"Magic in the Moonlight" di Woody Allen. Con Colin Firth, Emma Stone, Eileen Atkins, Simon McBurney, Marcia Gay Harden, Hamish Linklater e altri. Francia, USA 2014 ★★★★
Questo film aggraziato, leggero ma tutt'altro che futile, da cui traspaiono tutta la sottile intelligenza e l'umorismo amarognolo di Woody Allen, appartiene senz'altro alla gamma più alta delle sue più recenti produzioni "europee", e pur se ambientato alla fine degli anni Venti in Costa Azzurra non sembra animato da intenzioni pubblicitarie. Sotto le sembianze dell'illusionista cinese Wei Ling Soo, il più famoso mago dell'epoca, si cela in realtà Stanley Crawford, interpretato in maniera eccellente da Colin Firth, un gentiluomo inglese supponente, di pessimo carattere, razionale fino all'eccesso, in realtà pessimista e infelice, nemico giurato di veggenti e finti medium, che viene convinto da un suo vecchio amico e collega a smascherare Sophie Baker, una giovane americana di origine proletaria che, in compagnia di sua madre che le fa da manager, sta intortando l'intera famiglia Catledge (ricchi industriali yankee in vacanza sulla costiera provenzale) convincendo la matriarca di essere in grado di metterla in contatto con il marito scomparso, riferendole in sostanza quel che la povera vedova vuole sentirsi dire. Giunto alla residenza dei Catledge fingendosi un uomo d'affari, Stanley entra subito in rotta di collisione con Sophie ma in realtà ne è colpito, sia perché lei sembra conoscere particolari della sua vita che non avrebbe dovuto sapere, ma in realtà perché il suo solo sguardo, il modo di comportarsi, di muoversi hanno smosso il ghiaccio che c'era in lui e tutte le sue certezze. Cederà completamente all'amore, pur sapendo quanto sia completamente irrazionale, proprio quando avrà la certezza che Sophie è protagonista di un'impostura, perché si renderà conto che lei è stata in grado di dargli quelle emozioni e quell'imprevedibilità che non erano mai stati nel suo orizzonte mentale e che però gli hanno dato momenti di autentica felicità e vitalità. Più volte Allen, nei suoi film, è ricorso alla magia, pur essendo senz'altro animato da scetticismo, razionalità e pessimismo, perché sa bene che senza qualcosa di imponderabile, di magico, di apertura alle emozioni, sostanzialmente senza speranza non si può vivere, specie in periodi bui. E non a caso la storia prende le mosse da un affollato teatro berlinese per trasferirsi nel Sud della Francia, con le tenebre delle dittature in arrivo sull'Europa ad oscurare gli ultimo bagliori della Belle époque. Da sogno la colonna sonora, una serie di classici del jazz dell'epoca d'oro, che da sola vale il film. Ma c'è molto altro, a cominciare dalla prestazione del cast tutto intero. Divertimento raffinato ma non pretenzioso, disincanto ammorbidito da un tocco di fantasia e di disponibilità verso il prossimo e l'ignoto: non un capolavoro, ma cosa volere di più di questi tempi?
Questo film aggraziato, leggero ma tutt'altro che futile, da cui traspaiono tutta la sottile intelligenza e l'umorismo amarognolo di Woody Allen, appartiene senz'altro alla gamma più alta delle sue più recenti produzioni "europee", e pur se ambientato alla fine degli anni Venti in Costa Azzurra non sembra animato da intenzioni pubblicitarie. Sotto le sembianze dell'illusionista cinese Wei Ling Soo, il più famoso mago dell'epoca, si cela in realtà Stanley Crawford, interpretato in maniera eccellente da Colin Firth, un gentiluomo inglese supponente, di pessimo carattere, razionale fino all'eccesso, in realtà pessimista e infelice, nemico giurato di veggenti e finti medium, che viene convinto da un suo vecchio amico e collega a smascherare Sophie Baker, una giovane americana di origine proletaria che, in compagnia di sua madre che le fa da manager, sta intortando l'intera famiglia Catledge (ricchi industriali yankee in vacanza sulla costiera provenzale) convincendo la matriarca di essere in grado di metterla in contatto con il marito scomparso, riferendole in sostanza quel che la povera vedova vuole sentirsi dire. Giunto alla residenza dei Catledge fingendosi un uomo d'affari, Stanley entra subito in rotta di collisione con Sophie ma in realtà ne è colpito, sia perché lei sembra conoscere particolari della sua vita che non avrebbe dovuto sapere, ma in realtà perché il suo solo sguardo, il modo di comportarsi, di muoversi hanno smosso il ghiaccio che c'era in lui e tutte le sue certezze. Cederà completamente all'amore, pur sapendo quanto sia completamente irrazionale, proprio quando avrà la certezza che Sophie è protagonista di un'impostura, perché si renderà conto che lei è stata in grado di dargli quelle emozioni e quell'imprevedibilità che non erano mai stati nel suo orizzonte mentale e che però gli hanno dato momenti di autentica felicità e vitalità. Più volte Allen, nei suoi film, è ricorso alla magia, pur essendo senz'altro animato da scetticismo, razionalità e pessimismo, perché sa bene che senza qualcosa di imponderabile, di magico, di apertura alle emozioni, sostanzialmente senza speranza non si può vivere, specie in periodi bui. E non a caso la storia prende le mosse da un affollato teatro berlinese per trasferirsi nel Sud della Francia, con le tenebre delle dittature in arrivo sull'Europa ad oscurare gli ultimo bagliori della Belle époque. Da sogno la colonna sonora, una serie di classici del jazz dell'epoca d'oro, che da sola vale il film. Ma c'è molto altro, a cominciare dalla prestazione del cast tutto intero. Divertimento raffinato ma non pretenzioso, disincanto ammorbidito da un tocco di fantasia e di disponibilità verso il prossimo e l'ignoto: non un capolavoro, ma cosa volere di più di questi tempi?
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