giovedì 23 marzo 2023

La frontiera

"La frontiera" di Franco Giraldi. Con Marco Leonardi, Raoul Bova, Omero Antonutti, Giancarlo Giannini, Clauda Pandolfi, Vesna Tominac, Roberto Totola e altri. Italia 1996

"Raccontare la frontiera" è il titolo dell'omaggio che il Friuli Venezia Giulia ha voluto rendere, nei suoi quattro capoluoghi, a Franco Giraldi, nato a Comeno (Komen), sul Carso, nel 1931 da due maestri: la madre slovena di Trieste e il padre italiano d'Istria, uomo che il confine se lo portava dentro come tanti in questa regione, e quindi con uno sguardo ben diverso sulle vicende del passato dai "mai morti", arrivati da queste parti a rendere italiane e "irredente" (a posteriori) terre che da sempre vedono la convivenza di culture diverse (mi rifiuto di chiamarle etnie in un luogo dove da sempre trionfa il bastardo di razza: non a caso a Trieste la gioventù è chiamata "muleria") e che ancora fomentano odi e incomprensioni che non hanno alcun senso se non quello di riscrivere la storia a proprio uso e consumo. L'omaggio al regista, scomparso tre anni fa, ha visto le proiezioni di La rosa rossa, del 1973, tratto dall'omonimo romanzo di Pier Antonio Quarantotto Gambini, e Un anno di scuola, del 1977, da un racconto di Giani Stuparich, entrambi prodotti a suo tempo dalla RAI, il secondo trasmesso sul piccolo schermo come miniserie; e si è chiuso con La frontiera, che dopo vent'anni di silenzio aveva chiuso il cerchio su un tema, le vicende del Nord-Est adriatico, che il cinema italiano ha sempre accuratamente evitato: per quanto se ne faccia un ampio uso politico manicheo e ipocrita, anche la vicenda delle foibe alla fine della Seconda Guerra Mondiale e quella dell'esodo degli istriano-dalmanti solo di rado sono state affrontate, e sempre con un'ottica di parte. Ben venga, quindi la riproposizione di questo film che la frontiera la affronta di diversi punti di vista attraverso la storia parallela di due militari nati sulla stessa isola dalmata a vent'anni di distanza che si interseca nel racconto e il cui punto di raccordo è un uomo, Simone (il grande Omero Antonutti) che alla domanda a chi sentisse di appartenere rispondeva di essere sempre lo stesso, cittadino, durante la sua vita, di tre nazioni diverse (l'impero Austro-Ungarico, il regno di Jugolavia e l'Italia fascista). Il primo era Emidio Orlich (un giovane Raoul Bova), tenente dell'esercito austroungarico, italofono nonostante il cognome, entrato in crisi dopo aver conosciuto un suo sottoposto sloveno successivamente condannato a morte per tradimento, e come tanti altri trentini, friulani, istriani e dalmati, da un lato visti sospetti dai loro compagni d'arme e dall'altro dimenticati ancor oggi o considerati a loro volta come una sorta di traditori a posteriori, costretti a combattere "dalla parte sbagliata" altri italiani, dimenticando che per secoli erano appartenuti a una patria multietnica in cui il parlare diverse lingue e professare religioni diverse era visto comune una ricchezza. Orlich, che era parente di Simone, era nato sulla stessa isola dove sarebbe nato, cittadino italiano e anche lui italofono, Franco Velich, anche lui tenente dell'esercito, stavolta italiano, che sull'isola torna da convalescente dopo essere stato ferito in Cirenaica e vi ritrova, appunto, Simone e i militari italiani, nonché i miliziani fascisti (tra cui Gabriella, Claudia Pandolfi), che i locali, i quali si sentono innanzitutto dalmati, considerano niente più che degli occupanti. Franco e Simone ricostruiscono la triste vicenda di Emidio attraverso le carte che la famiglia aveva ricevuto dal suo fedele attendente (trentino) dopo la sua morte, e i medesimi dubbi sul senso dell'"appartenenza" non possono che assalire anche Franco Velich, giovane intelligente e sensibile, a cui viene ripetutamente rivolta, dai nuovi rappresentanti dello Stato di turno, la medesima domanda posta a Orlich e a Simone: cosa sei? Italiano, croato, sloveno? Cambiano le uniformi, la lingua ufficiale, le leggi ma non la stupidità e l'arroganza di chi esercita l'Autorità nonché la necessità di etichettare le persone e definire i parametri di chi è "dei nostri" e chi invece considerato una minaccia per il potere o un nemico interno, e oggi come ieri, la musica non cambia. Con la differenza che, sotto Cecco Beppe, la fedeltà era dovuta soltanto all'imperatore, e per il resto ogni "suddito" era libero di essere quello che voleva e la patria un concetto più ampio e dignitoso, sotto tutti i punti di vista. Un film prezioso, bella iniziativa. 

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