"La regola del gioco" (Kill the Messenger) di Michael Cuesta. Con Jeremy Renner, Rosemarie DeWitt, Ray Liotta, Tim Blake Nelson, Barry Pepper, Oliver Platt, Mary Elizabeth Winstead, Michael Sheen, Paz Vega, Andy García e altri. USA 2014 ★★☆-
Soddisfatto ma non troppo: ammetto che mi aspettavo qualcosa di più da questo film, che racconta come venne reso pubblico il coinvolgimento, negli anni Ottanta, della CIA nel traffico di droga che doveva finanziare clandestinamente la guerriglia anticomunista nell'America Centrale e in particolare i "Contras" nicaraguensi e le conseguenze che ne ebbe nella sua vita professionale (e fisica: morì "suicidato" nel 2004) il giornalista che seguì il caso: Gary Webb, interpretato in maniera partecipata e credibile dall'ottimo Jeremy Renner. Quando nel 1996 la donna di un grosso trafficante nicaraguense gli consegnò il dossier che provava la parte avuta dalla CIA nel traffico di droga e nella diffusione del crack negli slum di Southern Los Angeles, Webb era già un giornalista d'inchiesta famoso, insignito del Premio Pulitzer sei anni prima nonostante lavorasse per un giornale locale, il San José Mercury News, dopo essersi trasferito in California con la famiglia per motivi personali: non era perciò un caso, ed egli con scrupolo proseguì le indagini visitando prigioni negli USA e in Nicaragua, seguendo processi, contattando membri del Congresso, fino alla pubblicazione di Dark Alliance, come venne chiamata l'inchiesta. Dopo i primi momenti di entusiasmo, in cui i media gli andarono dietro divulgando i particolari dello scandalo, cominciarono i guai perché la CIA e, dietro di essa, il governo, non fece aspettare le sue contromosse attraverso pressioni su editori, direttori di testate e televisioni, il ricorso al consueto mantra della "Sicurezza Nazionale", l'intimidazione personale e pesante nei confronti di Webb e della sua famiglia, manovre di ogni genere per scalfirne la credibilità, attraverso calunnie, ingigantimento e travisamento di presunti "lati oscuri" della personalità e della vita privata del reporter, che prima venne demansionato e spedito a occuparsi di cronaca locale a Cupertino e in seguito, dopo essere stato ipocritamente premiato come giornalista dell'anno dalla stampa californiana, si dimise dal suo giornale, senza riuscire più in seguito a essere assunto altrove: vicenda tristemente vera, che terminò con la sua morte, come ricordato sopra. La pellicola funziona finché racconta gli sviluppi dell'inchiesta, nella redazione del giornale o seguendo Webb nella sua indagine (ottime le interpretazioni di tutto il cast, peraltro di prim'ordine), ma si impantana quando si sofferma sulle vicende private della famiglia del giornalista: non perché non vi sia del vero ma perché cambia completamente registro e ritmo diventando banale, benché Renner rimanga sempre "sul pezzo". Insomma, si poteva fare meglio, ma nelle more della "pausa estiva" accontentiamoci di quel che passa il convento: c'è di peggio, e viene pure esaltato.
Soddisfatto ma non troppo: ammetto che mi aspettavo qualcosa di più da questo film, che racconta come venne reso pubblico il coinvolgimento, negli anni Ottanta, della CIA nel traffico di droga che doveva finanziare clandestinamente la guerriglia anticomunista nell'America Centrale e in particolare i "Contras" nicaraguensi e le conseguenze che ne ebbe nella sua vita professionale (e fisica: morì "suicidato" nel 2004) il giornalista che seguì il caso: Gary Webb, interpretato in maniera partecipata e credibile dall'ottimo Jeremy Renner. Quando nel 1996 la donna di un grosso trafficante nicaraguense gli consegnò il dossier che provava la parte avuta dalla CIA nel traffico di droga e nella diffusione del crack negli slum di Southern Los Angeles, Webb era già un giornalista d'inchiesta famoso, insignito del Premio Pulitzer sei anni prima nonostante lavorasse per un giornale locale, il San José Mercury News, dopo essersi trasferito in California con la famiglia per motivi personali: non era perciò un caso, ed egli con scrupolo proseguì le indagini visitando prigioni negli USA e in Nicaragua, seguendo processi, contattando membri del Congresso, fino alla pubblicazione di Dark Alliance, come venne chiamata l'inchiesta. Dopo i primi momenti di entusiasmo, in cui i media gli andarono dietro divulgando i particolari dello scandalo, cominciarono i guai perché la CIA e, dietro di essa, il governo, non fece aspettare le sue contromosse attraverso pressioni su editori, direttori di testate e televisioni, il ricorso al consueto mantra della "Sicurezza Nazionale", l'intimidazione personale e pesante nei confronti di Webb e della sua famiglia, manovre di ogni genere per scalfirne la credibilità, attraverso calunnie, ingigantimento e travisamento di presunti "lati oscuri" della personalità e della vita privata del reporter, che prima venne demansionato e spedito a occuparsi di cronaca locale a Cupertino e in seguito, dopo essere stato ipocritamente premiato come giornalista dell'anno dalla stampa californiana, si dimise dal suo giornale, senza riuscire più in seguito a essere assunto altrove: vicenda tristemente vera, che terminò con la sua morte, come ricordato sopra. La pellicola funziona finché racconta gli sviluppi dell'inchiesta, nella redazione del giornale o seguendo Webb nella sua indagine (ottime le interpretazioni di tutto il cast, peraltro di prim'ordine), ma si impantana quando si sofferma sulle vicende private della famiglia del giornalista: non perché non vi sia del vero ma perché cambia completamente registro e ritmo diventando banale, benché Renner rimanga sempre "sul pezzo". Insomma, si poteva fare meglio, ma nelle more della "pausa estiva" accontentiamoci di quel che passa il convento: c'è di peggio, e viene pure esaltato.
Nessun commento:
Posta un commento