lunedì 6 febbraio 2023

Le otto montagne

"Le otto montagne" di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo, Surakshya Panta, Elisa Zanotto e altri. Italia, Belgio, Francia 2022 ★★★★+

La "prova orologio" è inoppugnabile: se nell'arco di ben due ore e mezzo, la durata della proiezione, non ho staccato gli occhi dallo schermo nemmeno per dare  un'occhiata al quadrante non ci sono dubbi che il film mi è piaciuto e mi ha "preso". Parecchio. E non tanto per le immagini delle montagne: innanzitutto perché mi inquietano, motivo per cui non ho letto il libro di Paolo Cognetti da cui è tratto (Premio Strega nel 2017), e poi perché le inquadrature in formato 4/3 sono funzionali a raccontare la storie di un'amicizia e sui due personaggi principali, e non a puntare sulla spettacolarità dei paesaggi, che pure sono potenti: siamo nella Valle d'Ayas, ai piedi Monte Rosa e del Cervino (e, nella seconda parte del film, a tratti perfino nel Nepal, sul Tetto del Mondo). I due si conoscono fin da bambini: Pietro viene da Torino e trascorre la vacanze estive in Val d'Aosta con la famiglia: la madre è insegnante, il padre, Giovanni, è un ingegnere che lavora in una grande fabbrica e cerca di trasmettere al figlio l'amore per la montagna; Bruno è l'unico ragazzino che vive al paese, affidato a una zia, perché il padre lavora all'estero come muratore, destino che costringerà anche Bruno a seguire, motivo per cui i due si perdono di vista, benché Pietro trascorra là le vacanze estive finché vivrà coi genitori. Si ritroveranno già trentenni, quando Pietro tornerà là dopo la morte del padre avendo ereditato una vecchia baita e Bruno, rientrato anche lui al paese perché preferisce la vita del montanaro a quella del manovale salariato, si offrirà di rimetterla in sesto, perché così avrebbe voluto Giovanni, il padre di Pietro, con cui aveva instaurato un ottimo e profondo rapporto. Non sto a raccontare oltre la trama, limitandomi a dire che si tratta, per l'appunto, di un'amicizia forte, sincera, dove fatti e comportamenti contano molto più delle parole: uno ci sarà per l'altro, senza alcuna invadenza, nel momento del bisogno, anche perché entrambi hanno antenne sensibili e, nonostante le tante differenze, hanno alcuni decisivi tratti in comune, a cominciare dal rapporto conflittuale coi rispettivi padri (e per una volta non c'è alcun Edipo irrisolto in ballo, ma contrasti ben più sostanziali e comuni tra i mortali), da cui entrambi, in modi diversi, si sono affrancati, tanto che Bruno, senza forzarlo, riesce a trasmettere a Pietro quell'amore per la montagna che gli era rimasto indigesto quando glielo imponeva il padre. Resteranno profondamente amici, un rapporto sobrio, rispettoso e senza smancerie, anche quando intraprenderanno strade che li porteranno molto lontani: Pietro perfino in Nepal, dove viaggerà spesso; Bruno sempre più in alto, assieme alla sua compagna di vita (era un'amica di Pietro), con cui ha ridato vita a un alpeggio appartenuto a uno zio e producendo formaggi: rimarrà coerente alla sua scelta fino in fondo, e Pietro sarà l'unico che la capirà davvero. Ovviamente parte del criticume professionale ha avuto da ridire sul film per alcune ingenuità, a cominciare da una colonna sonora da qualcuno ritenuta "incongrua" perché costituita da brani folk e new age (chissà, forse si aspettavano uno jodel...), ma lo stile asciutto e antiretorico della coppia di registi fiamminghi ha parlato al cuore del pubblico, ed è questo l'essenziale, altrimenti il film non sarebbe ancora in programmazione, e non a caso ha convinto i giudici dell'ultimo Festival di Cannes che ha assegnato loro il Premio della Giuria. Complimenti vivissimi ai due interpreti, Alessandro Borghi (Bruno) e Luca Marinelli (Pietro), non una scoperta per noi italiani, ancora più sorprendenti perché, pur essendo entrambi romani, sono stati entrambi in grado di pronunciare senza problemi e più volte il suono ü", cosa pressoché impossibile per chi sia nato sotto la "Linea Gotica" a meno di non avere radici celtiche: se un appunto si può fare, è che l'accento di Bruno più che valdostano/piemontese alle mie orecchie suona lombardo, tra il valtellinese e il chiavennasco...

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