"Civiltà perduta" (The Lost City of Z) James Gray. Con Charlie Hunnam, Sienna Miller, Robert Pattinson, Tom Holland, Edward Ashley, Angus Macfayden e altri. USA 2016 ★★★+
Uno strano tipo James Gray, regista newyorkese di famiglia russa, di buona cultura e a sua volta amante del cinema di qualità, da Coppola a Scorsese passando per Kubrick, che passa da un esordio fulminante come Little Odessa a un film miserando come C'era una volta a New York, una delle mie più cocenti delusioni degli ultimi anni; ma siccome l'uomo possiede indubbie capacità dietro la macchina da presa, non ho avuto troppa difficoltà ad accordargli fiducia anche in considerazione delle scarse alternative offerte in sala in questo periodo cinematograficamente ingrato dell'anno. Qui poi ha a che fare con una storia vera, raccontata in un libro di successo da David Grann de The New Yorker, "The Lost City of Z", ossia una sorta di ossessione che aveva colpito Percy Fawcett, un maggiore dell'esercito britannico, archeologo ed esploratore, membro della Royal Archeological Society, inviato da quest'ultima una prima volta nella selva amazzonica a mappare il confine tra Brasile e Bolivia nei primi anni del 1900, e poi tornato altre volte, l'ultima nel 1925, dopo aver regolarmente combattuto in Francia nel corso del primo conflitto mondiale ed essere stato gravemente ferito, insieme al figlio primogenito Jack, da cui non fecero ritorno. Fin dal primo viaggio, Fawcett era convinto di avere trovato segni evidenti di una città nascosta nella foresta, la città di Z, che forse poteva aver e a che fare col mitico Eldorado cercato invano i conquistadores a caccia di ori quattro secoli prima, ma che sorpattutto sarebbe stato testimonianza di una civiltà perduta ma evoluta e raffinata, per certi aspetti anche più della nostra ma in ogni caso altrettanto degna. Posizione quest'ultima, in netto contrasto con quella prevalente in epoca vittoriana che vedeva negli indios come nei neri africani o negli asiatici e comunque in chi non fosse bianco degli incivili o al più dei sottosviluppati, quando non proprio dei subumani. Tra l'altro recenti rilevamenti fanno pensare che Fawcett avesse ragione e che una civiltà evoluta, rifugiatasi nel cuore dell'Amazzonia o in altre zone forestali del Continente Sudamericano fosse esistita. In Fawcett convivono il militare, fedele alle regole del suo rango e che non mette in discussione l'ordine costituito, nemmeno all'interno della famiglia, dall'altro un uomo curioso, aperto al mondo e al prossimo, assetato di conoscenza, capace di cogliere il nuovo, con accanto una moglie intelligente e di carattere, che si potrebbe definire protofemminista, di cui è innamorato ma che nonostante tutto la abbandona per lunghi anni per lunghi periodi e da cui trova però comunque sostegno e comprensione. Anche se ogni tanto Gray indulge un po' al polpettonismo, lo fa con discrezione, senza esagerare, mentre per il resto il film offre delle riprese spettacolari, con tratti da film d'azione che possono ricordare I predatori dell'Arca perduta ma in versione seria, pur senza giungere all'epica e alle esagerazioni del Fitzcrarraldo di Herzog, da cui pure ha tratto qualcosa come pure da "Cuore di tenebra" di Conrad a cui Coppola si era ispirato per quel capolavoro assoluto che è Apcalypse Now. All'altezza anche il cast, con ruoli ben distribuiti e personaggi ben tratteggiati: un buon film nel suo genere, in qualunque modo lo si voglia definire: azione storico, dramma.
Uno strano tipo James Gray, regista newyorkese di famiglia russa, di buona cultura e a sua volta amante del cinema di qualità, da Coppola a Scorsese passando per Kubrick, che passa da un esordio fulminante come Little Odessa a un film miserando come C'era una volta a New York, una delle mie più cocenti delusioni degli ultimi anni; ma siccome l'uomo possiede indubbie capacità dietro la macchina da presa, non ho avuto troppa difficoltà ad accordargli fiducia anche in considerazione delle scarse alternative offerte in sala in questo periodo cinematograficamente ingrato dell'anno. Qui poi ha a che fare con una storia vera, raccontata in un libro di successo da David Grann de The New Yorker, "The Lost City of Z", ossia una sorta di ossessione che aveva colpito Percy Fawcett, un maggiore dell'esercito britannico, archeologo ed esploratore, membro della Royal Archeological Society, inviato da quest'ultima una prima volta nella selva amazzonica a mappare il confine tra Brasile e Bolivia nei primi anni del 1900, e poi tornato altre volte, l'ultima nel 1925, dopo aver regolarmente combattuto in Francia nel corso del primo conflitto mondiale ed essere stato gravemente ferito, insieme al figlio primogenito Jack, da cui non fecero ritorno. Fin dal primo viaggio, Fawcett era convinto di avere trovato segni evidenti di una città nascosta nella foresta, la città di Z, che forse poteva aver e a che fare col mitico Eldorado cercato invano i conquistadores a caccia di ori quattro secoli prima, ma che sorpattutto sarebbe stato testimonianza di una civiltà perduta ma evoluta e raffinata, per certi aspetti anche più della nostra ma in ogni caso altrettanto degna. Posizione quest'ultima, in netto contrasto con quella prevalente in epoca vittoriana che vedeva negli indios come nei neri africani o negli asiatici e comunque in chi non fosse bianco degli incivili o al più dei sottosviluppati, quando non proprio dei subumani. Tra l'altro recenti rilevamenti fanno pensare che Fawcett avesse ragione e che una civiltà evoluta, rifugiatasi nel cuore dell'Amazzonia o in altre zone forestali del Continente Sudamericano fosse esistita. In Fawcett convivono il militare, fedele alle regole del suo rango e che non mette in discussione l'ordine costituito, nemmeno all'interno della famiglia, dall'altro un uomo curioso, aperto al mondo e al prossimo, assetato di conoscenza, capace di cogliere il nuovo, con accanto una moglie intelligente e di carattere, che si potrebbe definire protofemminista, di cui è innamorato ma che nonostante tutto la abbandona per lunghi anni per lunghi periodi e da cui trova però comunque sostegno e comprensione. Anche se ogni tanto Gray indulge un po' al polpettonismo, lo fa con discrezione, senza esagerare, mentre per il resto il film offre delle riprese spettacolari, con tratti da film d'azione che possono ricordare I predatori dell'Arca perduta ma in versione seria, pur senza giungere all'epica e alle esagerazioni del Fitzcrarraldo di Herzog, da cui pure ha tratto qualcosa come pure da "Cuore di tenebra" di Conrad a cui Coppola si era ispirato per quel capolavoro assoluto che è Apcalypse Now. All'altezza anche il cast, con ruoli ben distribuiti e personaggi ben tratteggiati: un buon film nel suo genere, in qualunque modo lo si voglia definire: azione storico, dramma.
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