il significato dei titoli originali nel tentativo di renderli in italiano potrebbe perfino essere ammirevole: li muove una fantasia perversa che ignora completamente il contenuto della pellicola. In questo caso per Summerland, ossia "Terra dell'estate", si intende lo spazio dove, secondo gli spiritualisti e i seguaci del neo paganesimo, finisce l'anima dopo la morte: più che un  paradiso eterno, un luogo di purificazione, in vista della sua reincarnazione. Ed  è dell'esoterismo e delle origini di miti e leggende, le quali pure devono avere un qualche fondo di verità, che si occupa con rigore scientifico e abnegazione Alice Lamb, una giovane, autorevole e appassionata studiosa che conduce una vita solitaria in un cottage appena fuori da un paesino rurale del Kent che si affaccia sulle scogliere di Dover: anticonformista (fuma e indossa soltanto pantaloni e, naturalmente, non è sposata), autosufficiente, sociopatica, irascibile con i ragazzini che le ronzano attorno turbando la tranquillità che le serve per lavorare, se ne frega del fatto che sia malvista dalla comunità locale che la fa passare per pazza, una sorta di strega quando non una spia nazista sotto traccia. Siccome siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, coi tedeschi che bombardano quotidianamente Londra, dalla capitale giunge, tra gli sfollati, Frank, un bambino figlio di un aviatore della RAF, che le viene affidato contro la sua volontà e, secondo Alice, per un errore. Ma, si sa, in tempi di conflitto ognuno deve fare la sua parte "per il bene superiore della Patria" e, in attesa che venga trovata un'altra famiglia disponibile, le tocca abbozzare. Come la convivenza tra la "strana coppia" si sviluppi e il rapporto della giovane e indipendente donna e del ragazzino si evolva, e maturi nel vero senso della parola, per la gentilezza e intelligenza del ragazzo, erodendo le difese di lei e al contempo facendo crescere Frank attraverso gli stimoli, veri insegnamenti non dogmatici da parte di Alice, è la parte migliore del film, che raggiunge il suo culmine quando lei "confessa" di avere avuto un amore, sì, ma con una donna, e il suo giovane ospite si dimostra di essere perfettamente in grado di capirlo e accettarlo come normale (per l'epoca, decisamente sorprendente...). Fin qui tutto bene, dopodiché ci si avvita: come era prevedibile il padre di Frank rimane vittima dell'affondamento della portaerei sulla quale era di stanza, Alice non trova il modo di dare la notizia al ragazzo per non rovinargli il compleanno, la trama precipita vieppiù nel melenso e dal passato riemergono fantasmi nella forma del vecchio amore di Alice. Flash-back all'inizio, flash-forward alla fine, e ci ritroviamo alla fine degli anni Settanta a rievocare il passato, tutti insieme appassionatamente, tre dei personaggi del film opportunamente invecchiati. Al di là di alcune cadute a vortice in un "politicamente corretto" (in senso revisionista e ipocrita, soprattutto da un punto di vista etnico) francamente eccessive quanto forzate, la trama si complica nella seconda metà del film diventando del tutto implausibile, e i crediti della prima parte si esauriscono inesorabilmente, nonostante l'ottima prestazione dei due interpreti principali, Gemma Artetron, che non è una novità, e il giovane Lucas Bond, oltre alla sempre brava Gugu Mbatha-Raw, nonché alcuni noti caratteristi britannici di spessore come Penelope Wilton e Tom Courtenay. La pazienza ha un limite, e alla fine la delusione ha il sopravvento. Peccato. Perché da un film britannico ci si aspetta di più, non solo che sia recitato e girato bene, almeno io.