"Il cittadino illustre" (El ciudadano ilustre) di Gastón Duprat, Mariano Cohn. Con Oscar Martínez, Dady Brieva, Belén Chavanne, Andrea Frigerio, Nora Navas, Gerardo Palacios, Manuel Vicente, Marcelo D'Andrea e altri. Argentina, Spagna 2016 ★★★★★
C'è del genio nel cinema argentino di qualità, e perfino della preveggenza, pensando alla telenovela dell'assegnazione del Premio Nobel della letteratura di quest'anno a Bob Dylan, e questo film spiega bene il motivo per cui il cantautore americano si guarda bene dall'andare a ritirarlo: per non fare la fine di Daniel Mantovani, il "cittadino illustre" di cui al titolo. Questi, nel suo lucido discorso di accettazione all'accademia di Stoccolma, già prevede che il premio decreterà la fine del suo essere scrittore, trasformandolo in un un monumento destinato a essere dimenticato in un museo. E così è, perché per cinque anni non scriverà più nulla, si isolerà e si impegnerà soltanto a disdire il più possibile incontri, presentazioni, lezioni universitarie, interviste, evitando accuratamente quella stessa società che gli ha dato la celebrità: accetterà soltanto, lasciando senza parole la sua assistente, di tornare in Argentina per ricevere la cittadinanza onoraria di Salas, un paesino sperso nell'immensa provincia di Buenos Aires, dov'è nato e dalla cui realtà sordida era fuggito quarant'anni prima per l'Europa, stabilendosi infine a Barcellona. Lo ritroverà apparentemente al passo coi tempi, dagli smartphone, ai SUV e altre amenità moderne, ma fondamentalmente identico nel suo infinito squallore e in quello dei suoi grotteschi quanto verosimili personaggi, meschini, invidiosi, ridicoli, ottusi, spesso orrendi, che avevano ispirato tutta l'opera che aveva lo reso famoso come autore. L'accoglienza è già surreale, con un improbabile autista mandato a prendere Daniel all'aeroporto della capitale a bordo di una FIAT Duna (sopravvivono soltanto in Argentina) che, per accorciare di un'inezia il tragitto di sette ore fino a Salas, infila una "scorciatoia" nei campi sconfinati della Pampa bucando una ruota e lì trascorreranno una notte all'addiaccio, ed è solo la prima avventura di tutta una serie in crescendo implacabile di incontri, dal sindaco maneggione, all'amico d'infanzia che ne ha sposato la ex fidanzata e che in realtà lo odia, alla ex, per l'appunto, a una Lolita inquietante con cui finisce a letto (con sorpresa), a un arrogante personaggio con velleità artistiche che lo contesta finendo per perseguitarlo, e l'avventura, da farsesca che era, si evolve in dramma. Il finale è a sorpresa e non lo svelo, ma ci sta tutto, e il ritorno al passato di Daniel (un immenso Oscar Martínez, giustamente premiato a Venezia in settembre con la Coppa Volpi) ne segnerà ancora una volta il destino, in una sorta di ciclo dell'eterno ritorno. Detto di Martínez, anche tutti gli altri caratteristi sono encomiabili e tragicamente credibili, per non dire del luogo, così spiazzante ma assurdamente reale come riescono a essere tanti paesi e città della Pampa popolati per buona parte di emigrati italiani a quelle latitudini, un elogio ai due registi, innovativi autori televisivi che in Argentina hanno lanciato Canal Ciudad Abierta in cui hanno dato vita a serie sperimentali di gran successo e che nel cinema si erano già distinti per El Artista, del 2008, coprodotto da Istituto Luce e per L'uomo della porta accanto del 2009, premiato al Sundance Festival per il cinema indipendente. Un film memorabile per intelligenza ed essenzialità.
C'è del genio nel cinema argentino di qualità, e perfino della preveggenza, pensando alla telenovela dell'assegnazione del Premio Nobel della letteratura di quest'anno a Bob Dylan, e questo film spiega bene il motivo per cui il cantautore americano si guarda bene dall'andare a ritirarlo: per non fare la fine di Daniel Mantovani, il "cittadino illustre" di cui al titolo. Questi, nel suo lucido discorso di accettazione all'accademia di Stoccolma, già prevede che il premio decreterà la fine del suo essere scrittore, trasformandolo in un un monumento destinato a essere dimenticato in un museo. E così è, perché per cinque anni non scriverà più nulla, si isolerà e si impegnerà soltanto a disdire il più possibile incontri, presentazioni, lezioni universitarie, interviste, evitando accuratamente quella stessa società che gli ha dato la celebrità: accetterà soltanto, lasciando senza parole la sua assistente, di tornare in Argentina per ricevere la cittadinanza onoraria di Salas, un paesino sperso nell'immensa provincia di Buenos Aires, dov'è nato e dalla cui realtà sordida era fuggito quarant'anni prima per l'Europa, stabilendosi infine a Barcellona. Lo ritroverà apparentemente al passo coi tempi, dagli smartphone, ai SUV e altre amenità moderne, ma fondamentalmente identico nel suo infinito squallore e in quello dei suoi grotteschi quanto verosimili personaggi, meschini, invidiosi, ridicoli, ottusi, spesso orrendi, che avevano ispirato tutta l'opera che aveva lo reso famoso come autore. L'accoglienza è già surreale, con un improbabile autista mandato a prendere Daniel all'aeroporto della capitale a bordo di una FIAT Duna (sopravvivono soltanto in Argentina) che, per accorciare di un'inezia il tragitto di sette ore fino a Salas, infila una "scorciatoia" nei campi sconfinati della Pampa bucando una ruota e lì trascorreranno una notte all'addiaccio, ed è solo la prima avventura di tutta una serie in crescendo implacabile di incontri, dal sindaco maneggione, all'amico d'infanzia che ne ha sposato la ex fidanzata e che in realtà lo odia, alla ex, per l'appunto, a una Lolita inquietante con cui finisce a letto (con sorpresa), a un arrogante personaggio con velleità artistiche che lo contesta finendo per perseguitarlo, e l'avventura, da farsesca che era, si evolve in dramma. Il finale è a sorpresa e non lo svelo, ma ci sta tutto, e il ritorno al passato di Daniel (un immenso Oscar Martínez, giustamente premiato a Venezia in settembre con la Coppa Volpi) ne segnerà ancora una volta il destino, in una sorta di ciclo dell'eterno ritorno. Detto di Martínez, anche tutti gli altri caratteristi sono encomiabili e tragicamente credibili, per non dire del luogo, così spiazzante ma assurdamente reale come riescono a essere tanti paesi e città della Pampa popolati per buona parte di emigrati italiani a quelle latitudini, un elogio ai due registi, innovativi autori televisivi che in Argentina hanno lanciato Canal Ciudad Abierta in cui hanno dato vita a serie sperimentali di gran successo e che nel cinema si erano già distinti per El Artista, del 2008, coprodotto da Istituto Luce e per L'uomo della porta accanto del 2009, premiato al Sundance Festival per il cinema indipendente. Un film memorabile per intelligenza ed essenzialità.
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