"Napoli velata" di Ferzan Ozpetek. Con Giovanna Mezzogiorno, Peppe Barra, Anna Bonaiuto, Alessandro Borghi, Maria Pia Calzone, Biagio Forestieri, Isabella Ferrari, Luisa Ranieri, Carmine Recano, Maria Luisa Santella, Lina Sastri e altri. Italia 2017 ★★★½
Non ho difficoltà ad ammettere un approccio molto cauto e dubbioso all'ultimo film di Ozpetek, un regista che, dopo alcuni film promettenti, era man mano diventato ai miei occhi simbolo di un cinema autoreferenziale, ripetitivo, stereotipato, romanocentrico, che aveva dato vita, ai miei occhi, a una sorta di estetica der gazometro, ambientato com'era nel milieu alternativo-gay friendly-problematico-artistoide alle prese con crisi d'identità, perdite, ambiguità varie, il tutto nel raggio di un tiro di schioppo dall'ombelico di quel mondo che è il Pigneto, quartiere trendy semicentrale della capitale, e di essermi deciso a vederlo preso dallo sconforto della misera offerta del periodo natalizio, ma non ho nemmeno difficoltà ad ammettere che mi è piaciuto e d'essere uscito dalla sala soddisfatto. Pur rimanendo fedele alle tematiche che gli sono più care, dai rapporti famigliari a quelli di amicizia, al ruolo della memoria, al sentimento religioso nella sua accezione più ampia e alla centralità dell'aspetto sensuale, la loro immersione in una realtà, quella di Napoli, ben più sfaccettata, ricca e culturalmente profonda di quella superficiale e cinica romana, ha prodotto un risultato molto meno scontato di altre volte. Si tratta, alla fin fine, di una storia con una tinta noir di successivi svelamenti, con aspetti misterici che ben si combinano con l'anima partenopea, che porta via via Adriana, un'anatomopatologa chiusa in sé stessa, ad affrontare alla radice un trauma subito nell'infanzia, dopo aver assistito a un fatto tragico che aveva rimosso, andando alla ricerca di un fantasma, quello di Andrea, un giovane ambiguo, inquietante quanto affascinante, conosciuto a una festa in casa d'amici (nell'occasione si assisteva a una figliata dei femminielli illustrata da Peppe Barra nei panni di Pasquale) e con cui la riservata e quasi autistica dottoressa trascorre un'infuocata notte di passione: l'inizio di un rapporto che sembra finalmente molto promettente, profondo e coinvolgente, ma invece che in una sala del Museo Archeologico, dove s'erano dati appuntamento per la sera, Adriana lo ritroverà sul tavolo dell'obitorio, cadavere. Da quel momento ne scorgerà ovunque il fantasma, individuandolo in un sedicente gemello di Andrea: realtà e fantasia si confondono ma alla fine non avrà importanza, perché quel che viene descritto è da un lato l'intricato percorso mentale della donna, dall'altro la vita palpitante ma al contempo intrisa di morte della città partenopea, ai più sconosciuta nei suoi riti e nei suoi misteri, che spesso è velata, come lo straordinario Cristo della cappella di Sansevero, perché "la gente non sopporta troppa verità". Detto di Peppe Barra, danno un grosso contributo alla riuscita del film Giovanna Mezzogiorno nella parte di Adriana e le altre interpreti femminili, a suo modo però anche l'algido, irritante e quasi plastificato Andrea interpretato da Alessandro Borghi, quasi finto in tanta carnalità e a contrasto col desiderio che suscita in Adriana; come anche una fotografia eccellente e una colonna sonora azzeccata e gradevole senza mai essere banale o cadere nel pittoresco. Napoli non è quella turistica però nemmeno quella di Gomorra, ma una città che Ozpetek ha imparato a conoscere bene (per avervi curato, al San Carlo, la regìa de La Traviata) e che, a cominciare dal suo profondo e insopprimibile substrato ellenico, ha molto in comune con un'altra città di origine greca, Istanbul, che rimane pur sempre Costantinopoli, dove il regista è nato.
Non ho difficoltà ad ammettere un approccio molto cauto e dubbioso all'ultimo film di Ozpetek, un regista che, dopo alcuni film promettenti, era man mano diventato ai miei occhi simbolo di un cinema autoreferenziale, ripetitivo, stereotipato, romanocentrico, che aveva dato vita, ai miei occhi, a una sorta di estetica der gazometro, ambientato com'era nel milieu alternativo-gay friendly-problematico-artistoide alle prese con crisi d'identità, perdite, ambiguità varie, il tutto nel raggio di un tiro di schioppo dall'ombelico di quel mondo che è il Pigneto, quartiere trendy semicentrale della capitale, e di essermi deciso a vederlo preso dallo sconforto della misera offerta del periodo natalizio, ma non ho nemmeno difficoltà ad ammettere che mi è piaciuto e d'essere uscito dalla sala soddisfatto. Pur rimanendo fedele alle tematiche che gli sono più care, dai rapporti famigliari a quelli di amicizia, al ruolo della memoria, al sentimento religioso nella sua accezione più ampia e alla centralità dell'aspetto sensuale, la loro immersione in una realtà, quella di Napoli, ben più sfaccettata, ricca e culturalmente profonda di quella superficiale e cinica romana, ha prodotto un risultato molto meno scontato di altre volte. Si tratta, alla fin fine, di una storia con una tinta noir di successivi svelamenti, con aspetti misterici che ben si combinano con l'anima partenopea, che porta via via Adriana, un'anatomopatologa chiusa in sé stessa, ad affrontare alla radice un trauma subito nell'infanzia, dopo aver assistito a un fatto tragico che aveva rimosso, andando alla ricerca di un fantasma, quello di Andrea, un giovane ambiguo, inquietante quanto affascinante, conosciuto a una festa in casa d'amici (nell'occasione si assisteva a una figliata dei femminielli illustrata da Peppe Barra nei panni di Pasquale) e con cui la riservata e quasi autistica dottoressa trascorre un'infuocata notte di passione: l'inizio di un rapporto che sembra finalmente molto promettente, profondo e coinvolgente, ma invece che in una sala del Museo Archeologico, dove s'erano dati appuntamento per la sera, Adriana lo ritroverà sul tavolo dell'obitorio, cadavere. Da quel momento ne scorgerà ovunque il fantasma, individuandolo in un sedicente gemello di Andrea: realtà e fantasia si confondono ma alla fine non avrà importanza, perché quel che viene descritto è da un lato l'intricato percorso mentale della donna, dall'altro la vita palpitante ma al contempo intrisa di morte della città partenopea, ai più sconosciuta nei suoi riti e nei suoi misteri, che spesso è velata, come lo straordinario Cristo della cappella di Sansevero, perché "la gente non sopporta troppa verità". Detto di Peppe Barra, danno un grosso contributo alla riuscita del film Giovanna Mezzogiorno nella parte di Adriana e le altre interpreti femminili, a suo modo però anche l'algido, irritante e quasi plastificato Andrea interpretato da Alessandro Borghi, quasi finto in tanta carnalità e a contrasto col desiderio che suscita in Adriana; come anche una fotografia eccellente e una colonna sonora azzeccata e gradevole senza mai essere banale o cadere nel pittoresco. Napoli non è quella turistica però nemmeno quella di Gomorra, ma una città che Ozpetek ha imparato a conoscere bene (per avervi curato, al San Carlo, la regìa de La Traviata) e che, a cominciare dal suo profondo e insopprimibile substrato ellenico, ha molto in comune con un'altra città di origine greca, Istanbul, che rimane pur sempre Costantinopoli, dove il regista è nato.
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