"Morto Stalin se ne fa un altro" (The Death of Stalin) di Armando Jannucci. Con Steve Buscemi, Simon Russell Beale, Olga Kurylenko, Michael Palin, Paddy Considine, Jason Isaacs, Jeffrey Tambor, Andrea Riseborough, Jonathan Aris, Rupert Friend. GB, Francia 2017 ★★★★½
Che si trattasse di un film da non perdere me lo garantiva, in un cast di caratteristi strepitosi, capitanati da Steve Buscemi (nei panni di Krushchev) la presenza di Michael Palin, il "cementatore" dei Monty Python, che interpreta Beria, due fra i membri del politburo del PCUS che, dopo aver avuto notizia che Stalin era stato colpito da un ictus il 28 febbraio del 1953, tramarono per due giorni fra le segrete stanze del Cremlino e la dacia del dittatore prima di comunicarne morte, per risolvere tra loro la guerra di successione e indicarne l'erede, Krsushchev per l'appunto, dando il via alla destalinizzazione, in sostanza alla continuazione della dittatura sotto altro nome e forme più morbide, oltre a confermare una costante di tradimenti, menzogne, odi profondi, calunnie, paranoia, manipolazione sistematica delle persone come dei fatti, violenza che sono nella tradizione della storia comunista e, in in maniera meno cruenta, di tutta la sinistra che si rifà al povero Marx, che non poteva immaginare che il suo pensiero avrebbe avuto interpreti simili. Tutto nasce da un concerto di Mozart trasmesso da Radio Mosca che Stalin ascolta a spezzoni mentre fa bisboccia con gli altri membri del politburo, e che gli piace così tanto che ne ordina la registrazione. Ma siccome quella sera non era stata prevista, il direttore della radio si vede costretto a far tornare al loro posto gli orchestrali che, terrorizzati, accettano di buon grado, salvo la giovane pianista, la cui famiglia era stata sterminata dal tiranno, che acconsente alla replica soltanto dopo aver estorto un compenso extra di 20 mila rubli e di poter infilare nel disco un biglietto per Stalin che, una volta lettolo, stramazzerà al suolo, andando in coma. Saputo della notizia, l'intero comitato centrale dapprima non vuole prendersi la responsabilità di chiamare dei medici, anche perché i migliori erano stati mandati nei gulag o ammazzati, dall'altro torna loro comodo un periodo di sospensione in cui possono scatenarsi in tutta una serie di colpi bassi, meschinerie, imbrogli, violenze, compreso un massacro di civili venuti nella capitale per rendere omaggio al Piccolo Padre. Fra tutti i loschi personaggi, tra cui Malenkov, Zhukov, Mezhnikov e Andryev, giganteggia Beria (e con lui il grande Simon Russell Beale), capo della polizia politica, inizialmente accreditato come il più probabile successore e il più temibile, avendo trafugato tutti i dossier sugli altri membri del comitato centrale disposti da Stalin e potendoli così ricattare a piacimento, ma sarà il terrore di questi a coalizzarli contro di lui e a perderlo. Tratta da una graphic novel (genere spesso più efficace di un romanzo o di un ponderoso saggio) la sceneggiatura è agile e supporta a meraviglia l'intero cast e il film, pur farsesco e in continua oscillazione fra realtà e fantasia, riesce alla fine più credibile e realista di qualsiasi verità storica, mettendo a nudo ancora una volta la bramosia e le miserie, gli abissi di abiezione e mediocrità che si celano dietro al potere. Già dal titolo, una premessa e una promessa mantenute. Da non perdere.
Che si trattasse di un film da non perdere me lo garantiva, in un cast di caratteristi strepitosi, capitanati da Steve Buscemi (nei panni di Krushchev) la presenza di Michael Palin, il "cementatore" dei Monty Python, che interpreta Beria, due fra i membri del politburo del PCUS che, dopo aver avuto notizia che Stalin era stato colpito da un ictus il 28 febbraio del 1953, tramarono per due giorni fra le segrete stanze del Cremlino e la dacia del dittatore prima di comunicarne morte, per risolvere tra loro la guerra di successione e indicarne l'erede, Krsushchev per l'appunto, dando il via alla destalinizzazione, in sostanza alla continuazione della dittatura sotto altro nome e forme più morbide, oltre a confermare una costante di tradimenti, menzogne, odi profondi, calunnie, paranoia, manipolazione sistematica delle persone come dei fatti, violenza che sono nella tradizione della storia comunista e, in in maniera meno cruenta, di tutta la sinistra che si rifà al povero Marx, che non poteva immaginare che il suo pensiero avrebbe avuto interpreti simili. Tutto nasce da un concerto di Mozart trasmesso da Radio Mosca che Stalin ascolta a spezzoni mentre fa bisboccia con gli altri membri del politburo, e che gli piace così tanto che ne ordina la registrazione. Ma siccome quella sera non era stata prevista, il direttore della radio si vede costretto a far tornare al loro posto gli orchestrali che, terrorizzati, accettano di buon grado, salvo la giovane pianista, la cui famiglia era stata sterminata dal tiranno, che acconsente alla replica soltanto dopo aver estorto un compenso extra di 20 mila rubli e di poter infilare nel disco un biglietto per Stalin che, una volta lettolo, stramazzerà al suolo, andando in coma. Saputo della notizia, l'intero comitato centrale dapprima non vuole prendersi la responsabilità di chiamare dei medici, anche perché i migliori erano stati mandati nei gulag o ammazzati, dall'altro torna loro comodo un periodo di sospensione in cui possono scatenarsi in tutta una serie di colpi bassi, meschinerie, imbrogli, violenze, compreso un massacro di civili venuti nella capitale per rendere omaggio al Piccolo Padre. Fra tutti i loschi personaggi, tra cui Malenkov, Zhukov, Mezhnikov e Andryev, giganteggia Beria (e con lui il grande Simon Russell Beale), capo della polizia politica, inizialmente accreditato come il più probabile successore e il più temibile, avendo trafugato tutti i dossier sugli altri membri del comitato centrale disposti da Stalin e potendoli così ricattare a piacimento, ma sarà il terrore di questi a coalizzarli contro di lui e a perderlo. Tratta da una graphic novel (genere spesso più efficace di un romanzo o di un ponderoso saggio) la sceneggiatura è agile e supporta a meraviglia l'intero cast e il film, pur farsesco e in continua oscillazione fra realtà e fantasia, riesce alla fine più credibile e realista di qualsiasi verità storica, mettendo a nudo ancora una volta la bramosia e le miserie, gli abissi di abiezione e mediocrità che si celano dietro al potere. Già dal titolo, una premessa e una promessa mantenute. Da non perdere.
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