"L'infanzia di un capo" (The Childhood of a Leader) di Brady Corbet. Con Bérenice Béjo, Tom Sweet, Liam Cunningham, Stacy Martin, Yolande Moreau, Tom Pattinson e altri. Francia, Gran Bretagna, Ungheria 2015 ★★★★1/2
Il filmone di una notte di mezza estate francamente non me l'aspettavo, benché la pellicola d'esordio del giovane Brady Corbet 28 anni, finora attore (Melancholia di Lars von Trier, Funny Games di Michael Haneke, dai quali ha indubbiamente assorbito molto) fosse stata premiata a Venezia nel 2015 come miglior opera prima e miglior regìa nella sezione Orizzonti. Disturbante fin dall'inizio, con una colonna sonora di grandissimo impatto che, mostrando filmati d'epoca su episodi della Prima Guerra Mondiale, introduce il periodo dell'immediato primo dopoguerra durante il quale si svolgono i tre episodi in cui si suddivide questo inconsueto racconto di formazione del carattere di un leader, ciascuno dei quali illustra un passaggio chiave nell'evoluzione di Prescott, un ragazzino non ancora 12 enne, personaggio principale, magnificamente interpretato dal bravissimo Tom Sweet. Siamo in un punto di snodo cruciale per gli eventi del Secolo Breve appena trascorso, alla vigilia del Trattato di Versailles che, secondo la maggior parte degli studiosi, spalancò le porte prima alle dittature fasciste e, di conseguenza, al secondo conflitto mondiale (nonché, aggiungo io, al predominio dell'Impero Americano) e il giovane Prescott è figlio di uno stretto collaboratore del presidente USA Wilson (primo artefice del famigerato trattato) e di una madre, bella quanto rigida, figlia di un missionario tedesco, colta ma insoddisfatta, profondamente contraddittoria, che nasconde le proprie inquietudini dietro il beghinismo ma che probabilmente ha una tresca con un ambiguo giornalista amico di famiglia, dal quale con ogni probabilità ha avuto anche Prescott. In ogni episodio il ragazzino ha uno scatto d'ira che esprime tutto il suo disprezzo verso un'educazione e delle regole contro le quali non può ribellarsi ma che rifiuta profondamente: osservando le contraddizioni e le meschinerie degli adulti, e analizzandone con infallibile precisione ogni debolezza, alla fine riesce a manovrarli e comunque a imporre in qualche modo il suo carattere; non si tirerà mai indietro, nemmeno quando la madre gli toglierà sia la giovane educatrice, sia la anziana e dolce governante, l'unica persona a cui è veramente legato da affetto. Nell'epilogo lo vedremo contornato da una folla festante e protetto da un esercito fedele (potrebbe essere quello di una qualsiasi delle dittature del Novecento)l al culmine dell'esercizio del suo potere, mestiere per cui le vicende della sua infanzia lo hanno preparato a dovere. Il film è potente perché evoca sensazioni senza necessità di avvalersi di cervellotiche osservazioni psicanalitiche quando bastano l'interazione tra i personaggi e l'accenno di turbamenti per generare una tensione che si trasmette allo spettatore, né di eccedere nel dettaglio storico: è più che sufficiente l'ambientazione in una vecchia casa di campagna poco fuori Parigi, la descrizione della vita famigliare attorno al piccolo Prescott, e verso la fine, un improvviso raduno di diplomatici per un incontro "off the records" organizzato dall'alto funzionario americano tra i diplomatici delle varie parti in causa, lontano dalla sede ufficiale della conferenza, durante la cena che lo conclude le tensioni (e il gioco di potere) tra padre e figlio vengono definitivamente a galla, dimostrando la sostanziale debolezza del primo e la definitiva affermazione a fortificazione di Prescott, che d'ora in poi lo disconoscerà e troverà forza in sé stesso. Bravi tutti, a cominciare dalla Béjo, un'attrice vera, e Liam Cunningham, ma soprattutto il sorprendente regista. Uno che di strada ne farà parecchia. Da non perdere.
Il filmone di una notte di mezza estate francamente non me l'aspettavo, benché la pellicola d'esordio del giovane Brady Corbet 28 anni, finora attore (Melancholia di Lars von Trier, Funny Games di Michael Haneke, dai quali ha indubbiamente assorbito molto) fosse stata premiata a Venezia nel 2015 come miglior opera prima e miglior regìa nella sezione Orizzonti. Disturbante fin dall'inizio, con una colonna sonora di grandissimo impatto che, mostrando filmati d'epoca su episodi della Prima Guerra Mondiale, introduce il periodo dell'immediato primo dopoguerra durante il quale si svolgono i tre episodi in cui si suddivide questo inconsueto racconto di formazione del carattere di un leader, ciascuno dei quali illustra un passaggio chiave nell'evoluzione di Prescott, un ragazzino non ancora 12 enne, personaggio principale, magnificamente interpretato dal bravissimo Tom Sweet. Siamo in un punto di snodo cruciale per gli eventi del Secolo Breve appena trascorso, alla vigilia del Trattato di Versailles che, secondo la maggior parte degli studiosi, spalancò le porte prima alle dittature fasciste e, di conseguenza, al secondo conflitto mondiale (nonché, aggiungo io, al predominio dell'Impero Americano) e il giovane Prescott è figlio di uno stretto collaboratore del presidente USA Wilson (primo artefice del famigerato trattato) e di una madre, bella quanto rigida, figlia di un missionario tedesco, colta ma insoddisfatta, profondamente contraddittoria, che nasconde le proprie inquietudini dietro il beghinismo ma che probabilmente ha una tresca con un ambiguo giornalista amico di famiglia, dal quale con ogni probabilità ha avuto anche Prescott. In ogni episodio il ragazzino ha uno scatto d'ira che esprime tutto il suo disprezzo verso un'educazione e delle regole contro le quali non può ribellarsi ma che rifiuta profondamente: osservando le contraddizioni e le meschinerie degli adulti, e analizzandone con infallibile precisione ogni debolezza, alla fine riesce a manovrarli e comunque a imporre in qualche modo il suo carattere; non si tirerà mai indietro, nemmeno quando la madre gli toglierà sia la giovane educatrice, sia la anziana e dolce governante, l'unica persona a cui è veramente legato da affetto. Nell'epilogo lo vedremo contornato da una folla festante e protetto da un esercito fedele (potrebbe essere quello di una qualsiasi delle dittature del Novecento)l al culmine dell'esercizio del suo potere, mestiere per cui le vicende della sua infanzia lo hanno preparato a dovere. Il film è potente perché evoca sensazioni senza necessità di avvalersi di cervellotiche osservazioni psicanalitiche quando bastano l'interazione tra i personaggi e l'accenno di turbamenti per generare una tensione che si trasmette allo spettatore, né di eccedere nel dettaglio storico: è più che sufficiente l'ambientazione in una vecchia casa di campagna poco fuori Parigi, la descrizione della vita famigliare attorno al piccolo Prescott, e verso la fine, un improvviso raduno di diplomatici per un incontro "off the records" organizzato dall'alto funzionario americano tra i diplomatici delle varie parti in causa, lontano dalla sede ufficiale della conferenza, durante la cena che lo conclude le tensioni (e il gioco di potere) tra padre e figlio vengono definitivamente a galla, dimostrando la sostanziale debolezza del primo e la definitiva affermazione a fortificazione di Prescott, che d'ora in poi lo disconoscerà e troverà forza in sé stesso. Bravi tutti, a cominciare dalla Béjo, un'attrice vera, e Liam Cunningham, ma soprattutto il sorprendente regista. Uno che di strada ne farà parecchia. Da non perdere.
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