"Mommy" di Xavier Dolan. Con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon. Francia, Canada 2014 ★
Ho aspettato qualche tempo dopo la visione a commentare questo film di cui si dicevano mirabilie, decandando le doti dell'enfant prodige del cinema canadese ('sti cazzi, direbbero a Roma), più precisamente quebecois e dunque francofono, non a caso Premio della Giuria ex aequo all'ultima edizione del Festival di Cannes con "Addio al linguaggio" di quell'altro supposto genio, il paranoico solipsista Jean-Luc Godard, l'onanista più ossessivo di tutta la cinematografia transalpina: meglio lasciare decantare le prime impressioni, che erano improntate a un'irritata perplessità. Otto giorni di frollatura hanno però accentuato le venature negative, per cui mi sono fatto la convinzione che si tratti di un'orrenda cagata, velleitaria, furbetta, che gioca su una forma ammodernata, perfino provincial-punkettara, di mammismo morboso; sotto vesti apparentemente spregiudicate, pur sempre di buoni sentimenti e luoghi comuni si tratta. Il film racconta il rapporto esagerato e scarsamente credibile tra una cinquantenne squinternata, arrogante, stronza, incapace di badare a sé stessa, e il figlio adolescente che ne è il clone al maschile, ciclotimico, inaffidabile e violento, che viene scaraventato fuori da un istituto di recupero perché ne aveva incendiato la mensa, finendo per ferire gravemente un suo compagno, e riaffidato alla genitrice. Parte a un ritmo scoppiettante, e il susseguirsi di battute sboccate e situazioni paradossali quanto improbabili, con l'inserimento nella quotidianità fortemente alterata di questa coppia di dementi ipercinetici di un'altra disadattata, Kyla, la dirimpettaia, un'insegnante in aspettativa divenuta balbuziente dopo un trauma di natura sconosciuta, sfocia e degenera in un crescendo sempre più parossistico per un totale di 140 minuti, quando 75 sarebbero stati più che sufficienti. E' la lunghezza a rendere ancora più insopportabile questa pellicola in stile MTV che a rendere indigesta contribuiscono i due personaggi principali, entrambi odiosi: Steve, un ragazzino cui un paio di sberloni bene assestati nella prima gioventù non avrebbero potuto fare maggior danno di due genitori deficienti, ma soprattutto Diane, un'irresponsabile brava a fare la splendida e la bella vita coi soldi del marito genialoide quando le cose andavano bene, e ad autogiustificare sé stessa nonché il suo pargolo quando il coniuge muore, va da sé povero e senza un quattrino perché "fregato" dai soliti yankee che pensano solo agli affari, mentre loro stanno a godersene i quattrini, senza mai prendersi un minimo di responsabilità. Il regista fa anche l'originale proponendo un formato di 4:3 a schermo più che ristretto e in verticale, che costringe a una visione faticosa e concentrata su un solo personaggio per volta e per di più in primo piano, accentuando il senso di fastidio; unica scelta impeccabile, quella degli interpreti, le cui fattezze, movenze, tic e modo di esprimersi li rendono tanto perfetti nel ruolo quanto sommamente sgradevoli. Ancora una volta, la giuria di Cannes non si è smentita.
Ho aspettato qualche tempo dopo la visione a commentare questo film di cui si dicevano mirabilie, decandando le doti dell'enfant prodige del cinema canadese ('sti cazzi, direbbero a Roma), più precisamente quebecois e dunque francofono, non a caso Premio della Giuria ex aequo all'ultima edizione del Festival di Cannes con "Addio al linguaggio" di quell'altro supposto genio, il paranoico solipsista Jean-Luc Godard, l'onanista più ossessivo di tutta la cinematografia transalpina: meglio lasciare decantare le prime impressioni, che erano improntate a un'irritata perplessità. Otto giorni di frollatura hanno però accentuato le venature negative, per cui mi sono fatto la convinzione che si tratti di un'orrenda cagata, velleitaria, furbetta, che gioca su una forma ammodernata, perfino provincial-punkettara, di mammismo morboso; sotto vesti apparentemente spregiudicate, pur sempre di buoni sentimenti e luoghi comuni si tratta. Il film racconta il rapporto esagerato e scarsamente credibile tra una cinquantenne squinternata, arrogante, stronza, incapace di badare a sé stessa, e il figlio adolescente che ne è il clone al maschile, ciclotimico, inaffidabile e violento, che viene scaraventato fuori da un istituto di recupero perché ne aveva incendiato la mensa, finendo per ferire gravemente un suo compagno, e riaffidato alla genitrice. Parte a un ritmo scoppiettante, e il susseguirsi di battute sboccate e situazioni paradossali quanto improbabili, con l'inserimento nella quotidianità fortemente alterata di questa coppia di dementi ipercinetici di un'altra disadattata, Kyla, la dirimpettaia, un'insegnante in aspettativa divenuta balbuziente dopo un trauma di natura sconosciuta, sfocia e degenera in un crescendo sempre più parossistico per un totale di 140 minuti, quando 75 sarebbero stati più che sufficienti. E' la lunghezza a rendere ancora più insopportabile questa pellicola in stile MTV che a rendere indigesta contribuiscono i due personaggi principali, entrambi odiosi: Steve, un ragazzino cui un paio di sberloni bene assestati nella prima gioventù non avrebbero potuto fare maggior danno di due genitori deficienti, ma soprattutto Diane, un'irresponsabile brava a fare la splendida e la bella vita coi soldi del marito genialoide quando le cose andavano bene, e ad autogiustificare sé stessa nonché il suo pargolo quando il coniuge muore, va da sé povero e senza un quattrino perché "fregato" dai soliti yankee che pensano solo agli affari, mentre loro stanno a godersene i quattrini, senza mai prendersi un minimo di responsabilità. Il regista fa anche l'originale proponendo un formato di 4:3 a schermo più che ristretto e in verticale, che costringe a una visione faticosa e concentrata su un solo personaggio per volta e per di più in primo piano, accentuando il senso di fastidio; unica scelta impeccabile, quella degli interpreti, le cui fattezze, movenze, tic e modo di esprimersi li rendono tanto perfetti nel ruolo quanto sommamente sgradevoli. Ancora una volta, la giuria di Cannes non si è smentita.
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