"Il Sindaco del Rione Sanità" di Mario Martone. Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe M. Gaudino, Gennaro di Colandrea, Lucienne Perreca, Salvatore Presutto, Viviana Cangiano e altri. Italia 2019 ★★★★
Ancora Napoli. Ci sono film, come il recente Martin Eden, molto ben fatti, che personalmente avrei visto meglio come adattamento teatrale del testo da cui sono tratti; altri, come questo di Mario Martone, che ripropone su grande schermo la versione teatrale in chiave odierna dell'omonimo classico di Eduardo De Filippo, scritto nel 1960, di cui era già stato regista due anni fa per NEST, Napoli Teatro Est di San Giovanni a Teduccio, portato in scena dallo stesso collettivo di bravissimi attori che vediamo nella pellicola. Ammetto che non vado pazzo per il cinema di Martone, per quanto sia uno degli autori italiani più validi e meno banali in circolazione; in questo caso però ho trovato felice la sua idea e ottimo il risultato. La vicenda è sufficientemente nota per non entrare nel dettagli della trama: in sostanza si tratta del ritratto di una figura carismatica e complessa, quella di Antonio Barracano, chiamato appunto il Sindaco del Rione Sanità, dov'è nato, da coloro che si rivolgono a lui, invece che all'autorità, per sistemare controversie. In sostanza amministra la giustizia, non sopra la legge ma parallelamente a essa, in modo concreto e in base a un suo codice, essenzialmente etico e basato sull'esperienza reale, soprattutto in modo credibile e accettabile per tutte le parti. Ad affiancarlo un medico, che gli è fedele da anni ma vorrebbe sganciarsi e andare a trovare i famigliari a New York e, forse, rifarsi una vita, e che all'occorrenza cura le ferite di persone che preferiscono non passare per un ospedale pubblico. Fra le varie figure che si rivolgono a lui già dalla mattinata di un giorno d'autunno, nella sua villa fuori città, sulle pendici del Vesuvio, spiccano Rituccia e Raffiluccio Santaniello, quest'ultimo figlio di un ricco fornaio, Arturo, che l'ha ricusato e diseredato, il quale gli comunica l'intenzione di eliminare il padre. Totò Barracano rivede nel ragazzo sé stesso giovane, quando per vendicare un torto subito a sua volta si era trasformato in assassino, senza però essere condannato perché al processo si era presentato con falsi testimoni, tutti opportunamente pagati, e prende in mano la situazione, da un lato convocando il padre, dall'altro cercando di frenare il giovane, ricordandogli che uno dimostra d'essere uomo anche e soprattutto facendo un passo indietro e riconoscendo i propri errori. La scena, per il finale, si sposta a Napoli, nel rione, appunto, con Barracano che per trovare un accordo si reca nel negozio di Arturo Santaniello, che però prende paura e l'accoltella: nonostante sia ferito e sappia che la sua fine è vicina, il Sindaco convoca nel suo lussuoso appartamento tutti i questuanti che si erano rivolti a lui nel corso della mattinata e per l'ultima volta sistema le cose, a modo suo, impendendo che si scateni una serie di vendette con spargimento di inutile sangue di "ignoranti". Per quanto attualizzata, la vicenda conserva tutto il senso che le aveva dato De Filippo, che non stava propriamente parlando di un boss della camorra e nemmeno lo fa Martone, altrettanto criticato per questo. Barracano è diverso, un personaggio complesso e autorevole, credibile per chi si mette nelle sue mani, magari rispettato pure dai camorristi che hanno in mano il quartiere, ma non è lui stesso un capomafia. I temi sono altri: la sfiducia nella giustizia, l'incultura, la povertà, il tradimento, il libero arbitrio, i vincoli famigliari, l'amicizia. Rara intensità, recitazione potente e di grande qualità, due ore che passano in un baleno. Film coinvolgente, superiore alle mie aspettative.
Ancora Napoli. Ci sono film, come il recente Martin Eden, molto ben fatti, che personalmente avrei visto meglio come adattamento teatrale del testo da cui sono tratti; altri, come questo di Mario Martone, che ripropone su grande schermo la versione teatrale in chiave odierna dell'omonimo classico di Eduardo De Filippo, scritto nel 1960, di cui era già stato regista due anni fa per NEST, Napoli Teatro Est di San Giovanni a Teduccio, portato in scena dallo stesso collettivo di bravissimi attori che vediamo nella pellicola. Ammetto che non vado pazzo per il cinema di Martone, per quanto sia uno degli autori italiani più validi e meno banali in circolazione; in questo caso però ho trovato felice la sua idea e ottimo il risultato. La vicenda è sufficientemente nota per non entrare nel dettagli della trama: in sostanza si tratta del ritratto di una figura carismatica e complessa, quella di Antonio Barracano, chiamato appunto il Sindaco del Rione Sanità, dov'è nato, da coloro che si rivolgono a lui, invece che all'autorità, per sistemare controversie. In sostanza amministra la giustizia, non sopra la legge ma parallelamente a essa, in modo concreto e in base a un suo codice, essenzialmente etico e basato sull'esperienza reale, soprattutto in modo credibile e accettabile per tutte le parti. Ad affiancarlo un medico, che gli è fedele da anni ma vorrebbe sganciarsi e andare a trovare i famigliari a New York e, forse, rifarsi una vita, e che all'occorrenza cura le ferite di persone che preferiscono non passare per un ospedale pubblico. Fra le varie figure che si rivolgono a lui già dalla mattinata di un giorno d'autunno, nella sua villa fuori città, sulle pendici del Vesuvio, spiccano Rituccia e Raffiluccio Santaniello, quest'ultimo figlio di un ricco fornaio, Arturo, che l'ha ricusato e diseredato, il quale gli comunica l'intenzione di eliminare il padre. Totò Barracano rivede nel ragazzo sé stesso giovane, quando per vendicare un torto subito a sua volta si era trasformato in assassino, senza però essere condannato perché al processo si era presentato con falsi testimoni, tutti opportunamente pagati, e prende in mano la situazione, da un lato convocando il padre, dall'altro cercando di frenare il giovane, ricordandogli che uno dimostra d'essere uomo anche e soprattutto facendo un passo indietro e riconoscendo i propri errori. La scena, per il finale, si sposta a Napoli, nel rione, appunto, con Barracano che per trovare un accordo si reca nel negozio di Arturo Santaniello, che però prende paura e l'accoltella: nonostante sia ferito e sappia che la sua fine è vicina, il Sindaco convoca nel suo lussuoso appartamento tutti i questuanti che si erano rivolti a lui nel corso della mattinata e per l'ultima volta sistema le cose, a modo suo, impendendo che si scateni una serie di vendette con spargimento di inutile sangue di "ignoranti". Per quanto attualizzata, la vicenda conserva tutto il senso che le aveva dato De Filippo, che non stava propriamente parlando di un boss della camorra e nemmeno lo fa Martone, altrettanto criticato per questo. Barracano è diverso, un personaggio complesso e autorevole, credibile per chi si mette nelle sue mani, magari rispettato pure dai camorristi che hanno in mano il quartiere, ma non è lui stesso un capomafia. I temi sono altri: la sfiducia nella giustizia, l'incultura, la povertà, il tradimento, il libero arbitrio, i vincoli famigliari, l'amicizia. Rara intensità, recitazione potente e di grande qualità, due ore che passano in un baleno. Film coinvolgente, superiore alle mie aspettative.
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