"Tutto il mio folle amore" di Gabriele Salvatores. Con Claudio Santamaria, Giulio Pranno, Valeria Golino, Diego Abatantuono, Daniel Vivian e altri. Italia 2019 ★★★★
Benché tutto il film ruoti attorno a Vincent (nome datogli dalla celebre canzone di Don McLean), "nato a Trieste il 13 luglio 2003 da Elena M. e adottato da Mario T.", come non manca di presentarsi in maniera compulsiva il ragazzo, affetto dalla nascita da disturbi della personalità, interpretato in maniera ineccepibile e perfino turbante nella sua vitalità esuberante dall'esordiente Giulio Pranno, Tutto il mio folle amore, tratto dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, ispirato a sua volta da una storia vera, il viaggio di un padre attraverso gli USA assieme a un figlio autistico, l'argomento non è tanto il disagio mentale o comportamentale quanto il viaggio, sorta di territorio libero in cui i vari soggetti, uscendo dalle rispettive gabbie, trovano lo spazio e il modo di vedere le cose da un punto di vista diverso da quello abituale e interagire tra loro con dinamiche nuove, mettendo in discussione quelle consuete. Tema, quello del viaggio, congeniale a Salvatores quanto quello dell'adolescenza, così come quello della presa di coscienza delle propria essenza più profonda da parte degli adulti nel mezzo di una situazione di spaesamento e di sconfinamento quale, appunto, quella del viaggio. Il tutto attraverso un racconto semplice, senza tante contorsioni mentali: Willy, un cantante "da matrimoni e funerali" (come direbbe Kusturica: ottimo nella parte, anche per le doti canore, Claudio Santamaria) che aveva conosciuto Elena (Valeria Golino, perfetta nella parte) che faceva la cameriera su una nave da crociera dove lui aveva trovato un ingaggio, si era dileguato dopo averla messa incinta, terrorizzato dalla paternità; si rifà vivo un bel giorno che si trova Trieste per uno spettacolo e, nei fumi dei postumi di una sbronza decide di andare a conoscere finalmente suo figlio: viene ovviamente cacciato dalla donna, che già da 16 anni ha avuto la vita sconvolta dall'esistenza di questo suo figlio anomalo e da Mario (un convincente Diego Abatantuono), suo marito, editor di una casa editrice, intellettuale pacato e disilluso, che con Vincent ha instaurato un solido e affettuoso rapporto tanto da adottarlo. Il ragazzo però ha fatto in tempo a vedere Willy, che lo ritroverà nel suo pick up quando già ha attraversato la frontiera con la Slovenia dove è conosciuto come il Modugno della Dalmazia e lo attende un'altra serata. Da lì in poi inizia l'avventura dei due, che cominciano a conoscersi, e quella di Elena e Mario, che vanno alla loro ricerca fino alla costa della Croazia, in un susseguirsi di avventure e situazioni paradossali, che alla fine faranno crescere tutti quanti i personaggi coinvolti nell'avventura, a cominciare da Willy nel nuovo ruolo di padre. Ottima la fotografia, così come la colonna sonora, belli e inconsueti (anche se non per me) i paesaggi, scelti con cura e ben amalgamati gli interpreti, che con tutta evidenza hanno collaborato alla costruzione di questa storia che è una sorta di favola a lieto fine con tempi e modi molto reali e concreti, e dunque facilmente leggibile e, a mio avviso ben raccontata.
Benché tutto il film ruoti attorno a Vincent (nome datogli dalla celebre canzone di Don McLean), "nato a Trieste il 13 luglio 2003 da Elena M. e adottato da Mario T.", come non manca di presentarsi in maniera compulsiva il ragazzo, affetto dalla nascita da disturbi della personalità, interpretato in maniera ineccepibile e perfino turbante nella sua vitalità esuberante dall'esordiente Giulio Pranno, Tutto il mio folle amore, tratto dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, ispirato a sua volta da una storia vera, il viaggio di un padre attraverso gli USA assieme a un figlio autistico, l'argomento non è tanto il disagio mentale o comportamentale quanto il viaggio, sorta di territorio libero in cui i vari soggetti, uscendo dalle rispettive gabbie, trovano lo spazio e il modo di vedere le cose da un punto di vista diverso da quello abituale e interagire tra loro con dinamiche nuove, mettendo in discussione quelle consuete. Tema, quello del viaggio, congeniale a Salvatores quanto quello dell'adolescenza, così come quello della presa di coscienza delle propria essenza più profonda da parte degli adulti nel mezzo di una situazione di spaesamento e di sconfinamento quale, appunto, quella del viaggio. Il tutto attraverso un racconto semplice, senza tante contorsioni mentali: Willy, un cantante "da matrimoni e funerali" (come direbbe Kusturica: ottimo nella parte, anche per le doti canore, Claudio Santamaria) che aveva conosciuto Elena (Valeria Golino, perfetta nella parte) che faceva la cameriera su una nave da crociera dove lui aveva trovato un ingaggio, si era dileguato dopo averla messa incinta, terrorizzato dalla paternità; si rifà vivo un bel giorno che si trova Trieste per uno spettacolo e, nei fumi dei postumi di una sbronza decide di andare a conoscere finalmente suo figlio: viene ovviamente cacciato dalla donna, che già da 16 anni ha avuto la vita sconvolta dall'esistenza di questo suo figlio anomalo e da Mario (un convincente Diego Abatantuono), suo marito, editor di una casa editrice, intellettuale pacato e disilluso, che con Vincent ha instaurato un solido e affettuoso rapporto tanto da adottarlo. Il ragazzo però ha fatto in tempo a vedere Willy, che lo ritroverà nel suo pick up quando già ha attraversato la frontiera con la Slovenia dove è conosciuto come il Modugno della Dalmazia e lo attende un'altra serata. Da lì in poi inizia l'avventura dei due, che cominciano a conoscersi, e quella di Elena e Mario, che vanno alla loro ricerca fino alla costa della Croazia, in un susseguirsi di avventure e situazioni paradossali, che alla fine faranno crescere tutti quanti i personaggi coinvolti nell'avventura, a cominciare da Willy nel nuovo ruolo di padre. Ottima la fotografia, così come la colonna sonora, belli e inconsueti (anche se non per me) i paesaggi, scelti con cura e ben amalgamati gli interpreti, che con tutta evidenza hanno collaborato alla costruzione di questa storia che è una sorta di favola a lieto fine con tempi e modi molto reali e concreti, e dunque facilmente leggibile e, a mio avviso ben raccontata.
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