"Una vita" (Une vie) di Stéphane Brizé. Con Judith Chemla, Jean Pierre Darroussin, Yvonne Moreau, Swann Arlaud, Nina Meurisse e altri. Francia, Belgio 2016 ★★★½
Adattamento del primo romanzo di Guy de Maupassant, apparso nel 1883 come feuilleton su un quotidiano, Una vita conferma le buona qualità di Stéphane Brizé e la sua capacità di fare esprimere una vasta gamma sentimenti attraverso sfumature dagli attori che recitano per lui e che hanno la caratteristica di risultare estremamente naturali e autentici: nel suo film precedente, La legge del mercato, era Vincent Lindon; qui una straordinaria Judith Chemla, un autentico camaleonte in quanto a versatilità espressiva, come chiunque può constatare guardando una sua galleria di immagini in rete, ma con una misura e un controllo sorprendenti, almeno per chi come me non la conosceva. Un'autentica "mattatrice", che merita l'anomalo formato 4.3 in cui è girato il film, in cui per lo più è ritratta a figura intera lungo tutto l'arco della vita di Jeanne, il personaggio principale, che rivive la propria esistenza in una serie di successivi flash-back da l momento in cui, fanciulla in fiore figlia unica di una coppia di baroni illuminati che posseggono un buon numero di fattorie in Normandia all'inizio del XIX secolo, torna a casa dal collegio e, in età da marito, viene in qualche modo indotta a invaghirsi, specialmente da parte della madre, di un giovane aristocratico decaduto, figlio di un visconte suicida per debiti di gioco, fannullone e fedifrago come il padre, che prima mette incinta Rosalie, la giovane governante unica vera amica di Jeanne; perdonato una prima volta le dà un figlio, la tradisce nuovamente finché non viene ucciso insieme all'amante, un'amica di famiglia, dal di lei marito, a sua volta suicida. Jeanne si incupisce man mano, si trasforma, inebetisce progressivamente quando si ritrova col figlio Paul a rivivere la stessa parabola di disinganni. Moriranno i genitori, il patrimonio si consumerà, il figlio la dissangua finanziariamente e ricatta affettivamente non facendosi vedere per vent'anni, ma chi non l'abbandonerà mai sarà Rosalie, che anzi tornerà ad avere cura di lei pur essendo stata cacciata di casa ai tempi dai padroni, forse per scontare il suo "peccato" di essersi fatta irretire dal bellimbusto marito di lei. Una vita buttata, in fin dei conti, dietro a illusioni e a doveri impliciti nella condizione femminile (e non solo) dell'epoca, e una tipica trama da romanzo d'appendice, quale Una vita del resto era, ma la magìa del film, pure lento e non scevro da pesantezze così come il precedente di Brizé, è di farci fare un viaggio nel passato e vivere atmosfere, suggestioni, luci di un'epoca lontana come se fossero attuali e reali, e non si tratta solo di verosimiglianza e di accurata ricostruzione di ambienti, ma di qualcosa di vero e di autentico e che traspare soprattutto dalla naturalezza della figura di Jeanne, e quindi dalla vita che le regala la bravissima Judith Chemla: il film è lei.
Adattamento del primo romanzo di Guy de Maupassant, apparso nel 1883 come feuilleton su un quotidiano, Una vita conferma le buona qualità di Stéphane Brizé e la sua capacità di fare esprimere una vasta gamma sentimenti attraverso sfumature dagli attori che recitano per lui e che hanno la caratteristica di risultare estremamente naturali e autentici: nel suo film precedente, La legge del mercato, era Vincent Lindon; qui una straordinaria Judith Chemla, un autentico camaleonte in quanto a versatilità espressiva, come chiunque può constatare guardando una sua galleria di immagini in rete, ma con una misura e un controllo sorprendenti, almeno per chi come me non la conosceva. Un'autentica "mattatrice", che merita l'anomalo formato 4.3 in cui è girato il film, in cui per lo più è ritratta a figura intera lungo tutto l'arco della vita di Jeanne, il personaggio principale, che rivive la propria esistenza in una serie di successivi flash-back da l momento in cui, fanciulla in fiore figlia unica di una coppia di baroni illuminati che posseggono un buon numero di fattorie in Normandia all'inizio del XIX secolo, torna a casa dal collegio e, in età da marito, viene in qualche modo indotta a invaghirsi, specialmente da parte della madre, di un giovane aristocratico decaduto, figlio di un visconte suicida per debiti di gioco, fannullone e fedifrago come il padre, che prima mette incinta Rosalie, la giovane governante unica vera amica di Jeanne; perdonato una prima volta le dà un figlio, la tradisce nuovamente finché non viene ucciso insieme all'amante, un'amica di famiglia, dal di lei marito, a sua volta suicida. Jeanne si incupisce man mano, si trasforma, inebetisce progressivamente quando si ritrova col figlio Paul a rivivere la stessa parabola di disinganni. Moriranno i genitori, il patrimonio si consumerà, il figlio la dissangua finanziariamente e ricatta affettivamente non facendosi vedere per vent'anni, ma chi non l'abbandonerà mai sarà Rosalie, che anzi tornerà ad avere cura di lei pur essendo stata cacciata di casa ai tempi dai padroni, forse per scontare il suo "peccato" di essersi fatta irretire dal bellimbusto marito di lei. Una vita buttata, in fin dei conti, dietro a illusioni e a doveri impliciti nella condizione femminile (e non solo) dell'epoca, e una tipica trama da romanzo d'appendice, quale Una vita del resto era, ma la magìa del film, pure lento e non scevro da pesantezze così come il precedente di Brizé, è di farci fare un viaggio nel passato e vivere atmosfere, suggestioni, luci di un'epoca lontana come se fossero attuali e reali, e non si tratta solo di verosimiglianza e di accurata ricostruzione di ambienti, ma di qualcosa di vero e di autentico e che traspare soprattutto dalla naturalezza della figura di Jeanne, e quindi dalla vita che le regala la bravissima Judith Chemla: il film è lei.
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