"Un minuto de silencio" di Ferdinando Vicentini Orgnani. Italia 2014 ★★★★
Un minuto di silenzio è quello chiesto da Evo Morales in ricordo dei caduti durante i cinquecento anni di lotta di resistenza a partire dalla conquista spagnola il giorno del suo insediamento come primo presidente indigeno nella storia della Bolivia il 22 gennaio del 2006, al suo primo mandato (ora è in corso il terzo), ma è proprio la sua voce, in mezzo a quella di esponenti di governo, oppositori, collaboratori, opinionisti, gente comune quella che manca in questa interessante e coinvolgente indagine che Vicentini Orgnani fa sulla situazione nel Paese sudamericano a maggior presenza india e non a caso tra i più poveri del "Continente Desaparecido". Tanto più meritoria considerato quanto poco si sa della Bolivia, e quando se ne parla, lo si fa per lo più a vanvera o per partito preso. Primo a raccontare la sua versione dei fatti sugli ultimi vent'anni di storia boliviana l'ex presidente Gonzalo Sanchez de Losada detto "Goni", dal suo esilio a Washington, uno che i suoi spin doctor nordamericani hanno provato a far passare come progressista e amico degli indigeni e che dovette abbandonare il Paese in seguito alle sollevazioni di El Alto del 2003 che isolarono per un certo periodo la capitale La Paz. Autore di numerose privatizzazioni, specie in campo energetico, perse definitivamente il sostegno popolare quando progettò di esportare la maggior parte del gas prodotto proprio negli USA e attraverso i porti del Cile, Paese con cui esiste un contenzioso fin dal 1883, al termine della Guerra del Salnitro che tolse alla Bolivia lo sbocco al mare; gustoso l'inciso dell'intervento "a piedi uniti" in suo favore dell'allora ambasciatore USA a La Paz Manuel Rocha a pochi giorni dalle presidenziali del 2002, che ebbero l'effetto di lanciare sulla scena un allora semisconosciuto sindacalista dei cocaleros, Evo Morales, che arrivò secondo a soli 40 mila voti da Goni. Avrebbe vinto nel 2006, con l'appoggio determinante di Felipe Quispe, "El Maliku" (condor, in aymara), il vero leader indigesta, ex guerrilgliero che non esclude a priori un ritorno alla lotta armata, appartenete alla sua stessa etnia (l'altra, leggermente meno diffusa, è quella quechua) che oggi si dichiara "colpevole" delle fortune di Evo, denunciandone la sostanziale congruità al liberismo imperante e il legame con i coltivatori e trafficanti di coca di cui sarebbe un pupazzo (esempio ne è la decisione di costruire a tutti i costi una strada "della droga" attraverso il TIPNIS, un parco naturale delle "Terre Basse", nonostante l'opposizione delle popolazioni locali, che hanno il "torto" di non appartenere alle due etnie principali). Frutto di cinque anni di riprese e di un interesse che si sente sincero da parte del regista, "Un minuto de silencio" ha procurato non poche noie al regista, a cui è stato di recente anche negato il visto di ingresso in Bolivia dalle autorità locali. Un lavoro meritorio, che vale la pena di vedere se ve ne capita l'occasione.
Un minuto di silenzio è quello chiesto da Evo Morales in ricordo dei caduti durante i cinquecento anni di lotta di resistenza a partire dalla conquista spagnola il giorno del suo insediamento come primo presidente indigeno nella storia della Bolivia il 22 gennaio del 2006, al suo primo mandato (ora è in corso il terzo), ma è proprio la sua voce, in mezzo a quella di esponenti di governo, oppositori, collaboratori, opinionisti, gente comune quella che manca in questa interessante e coinvolgente indagine che Vicentini Orgnani fa sulla situazione nel Paese sudamericano a maggior presenza india e non a caso tra i più poveri del "Continente Desaparecido". Tanto più meritoria considerato quanto poco si sa della Bolivia, e quando se ne parla, lo si fa per lo più a vanvera o per partito preso. Primo a raccontare la sua versione dei fatti sugli ultimi vent'anni di storia boliviana l'ex presidente Gonzalo Sanchez de Losada detto "Goni", dal suo esilio a Washington, uno che i suoi spin doctor nordamericani hanno provato a far passare come progressista e amico degli indigeni e che dovette abbandonare il Paese in seguito alle sollevazioni di El Alto del 2003 che isolarono per un certo periodo la capitale La Paz. Autore di numerose privatizzazioni, specie in campo energetico, perse definitivamente il sostegno popolare quando progettò di esportare la maggior parte del gas prodotto proprio negli USA e attraverso i porti del Cile, Paese con cui esiste un contenzioso fin dal 1883, al termine della Guerra del Salnitro che tolse alla Bolivia lo sbocco al mare; gustoso l'inciso dell'intervento "a piedi uniti" in suo favore dell'allora ambasciatore USA a La Paz Manuel Rocha a pochi giorni dalle presidenziali del 2002, che ebbero l'effetto di lanciare sulla scena un allora semisconosciuto sindacalista dei cocaleros, Evo Morales, che arrivò secondo a soli 40 mila voti da Goni. Avrebbe vinto nel 2006, con l'appoggio determinante di Felipe Quispe, "El Maliku" (condor, in aymara), il vero leader indigesta, ex guerrilgliero che non esclude a priori un ritorno alla lotta armata, appartenete alla sua stessa etnia (l'altra, leggermente meno diffusa, è quella quechua) che oggi si dichiara "colpevole" delle fortune di Evo, denunciandone la sostanziale congruità al liberismo imperante e il legame con i coltivatori e trafficanti di coca di cui sarebbe un pupazzo (esempio ne è la decisione di costruire a tutti i costi una strada "della droga" attraverso il TIPNIS, un parco naturale delle "Terre Basse", nonostante l'opposizione delle popolazioni locali, che hanno il "torto" di non appartenere alle due etnie principali). Frutto di cinque anni di riprese e di un interesse che si sente sincero da parte del regista, "Un minuto de silencio" ha procurato non poche noie al regista, a cui è stato di recente anche negato il visto di ingresso in Bolivia dalle autorità locali. Un lavoro meritorio, che vale la pena di vedere se ve ne capita l'occasione.
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