venerdì 31 marzo 2023

Empire of Light

"Empire of Light" di Sam Mendes. Con Olivia Colman, Michael Ward (II), Colin Firth, Toby Jones, Tania Moodie, Crystal Clarke, Tom Brooke, Hannah Onslow, Monica Dolan, Ron Cooke e altri. GB, USA 2022 ★★★★

Siccome non sono il critico di professione, nel senso che non mi pagano per farlo e che in questo spazio posso parlare di quel che ho visto come mi pare, a differenza dell'orientamento prevalente dei recensori più o meno prezzolati ho molto apprezzato questo ultimo film di Sam Mendes che, raccontando di cinema, e di un cinema in particolare, in senso fisico, l'Empire, situato in un imponente edificio risalente agli anni Trenta, che tenta invano di far rivivere i fasti del passato, va controcorrente pure lui, non mettendo al centro se stesso e la sua vocazione registica come ha invece preferito fare nel suo parossismo solipsistico il suo collega americano Steven Spielberg con The Fabelmans, trattando con molto pudore e discrezione i riferimenti autobiografici che pure sono presenti. Siamo a Margate, nel Kent, sulla costa Sud Occidentale dell'Inghilterra, tra il 1980 e il 1981, all'inizio dell'era thatcheriana che avrebbe cambiato la faccia del Paese, va da sé in peggio, svendendolo e demolendo le ultime tracce di una convivenza fondata sulla solidarietà: il maestoso e lussuoso cinema Empire è già stato costretto a chiudere due sale su quattro e il suo direttore, Mr. Ellis (Colin Firth, i cui camei sempre preziosi), tira a campare cercando di confezionare qualche evento che possa rilanciarlo, per esempio organizzando delle "prime" di film di richiamo alla presenza dei politici e della crème locale; ma a tenere in piedi la baracca è Hilary, una donna di mezza età cui dà corpo una Olivia Colman con un'interpretazione irreprensibile e di rara intensità, che si è appena ripresa da un pesante esaurimento nervoso e sempre sull'orlo di una ricaduta, la quale dirige il personale con attenzione e competenza. Tira aria nuova quando a fare parte dello staff arriva Stephen (Michael Ward, in un ruolo meno arduo ma non banale), un giovane di colore la cui famiglia è originaria di Trinidad, e che vive con la madre infermiera: vorrebbe studiare architettura e andarsene dalla cittadina di provincia, ma il razzismo che prende sempre più piede proprio in quell'epoca non è d'aiuto, e intanto si guadagna da vivere lavorando all'Empire. Il film si impernia sulla relazione che nasce tra lui e Hilary, che al di là dell'attrazione fisica si fonda su un affetto e una comprensione profonda, a differenza dei quella umiliante che la donna aveva in corso, clandestinamente, col suo principale, basata su ipocrisia, sesso e sudditanza psicologica. Ma non è solo la storia di un amore che il film, girato magnificamente, con una fotografia potente, racconta, ma anche e soprattutto un'epoca e un'atmosfera; il rapporto tra i componenti di questa sorta di famiglia cinematografica capitata lì da percorsi diversi, che non vengono esplicitati ma si possono intuire, personaggi ben caratterizzati e tra i quali spicca il proiezionista, interpretato dal par suo da Toby Jones, a cui bastano poche battute per pennellare un tipo indimenticabile; certo, c'è anche l'elogio della "settima arte", l'amore ddi Sam Mendes, visto metaforicamente come un rifugio, o una via di fuga da un mondo reale sempre più nefando e imbarbarito: disumanizzato. Gran bel film, elegante, sensibile, intelligente e per niente scontato.

mercoledì 29 marzo 2023

Delta

"Delta" di Michele Vannucci. Con Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Greta Esposito, Emilia Scarpati, Denis Fasolo, Marius Bizau, Sergio Romano e altri. Italia 2022 ★★★★

Di Michele Vannucci mi ero perso il film d'esordio, Il più grande sogno, uscito nel 2016, ma mi riprometto di recuperarlo dopo aver visto Delta, il suo secondo lungometraggio, una sorta di western contemporaneo, come l'ha definito lui stesso, una storia di confine, e quindi di contrasti, dove il protagonista assoluto è il fiume, il delta appunto del Po, dove acqua e terra si confondono nel livido cielo invernale carico di umidità, un microcosmo del tutto particolare, che solo raramente si è visto sullo schermo (ricordo però Il risveglio del fiume segreto - In viaggio sul Po con Paolo Rumiz, del 2012). E' qui che si svolge la vicenda che si incentra sullo scontro fra due comunità: quella dei pescatori locali, che hanno dato vita a un'associazione ambientalista per la salvaguardia del fiume dall'inquinamento industriale, capeggiata da Osso (Lo Casio), una guardia fluviale volontaria che lavora alle chiuse, razionale, protettivo nei confronti della sorella Nina, e quella di un gruppo di bracconieri rumeni, che pesca di frodo utilizzando delle batterie per auto per fulminare i pesci attraverso scariche e rivenderli a prezzo stracciato sul mercato ittico locale: a loro volte provengono dal delta del Danubio, da dove sono stati scacciati per la loro attività e sono capeggiati da Elia (Borghi), un misterioso uomo nato in Italia ma che in Romania  ha trovato la sua famiglia adottiva, portandola qui. Agiscono di nascosto e cominciano a circolare voci sull'apparizione improvvisa di fantasmi, ma i locali non tardano a scoprirli e a stanarli. Gli "intrusi" sarebbero anche disposti ad andarsene, ma solo dopo essere stati pagati da chi dirige il traffico e non vuole nemmeno pagare la miseria di quanto concordato: il gestore del bar della zona, nonché sede dell'associazione, che rimane ucciso mentre Elia va a reclamare il dovuto e che agisce per legittima difesa sua e della ragazza che lavora nel locale (e che è lpex compagna di Osso). Da lì comincia una spettacolare caccia all'uomo nei meandri del delta che vede protagonista tutta la popolazione locale, tra i più arrabbiati c'è proprio Nina, nonché le forze di polizia, di cui non è il caso di svelare i dettagli; sempre per rimanere nel film di genere (siamo nel territorio del western trasposto nell'Italia di oggi, con incursioni nel territorio film d'azione, del noir e del dramma, come nella migliore tradizione di Groenlandia, la casa di produzione fondata da Matteo Rovere e Sydney Sibilia a cui si deve il film), la situazione non può che degenerare, ci saranno altri morti, la caccia prosegue giorni per giorni e giorni e il braccato ormai è regredito a uno stato pressoché animalesco, e secondo i canoni alla fine i due protagonisti, o contendenti, si fronteggiano nel duello finale, la resa dei conti dopo un viaggio di entrambi che è sia fisico, lungo i misteriosi canali del delta, sia personale, in cui hanno scoperto, specie Osso, delle parti della propria personalità  che ignoravano, o non erano venuta a galla. Lo Cascio e Borghi non si discutono, anche se nel caso di quest'ultimo, che ha pochi rivali ad esprimersi anche unicamente attraverso la fisicità, sarebbe il caso di affidargli anche ruoli che non finiscano per farne uno stereotipo. La fotografia è superba, il racconto coinvolgente, teso, fluido; qualche appunto è stato fatto sulla sceneggiatura, specie sul fatto che il retroterra dei personaggi non sia stato sufficientemente approfondito ma non concordo: ce lo si può tranquillamente immaginare, se si desidera, perché gli elementi di base per farlo ci sono tutti, evitando "spiegoni" fuori luogo che nulla hanno a che fare con lo scopo del film, che è quello di raccontare due comunità che si incontrano e scontrano, impersonificate dai due antagonisti, in un luogo tanto misterioso quanto suggestivo, dove accadono fatti che sfuggono al controllo, anche se si possono ricondurre all'eterna guerra tra poveri che finisce inevitabilmente in tragedia. 

domenica 26 marzo 2023

As bestas

"As bestas" di Rodrigo Sorogoyen. Con Denis Ménochet, Marina Foïs, Luis Zahera, Diego Anido, Machi Salgado, Gonzalo Carcía, José Manuel Fernández y Blanco, David Menéndez, Marie Colomb, Luisa Merelas e altri. Spagna, Francia 2022 ★★★★

Siamo in un villaggio rurale del Bierzo, in Galizia, dove Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Foïs) si sono trasferiti per scelta di vita: dedicarsi a un'agricoltura sostenibile e ristrutturare alcuni rustici disabitati al fine di sviluppare il turismo sul territorio e ripopolare il paese. Coerenti col loro zelo ecologico, si sono rifiutati di firmare a favore dell'installazione di ulteriori pale eoliche nella zona, entrando così in dissidio con la comunità locale, soprattutto con due fratelli, Xan e Loren, che abitano nel podere confinante. Inizialmente il contrasto si esprime attraverso battute e prese in giro all'osteria del paese, dove Antoine viene canzonato per non essere in grado di capire né la lingua locale (il galiziano sta allo spagnolo quanto il friulano all'italiano e per un francese suona del tutto incomprensibile) e per essere, per l'appunto, uno straniero, per di più erudito (è un ex insegnante, la moglie ha sempre un libro per le mani) e non "puzzare di merda" come gli indigeni, che a malapena sono usciti dalla valle in cui abitano da sempre. Dai luoghi comuni che affondano nella storia spesso contrastata tra i due Paesi si passa pian piano allo scontro tra due mentalità, e a un crescente rancore soprattutto da parte di chi sente di essere da sempre penalizzato, defraudato nei propri diritti e ora incompreso e ostacolato nel momento possibilità di esprimere la propria scelta per un destino diverso: il danaro che arriverebbe dalla concessione dei permessi, per i locali e, soprattutto, per i due fratelli, significa finalmente qualcosa di concreto nelle tasche per imaginare un futuro diverso altrove, fosse soltanto a Ourense, il capoluogo della provincia, dove trasferirsi per comprare un taxi e alternarsi nella sua guida. Insomma la possibilità di una scelta, cosa che la coppia francese ha avuto, decidendo di vivere lì. La divergenza tra due visioni dell'esistenza ricorda da vicino Il vento fa il suo giro, memorabile film di Giorgio Diritti uscito nel 2005 che si svolgeva nelle valli occitane del Cuneese, ma la tematica ecologica e le tensioni che innesta anche il recente e notevole Alcarràs, vincitore della Berlinale dello scorso anno, e il crescendo della tensione, per alcuni versi, Cane di paglia di Sam Peckinpah, senza però mai arrivare all'esplosione della violenza. Che c'è, latente, ma non si vede, nemmeno quando, dopo una serie di minacce, mai del tutto esplicite, tentativi di spiegarsi, ripicche, richieste di intervento da parte della Guardia Civíl, che si guarda bene dall'intercedere in favore dei due foresti, i due fratelli affondano il colpo e Antoine sparisce. A questo punto il film viene "affidato" alle mani di Olga che, rimasta sola, si ostina nella ricerca del corpo di Antoine, e a continuare la vita dove e come aveva scelto assieme al marito, anche quando la figlia Marie farà di tutto per dissuaderla: la scena della loro discussione in cucina, quando la ragazza mette in dubbio la sanità mentale della madre, è memorabile almeno quanto quella dell'osteria quando Antoine cerca di far ragionare Xan, il maggiore dei due fratelli, uno scontro dialettico che fa riflettere. Oltre alla "carne al fuoco" dei temi non da poco tirati in ballo, dall'ambientalismo di chi può permetterselo all'adeguamento a un'illusorio progresso da parte di chi però ha sempre subito le scelte degli altri e vuole rifarsi, ma anche alle relazioni famigliari, interpersonali e allo scontro generazionale, il grande merito del regista e sceneggiatore (in collaborazione con Isabel Peña) è di essere stato capace di mantenere tutto l'impianto sotto controllo senza mai cadere nella tentazione di premere il piede sull'acceleratore: se la violenza rimane latente e si percepisce dalla costante sensazione di pericolo, si dà modo allo spettatore di entrare nelle dinamiche tra i personaggi, capirne le ragioni e i sentimenti più profondi, riflettere su quanto sta accadendo; senz'altro all'ottimo risultato contribuiscono la felice scelta degli interpreti e un fotografia all'altezza. 

giovedì 23 marzo 2023

La frontiera

"La frontiera" di Franco Giraldi. Con Marco Leonardi, Raoul Bova, Omero Antonutti, Giancarlo Giannini, Clauda Pandolfi, Vesna Tominac, Roberto Totola e altri. Italia 1996

"Raccontare la frontiera" è il titolo dell'omaggio che il Friuli Venezia Giulia ha voluto rendere, nei suoi quattro capoluoghi, a Franco Giraldi, nato a Comeno (Komen), sul Carso, nel 1931 da due maestri: la madre slovena di Trieste e il padre italiano d'Istria, uomo che il confine se lo portava dentro come tanti in questa regione, e quindi con uno sguardo ben diverso sulle vicende del passato dai "mai morti", arrivati da queste parti a rendere italiane e "irredente" (a posteriori) terre che da sempre vedono la convivenza di culture diverse (mi rifiuto di chiamarle etnie in un luogo dove da sempre trionfa il bastardo di razza: non a caso a Trieste la gioventù è chiamata "muleria") e che ancora fomentano odi e incomprensioni che non hanno alcun senso se non quello di riscrivere la storia a proprio uso e consumo. L'omaggio al regista, scomparso tre anni fa, ha visto le proiezioni di La rosa rossa, del 1973, tratto dall'omonimo romanzo di Pier Antonio Quarantotto Gambini, e Un anno di scuola, del 1977, da un racconto di Giani Stuparich, entrambi prodotti a suo tempo dalla RAI, il secondo trasmesso sul piccolo schermo come miniserie; e si è chiuso con La frontiera, che dopo vent'anni di silenzio aveva chiuso il cerchio su un tema, le vicende del Nord-Est adriatico, che il cinema italiano ha sempre accuratamente evitato: per quanto se ne faccia un ampio uso politico manicheo e ipocrita, anche la vicenda delle foibe alla fine della Seconda Guerra Mondiale e quella dell'esodo degli istriano-dalmanti solo di rado sono state affrontate, e sempre con un'ottica di parte. Ben venga, quindi la riproposizione di questo film che la frontiera la affronta di diversi punti di vista attraverso la storia parallela di due militari nati sulla stessa isola dalmata a vent'anni di distanza che si interseca nel racconto e il cui punto di raccordo è un uomo, Simone (il grande Omero Antonutti) che alla domanda a chi sentisse di appartenere rispondeva di essere sempre lo stesso, cittadino, durante la sua vita, di tre nazioni diverse (l'impero Austro-Ungarico, il regno di Jugolavia e l'Italia fascista). Il primo era Emidio Orlich (un giovane Raoul Bova), tenente dell'esercito austroungarico, italofono nonostante il cognome, entrato in crisi dopo aver conosciuto un suo sottoposto sloveno successivamente condannato a morte per tradimento, e come tanti altri trentini, friulani, istriani e dalmati, da un lato visti sospetti dai loro compagni d'arme e dall'altro dimenticati ancor oggi o considerati a loro volta come una sorta di traditori a posteriori, costretti a combattere "dalla parte sbagliata" altri italiani, dimenticando che per secoli erano appartenuti a una patria multietnica in cui il parlare diverse lingue e professare religioni diverse era visto comune una ricchezza. Orlich, che era parente di Simone, era nato sulla stessa isola dove sarebbe nato, cittadino italiano e anche lui italofono, Franco Velich, anche lui tenente dell'esercito, stavolta italiano, che sull'isola torna da convalescente dopo essere stato ferito in Cirenaica e vi ritrova, appunto, Simone e i militari italiani, nonché i miliziani fascisti (tra cui Gabriella, Claudia Pandolfi), che i locali, i quali si sentono innanzitutto dalmati, considerano niente più che degli occupanti. Franco e Simone ricostruiscono la triste vicenda di Emidio attraverso le carte che la famiglia aveva ricevuto dal suo fedele attendente (trentino) dopo la sua morte, e i medesimi dubbi sul senso dell'"appartenenza" non possono che assalire anche Franco Velich, giovane intelligente e sensibile, a cui viene ripetutamente rivolta, dai nuovi rappresentanti dello Stato di turno, la medesima domanda posta a Orlich e a Simone: cosa sei? Italiano, croato, sloveno? Cambiano le uniformi, la lingua ufficiale, le leggi ma non la stupidità e l'arroganza di chi esercita l'Autorità nonché la necessità di etichettare le persone e definire i parametri di chi è "dei nostri" e chi invece considerato una minaccia per il potere o un nemico interno, e oggi come ieri, la musica non cambia. Con la differenza che, sotto Cecco Beppe, la fedeltà era dovuta soltanto all'imperatore, e per il resto ogni "suddito" era libero di essere quello che voleva e la patria un concetto più ampio e dignitoso, sotto tutti i punti di vista. Un film prezioso, bella iniziativa. 

lunedì 20 marzo 2023

Per niente al mondo

"Per niente al mondo" di Ciro D'Emilio. Con Guido Caprino, Boris Isaković, Irene Casagrande, Antonio Zavatteri, Diego Ribon, Antonella Attili, Josafat Vagni e altri. Italia 2022 ★★★-

Al suo secondo lungometraggio dopo l'esordio, quattro anni fa, con il promettente Un giorno all'improvviso, il regista campano si conferma disinvolto nell'uso della macchina da presa come nell'articolazione del racconto, in cui si intersecano diversi piani temporali, di una vicenda ispirata, con molta libertà, a fatti realmente accaduti, oltre che nella descrizione assai credibile di un particolare ambiente di provincia, ma difetta su lato della sceneggiatura, curata dallo stesso D'Emilio in collaborazione con Cosimo Calamini, a tratti resa zoppicante dalla scarsa verosimiglianza di alcune situazioni e per il mancato approfondimento di alcuni aspetti. Detto ciò, il risultato è discreto, grazie soprattutto alla convincente prestazione degli interpreti, la cui scelta va sua volta a merito dell'autore. Siamo in una qualche cittadina nella Pedemontana veneta e Bernardo (Guido Caprino) è uno chef di successo e capace che ha in mente di trasformare il locale di sua proprietà per coronare il sogno della prima "stella": figlio di contadini, è uno che "si è fatto da solo" e conquistato una reputazione così come i due amici di sempre che continua a frequentare: Stefano, imprenditore ed ex calciatore di Serie A e soprattutto Sergio, suo compagno dall'infanzia, che è anche il suo "navigatore" nei rally, altra passione coltivata dal Nostro. Insomma tre ex poaréti che ce l'hanno fatta a inserirsi nell'ambiente "bene" della scialba cittadina in cui vivono e si godono il raggiunto benessere, ma da un giorno con l'altro le prospettive cambiano e i sogni di Bernardo, nonché il suo mondo, svaniscono di colpo perché viene arrestato con l'accusa di essere la mentre di una banda di rapinatori che ha preso di mira le villette della zona, svuotandole, e questo perché nella banda è coinvolto un suo cugino. L'impatto col carcere è durissimo e l'incubo in cui è precipitato senza potersene fare una ragione dura un intero anno finché non viene scagionato. Nel frattempo, il rapporto con Elia, un serbo dal passato complicato suo compagno di cella (l'ottimo Boris Isaković) è quello che lo salva psicologicamente, e continuerà anche dopo l'uscita dal carcere di entrambi, perché se anche dichiarato del tutto estraneo alle accuse con una sentenza, nulla sarà come prima: non solo il suo locale non c'è più ma, soprattutto, su di lui graverà sempre l'ombra del sospetto; Stefano non riuscirà nemmeno a parlargli e Sergio, nel frattempo diventato sindaco, anche se solidarizza con lui almeno a parole non sarà in grado di dargli l'aiuto, anche economico, di cui ha bisogno per riemergere e avere la speranza di tornare alla vita a cui era abituato. Cosa sarà disposto a fare nel tentativo di recuperarla, dato che non è possibile attraverso il lavoro di cuoco in una trattoria di second'ordine che è l'unica cosa che è riuscito a rimediare? In più, c'è il rapporto con la figlia Giuditta (Irene Casagrande) da cercare di salvare senza rovinarle la giovinezza. E invece si avvia un percorso di nemesi negativa che non è il caso di illustrare oltre. Quello che funziona, oltre ad alcuni colpi di scena non da poco, sono soprattutto la descrizione di un certo ambiente e l'interazione fra gli interpreti, in particolare quella fra Caprino e Isaković da un lato e i due amici storici, soprattutto Sergio (Diego Ribon) dall'altro. Se migliora nella scrittura e rivede le scelte per quanto riguarda la sceneggiatura, non c'è dubbio che D'Emilio è in grado di fare di meglio e prendersi non poche soddisfazioni. 

venerdì 17 marzo 2023

L'ultima notte di Amore

"L'ultima notte di Amore" di Andrea Di Stefano. Con Pierfrancesco Favino, Linda Caridi, Antonio Gerardi, Francesco Di Leva, Katia Mironova, Mauro Negri, Fabrizio Rocchi, Wang Fei, Shi Yang Shi, Camilla Semino Favro, Xu Ruichi, Pang Bo e altri. Italia 2023 ★★★★+

Un graditissimo ritorno quello di Andrea Di Stefano, alla terza regia dopo Escobar, film d'esordio, e The Informer, ma anche autore di Bang Bang Baby, una potentissima serie TV italiana di cui mi riservo di parlare in una prossima occasione, che qui si cimenta in un poliziesco a tutto tondo, merce rarissima dalle nostre parti. Già l'inizio è spettacolare e ansiogeno: sotto una musica incalzante, un drone riprende dall'alto la Milano notturna in un volo circolare che termina con una planata sulla Stazione Centrale per inquadrare un uomo in tuta che termina la sua corsa fermandosi a parlare con qualcuno che ha fermato la macchina e volge lo sguardo verso la finestra dell'appartamento dove abita: è Franco Amore (Favino), un poliziotto ligio al dovere che è all'ultimo giorno di lavoro dopo 35 anni al servizio dello Stato, e la moglie Viviana ha organizzato una festa di addio a sorpresa in vista della sospirata pensione: quando entra in casa, per poco non gli viene un colpo, imbarazzato si aggira tra colleghi e amici, si collega in video con la figlia di primo letto che studia in Inghilterra, finché non giunge la chiamata del suo superiore, il commissario Sarno, che lo convoca d'urgenza sulla tangenziale dove è avvenuta una mattanza: in una violenta sparatoria ci hanno lasciato la pelle il suo abituale compagno Dino, due carabinieri e due cinesi di cui uno non identificabile, perché arso vivo. 5 morti: una strage. Prima di recarsi sul luogo (in realtà tornarvi) il film, che ha un andamento circolare, ripercorre i 10 giorni precedenti, che vedono Amore alle prese con la redazione del discorso di addio, e ai preparativi per un futuro, magari nel campo della security, il lavoro di atrtualità in una città come Milano, che pullula dei traffici più vari, tra cui quello di pietre preziose di cui si occupa Cosimo (Gerardi), un cugino della moglie Viviana (sono calabresi con legami con una qualche famiglia di "mammasantissima" salita al Nord) che gli propone, per cominciare, l'assistenza a un trasporto "in regola" per conto dei cinesi dall'aeroporto di Linate a Via Paolo Sarpi, ossia la storica China Town. Franco nicchia, perché questo "straordinario extra orario" è previsto proprio in coda all'ultima giornata di servizio, alla fine accetta perché Cosimo gli garantisce che è una cosa sicura e glielo assicura anche il committente, un anziano e potente cinese che lo considera un eroe per avergli salvato la vita in un'occasione in passato, e ci sta anche Dino, ma le cose non andranno come previsto... Ovviamente non ha senso inoltrarsi di più nella trama, ma il ritmo è implacabile, un accumularsi di colpi di scena sorprendenti e parossistici ma alla fine anche verosimili, perché l'autore mostra di conoscere molto bene sia i meccanismi (e le frustrazioni) interni ai "corpi dello Stato" sia la realtà milanese, dove prima i cinesi hanno occupato gli spazi della malavita meneghina tradizionale che ora gli vengono contesi dalla nuova mafia infiltrata ovunque, a cominciare dal mondo della finanza a quello della politica, che domina incontrastata non solo la "Milano da Bere" e la regione di cui è capoluogo ma anche le regioni limitrofe: la 'ndranhgeta calabrese. L'unico appunto che mi sento di fare è l'opportunità di inserire i sottotitoli: spesso le frasi sono sussurrate ma soprattutto la parlata calabrese è pressoché incomprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani, mentre lo è del tutto l'italiano parlato dai cinesi, la cui comunità risiede a Milano da più di un secolo, perfettamente integrata per quanto "chiusa", e che ha dato un contributo sostanziale alla realizzazione di questa trascinante pellicola. Complimenti. 

martedì 14 marzo 2023

Un uomo felice

"Un uomo felice" (Un homme hereaux) di Tristan Séguéla. Con Fabrice Luchini, Catherine Frot, Philippe Katerine, Victor Artus Solaro, Camille Le Gall, Grégoire Bonnet, Agnès Hurstel, Bastien Ughetto, Laëtitia Eïdo, Paul Mirabel e altri. Francia 2023 ★★★ 

Come giustamente sostiene il mio guru cinematografico Gianmatteo Pellizzari, a-critico per definizione, da una commedia leggera ci si attende leggerezza. Che è il contrario di complessità. Ci sono giornate in cui non si ha voglia di cercare in un film gravose riflessioni sulle cause e i rimedi dei mali del mondo ma di distrarsi e ricavare qualche momento di serenità e buonumore. Un uomo felice è esattamente quel che serve allo scopo. Confezionato con la lievità e l'ironia proprie della migliore tradizione francese, non vuol essere nulla di più che un'occasione per sorridere su un argomento serio, l'identità di genere, che può essere affrontato anche divertendosi, vedendone gli aspetti paradossali, specie quando viene a intrecciarsi con il ruolo di genere. Che saltano all'occhio trattandosi del "coming out" di Edith, la moglie di Jean Leroy (Fabrice Luchini, come sempre vale da solo il biglietto), sindaco di una cittadina del tradizionalista Pas de Calais, madre di tre figli, che comunica la decisione di entrare in fase di transizione per diventare quello che si è sempre sentita: un uomo. Lo fa proprio nel momento in cui il marito decide di candidarsi per il terzo mandato a capo di una lista che si chiama, non a caso, "Avanti come prima", ossia l'immobilismo più assoluto. Conservatore, opportunista, baciapile all'occorrenza, dapprima non la prende sul serio, ma deve ricredersi quando se la trova in casa vestita da uomo e con un primo accenno di baffi cresciuti grazie all'assunzione di testosterone ché, in segreto, ricorre a un medico che la guida nel tragitto oltre a frequentare un gruppo di appoggio e confidare i suoi problemi a un amico omosessuale. Edith/Edi, (Catherine Frot) promette a Jean di non metterlo in imbarazzo durante la campagna elettorale ma inevitabilmente qualcosa andrà storto, specialmente quando tra un brindisi e un altro si alza la gradazione alcolica e gli avversari pubblicano sui "social" un video che vede il sindaco baciare un uomo... che si rivelerà sua moglie. Tra battute esilaranti, situazione grottesche, ritratti di gente di provincia stereotipati quanto si vuole ma estremamente realistici, tutto finirà bene, come deve in un film di questo tipo, ma non per il solito, malinteso buonismo e "politicamente corretto": con garbo, ce n'è per tutti i luoghi comuni e i benpensanti di ogni genere. In fondo, è un inno al buon senso degli individui e al lasciar vivere, sottintendendo che spesso le persone sono più ben disposte verso il prossimo e flessibili rispetto agli schemi in cui le si vuole irreggimentare e definire.  

sabato 11 marzo 2023

Mixed by Erry

"Mixed by Erry" di Sydney Sibilia. Con Luigi d'Oriano, Giuseppe Arena, Emanuele Palumbo, Fortunato Ricciardi, Cristiana Dell'Anna, Adriana Pantaleo, Chiara Celotto, Greta Esposito, Fabrizio Gifuni e altri. Italia 2023 ★★★★

Prosegue felicemente il filotto di film sopra la media di questo inizio 2023: Sydney Sibilia, che mi aveva un po' deluso con il suo ultimo Rose Island, anche qui si rifà a una storia vera, per quanto romanzata, già proposta in libro dalla musicologa Simona Frasca, qui anche nella veste di sceneggiatrice assieme ad Armando Festa e allo stesso regista che, essendo campano, si muove più a suo agio in una realtà che conosce meglio di quella romagnola. Protagonisti sono i fratelli Frattasio: Peppe, quello con lo spirito imprenditoriale, abitualmente contrabbandiere; Enrico, quello timido, che lavora in un negozietto di dischi e sogna di fare il DJ e Angelo, quello prestante, pronto, se necessario a menare le mani e "risolvere i problemi". Siamo a metà degli anni Ottanta e i tre, di età compresa fra i 18 e i 24 anni, vivono a Forcella e sono in qualche modo figli d'arte: nel tempo libero aiutano il padre a riempire di un intruglio prodotto in casa bottiglie di Jack Daniels che vende a prezzo d'occasione in un baracchino nei pressi di Napoli Centrale, in Piazza Garibaldi. E' Enrico al centro della vicenda perché, mentre non ha né il fisico né la la presenza per stare al mixer e scatenare la folla in pedana, la sua passione per la musica e un fiuto infallibili per generi e interpreti che avranno successo lo portano a preparare delle compilation per gli amici e i clienti più fedeli; da lì il passo successivo, quando il proprietario chiude l'attività per ritirarsi in pensione lasciandogli in eredità dischi e strumentazione di base, è riversarle su cassette e venderle. Visto il successo immediato, ottenuto "a strozzo" un prestito ragguardevole per acquistare apparecchiature per la duplicazione, l'attività si estende, l'affare diventa grosso, il prestito rientrato e la produzione cresce a livello industriale sotto l'etichetta Mixed da Erry e, di fatto, diventano la prima casa discografica italiana inondando il mercato prima napoletano, poi del Sud e quindi dell'intero Paese, capaci di mettere in vendita perfino le compilation del Festival di Sanremo quando questo è ancora in corso, fino a fare un contratto in esclusiva con una multinazionale con sede a Milano per la fornitura in esclusiva di cassette in numero da centinaia di migliaia. Il paradosso è che i primi pirati discografici in grande stile vengono copiati a loro volta, tanto che sono costretti a garantire le loro cassette come "falsi autentici". La loro attività, a tutta evidenza illegale, non sfugge alla Guardia di Finanza che però per un bel po' non ci si raccapezza, anche perché è organizzata scientificamente e avviene con la complicità e copertura della gente che abita il rione e perché impiega molte persone che erano occupate nel campo del contrabbando delle sigarette, andato nel frattempo in crisi e il film, per quanto metta in evidenza i lati divertenti e a tratti grotteschi della vicenda, non nasconde la contiguità con i traffici camorristici, anzi: siamo proprio nel periodo in cui raggiunge il massimo della ferocia la guerra delle "famiglie" vecchie e nuove; ma è anche la Napoli di Maradona, di Troisi e di Pino Daniele, quella creativa della musica e del teatro, la metropoli (a mio parere l'unica città italiana per cui  questa definizione sia calzante) contraddittoria dove succede tutto e il contrario di tutto e la realtà supera sistematicamente e di gran lungo la fantasia, una città di paradossi ma dalla fantasia, capacità di adattamento e vitalità e insopprimibili. Un capitano della Finanza, incattivito e roso dall'invidia, li prende di mira e li segue fino a Sanremo cercando invano di scoprire chi sia la "talpa" che fornisce ai Frattasio le registrazioni del Festival, ma verranno incastrati per altre irregolarità e per le soffiate del loro socio milanese (Gifuni, sempre un grande) in cambio di immunità. Gli altri interpreti, poco noti al grande pubblico, sono tutti perfetti nella parte, la pellicola girata con gran ritmo, ironia e i guizzi molto poco convenzionali che caratterizzano la migliore produzione di Sibilia, a cui l'immaginazione non manca, come anche la capacità di raccontare storie. Una commedia ben riuscita che al contempo è testimonianza grazie a un tuffo in un passato recente che è vivo ancora nella memoria di molti ma che, visto da oggi, sembra un'epoca remota, dove succedevano davvero cose che oggi non sarebbero neppure immaginabili, tanto si è impoverita la nostra esistenza binaria e digitalizzata.

mercoledì 8 marzo 2023

The Quiet Girl

"The Quiet Girl" (An Cailín Cíuin) di Colm Bairéad. Con Catherine Clinch, Carrie Crowley, Andrew Bennet, Michael Patrick Carmody, Cate Nic Chonaonaigh, Joan Heehy e altri. Irlanda 2022 ★★★★+

Un altro bel film in questo inizio dell'anno cinematografico tutt'altro che deludente: tra l'altro originalmente girato in gaelige, un contributo del regista, qui alla sua prima prova nel lungometraggio, affinché il gaelico irlandese non venga completamente sopraffatto dall'invasivo e dominante inglese, che gli orgogliosi isolani non possono che percepire come una sorta di colonizzazione culturale. Una storia semplice, raccontata con rispettoso garbo, che parla di quanto un ambiente sano e affettuoso sia fondamentale per fare emergere appieno le potenzialità di una persona che ha la sfortuna di nascere in una famiglia disfunzionale, dove dominano ignoranza, indifferenza e miseria mentale come di sentimenti, ma anche delle dinamiche tra genitori e figli, di sangue o putativi (o elettivi). E' questo il caso di Cáit, splendidamente interpretata da Catherine Clinch, una bambina di 9 anni, una figura destinata a rimanere nella memoria, la più piccola, e trascurata, delle figlie di una coppia di contadini impoveriti a causa dell'avventatezza e irresponsabilità del padre, uno scommettitore incallito, e con una madre inacidita alle prese con un bambino in fasce e un'ulteriore gravidanza. Siamo nell'Irlanda Sud Orientale e in questo contesto anaffettivo e dominato dallo squallore, Caít si difende col silenzio ed è vista come quella "diversa" sia dalle sorelle maggiori sia dai compagni di scuola: quando si presenta l'occasione di "rifilarla" per le vacanze estive dai Kinsella, una coppia senza figli che si è offerta di prendersene cura e conduce con tutt'alta accuratezza e competenza un'azienda agricola a tre ore di distanza, per i genitori è una liberazione ma per lei si apre un altro mondo. Eibhlín, che è una cugina di sua madre, è una donna dolce e comprensiva che, prendendosene amorevolemente cura senza melensaggine ma con rispetto, non forza Cáit a uscire dal suo naturale riserbo, ma la riempie di quelle attenzioni e di quell'affetto che nella famiglia d'origine non aveva mai conosciuto, tant'è che in breve tempo spariscono pure gli episodi di enuresi notturna per la quale la tormentavano denigrandola come piscialletto; ma è soprattutto l'evolversi del rapporto col marito di lei Seán, un uomo apparentemente burbero e di poche parole come lei, a essere la chiave di volta e l'aspetto più interessante e riuscito del film. I due imparano a comunicare con un codice proprio, costituito da fatti e piccoli dettagli concreti; attenzioni, insomma, ma soprattutto silenzi, e Seán saggiamente, le raccomanderà di farne tesoro perché, il più delle volte, il tacere è un valore, anche a costo, talvolta, di contravvenire a un'altra regola d'oro in una famiglia: quella di non avere segreti. Accettata dalla coppia per quello che è, presto Cáit accetterà anche se stessa, prendendo coscienza di tutte le sue doti, a cominciare da una intelligenza viva, libera; da una bellezza che si intravede in nuce e sul punto di sbocciare nonché da una notevole facilità di corsa che, con ampie falcate, le consentirà di prendere il volo verso una vita consapevole e piena. Attenzione ai particolari, una fotografia di alto livello, che non indugia sugli aspetti più scontati e cartolineschi della natura dell'Isola di Smeraldo, ne fanno un film sensibile ma non melodrammatico, tanto ben fatto quanto prezioso. 

lunedì 6 marzo 2023

Tutto in un giorno

"Tutto in un giorno" (En los márgenes) di Juan Diego Botto. Con Penélope Cruz, Luis Tosar, Christian Checa, Aixa Vilagrain, Font Garcia, Juan Diego Botto, Adelfa Calvo, Nur Al Levi, Javier Perduguero e altri. Spagna, Belgio 2022 ★★★★+

Un pugno nello stomaco ben assestato, e salutare. Lo piazza l'argentino Juan Diego Botto, attore al suo esordio come regista, coadiuvato da Penélope Cruz nella doppia veste di protagonista, in una interpretazione da ricordare, e produttrice. Il film affronta, attraverso una vicenda tristemente verosimile, il tema dei desahucios, ossia gli sfratti esecutivi, 41 mila l'anno, ovvero almeno 100 al giorno, che affliggono la Spagna da quando è scoppiata, anni fa, la crisi dei mutui: decine di migliaia di persone che si ritrovano letteralmente sulla strada da un giorno all'altro perché, trovatesi disoccupate, o quando va bene precarizzate, non sono in grado di pagarne i ratei, secondo la regola aurea (resa cogente a livello UE) che, per tenere in piedi un sistema economico completamente finanziarizzato, vanno innanzitutto salvate le banche, possibilmente col danaro (e gli averi) della loro clientela. Nell'arco di 24 ore che risulteranno decisive per il loro futuro si intrecciano tre storie esemplari di un gruppo di persone in una Madrid semiperiferica e invernale dei nostri giorni, il cui punto di raccordo è Rafa, l'ottimo Luis Tosar, un avvocato che si batte per i diritti degli emarginati con un impegno e un'ostinazione degna di un Don Chisciotte, al punto di trascurare, preso com'è, i sui rapporti famigliari (pagandone le conseguenze), a cominciare da quelli con la moglie Helena, funzionaria ai servizi sociali, in permesso di maternità perché incinta. La giornata inizia con Rafa che, portando una bombola di GPL nell'abitazione di Badia, una immigrata maghrebina sua assistita, viene a scoprire che Selma, la bimba di sei anni di quest'ultima, è stata prelevata dalla polizia e affidata ai servizi sociali: inizia così una corsa contro il tempo (e nei meandri della metropoli) per rintracciare la madre, che non si sa dove lavori; al contempo Azucena, (la Cruz), altra cliente di Rafa che impiegata in un supermercato, si arrabatta tra la scuola, dove deve portare e prelevare il figlio; la banca, dove discute di una proroga di pagamento; il comitato di lotta contro gli sgomberi: un inferno. Al contempo suo marito Manuel (lo stesso Juan Diego Botto), ridotto a fare il manovale a quattro euro all'ora, che è scettico sull'utilità dell'impegno della moglie e profondamente sfiduciato anche sulla solidarietà tra sconfitti, dispensa buoni consigli a Germán, un collega, come lui assunto a giornata in un cantiere (il caporalato è più fiorente che mai anche nelle città più glamour), un ex negoziante che non risponde alle chiamate dell'anziana madre che gli aveva fornito i mezzi per la sua attività perché vive nella vergogna del proprio fallimento e preferisce farle credere di essere introvabile all'estero. Insomma, uno spaccato di realtà che segue il ritmo adrenalinico del barcamenarsi dall'avvocato e di Azucena, serrato come quello di un thriller, dove le storie personali dei personaggi e le loro relazioni vengono solo abbozzate, ma quanto basta per farsene un'idea, altrimenti il film sarebbe dovuto durare almeno tre ore: a sufficienza per rendere l'idea quelle tra Azucena e Manuel; tra Germán e la madre Teodora; tra Rafa, la moglie Helena e il figlio adolescente di lei Raúl, che finirà di chiamarlo "padrastro" e imparerà ad apprezzarlo come padre: sarà l'unico esito positivo della giornata, assieme al ritorno della bimba Selma tra le braccia della madre, infatti il finale non è per nulla consolatorio, per quanto "aperto", così come non lo è la realtà che la pellicola descrive, anche se si sottolinea che non bisogna mai smettere di lottare. Il tributo a Ken Loach è ovvio quanto evidente, lo stile diverso, il risultato ugualmente convincente. Film politico, di impegno civile, e pure ben fatto. Bravi tutti, e grazie.

venerdì 3 marzo 2023

Holy Spider

"Holy Spider" di Ali Abbasi. Con Zahra Amir Ebrahimi, Mehdi Bajestani, Arash Ashtiani, Farounzan Jamshidnejad, Mesbah Taleb, Sina Parvaneh, Nima Akbarpour, Sara Fazilat, Ariane Naziri e altri. Francia, Germania, Svezia, Danimarca 2022 ★★★★1/2

Le notevoli qualità di Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato danese, erano già emerse nel sorprendente Border, suo secondo lungometraggio del 2018, mentre quello d'esordio, Shelley, del 2016, non mi risulta essere uscito in Italia: peccato. Con questa sua terza fatica, torna a parlare del suo Paese d'origine rifacendosi a una vicenda che aveva destato scalpore all'inizio del nuovo secolo: l'uccisione di 16 prostitute a Mashhad, seconda città iraniana e meta di pellegrinaggio degli sciiti di tutto il mondo, da parte Saeed Hanaei, un serial killer chiamato il Ragno (da cui il titolo del film), che si era dato il compito di ripulire la città santa dalla corruzione impersonata da quelle povere donne, per la maggior parte disperate tossicodipendenti: Mashhad è situata nel Nord Est dell'Iran e vi è fiorente il traffico di oppio proveniente dal vicino Afghanistan così come la prostituzione che vi è collegata, benché le autorità tendano ad occultare la realtà. Rahimi, una giornalista che proviene da Teheran, vuole vederci chiaro e le pare subito evidente che la polizia non faccia molto per dare la caccia a quello che la stampa ha già definito il Ragno Santo, e pure il collega residente in città che la dovrebbe aiutare nell'inchiesta è molto titubante e pieno di timori e restìo a pestare piedi "sensibili". Rahimi però ha la testa dura e, protetta da quel velo che pure detesta indossare, penetra nei quartieri miseri della città per sondare l'ambiente e parlare con le colleghe delle vittime, scoprendo in fretta che l'assassino è un tale che gira in moto, anzi: pattuglia quotidianamente l'area dove le ragazze svolgono la loro attività, per attirarle poi a casa sua (mentre la famiglia è assente, magari in moschea o in visita dai scuoceri) e ucciderle seguendo sempre lo stesso rituale, strangolandole col velo e avvolgendo i corpi nel loro stesso chador per poi abbandonarli sempre in un terreno pubblico, ben visibili, poco lontano dalla sua abitazione. Un thriller in piena regola, insomma, ma anche film d'inchiesta, ma sono dolo due degli aspetti di Holy Spider, che si avvale delle magistrali interpretazioni di Zahra Amir Ebrahimi e Mehdi Bajestan e diventa un film politico da un lato e che racconta le ambiguità e ipocrisie della società iraniana dall'altro. La prima nella parte di Rahimi, una reporter di razza che, nel giornale in cui lavorava, ha avuto problemi di stalking simili a quelli che l'attrice stessa aveva subito prima di trasferirsi in Francia; e il secondo nella difficile parte di un muratore sposato e con figli, uomo devoto e già per 8 anni volontario nella guerra tra Iran e Irak, da cui è tornato con ulteriori, evidenti problemi psichici che nessuno ha voluto vedere e prendere sul serio. Uomo contraddittorio, a tratti sfuggente, ma lucido nella sua follia e che una volta catturato (grazie proprio a Rahimi, che ci ha rischiato la pelle) rivendica la sua azione di "risanamento" anche durante il processo ed è molto più coerente delle stesse autorità religiose e giudiziarie che nascondono la polvere sotto il tappeto e in fondo approvano il suo operato, così come buona parte dei suoi misogini concittadini e la sua stessa famiglia, a cominciare dalla moglie. Verrà impiccato, anche se c'era chi lavorava alacremente dietro le quinte per risparmiargli la vita, ma sarà suo figlio adolescente, diventato una sorta di youtuber ante-litteram, a testimonianza delle imprese del padre, in un video memorabile quanto agghiacciante, ad assicurare che qualcuno ne continuerà l'opera: ci avrà visto giusto, considerato quel che accade in Iran dopo l'omicidio di Masha Amini nel settembre scorso. Da non mancare, se ne avete l'occasione.