"Captain Fantastic" di Matt Ross. Con Viggo Mortensen, George MacKay, Annalise Basso, Samantha Isler, Shree Crooks, Nicholas Hamilton, Charlie Shotwell, Frank Langella, Kathryn Hahn, Steve Zahn e altri. USA 2016 ☠
Quello attorno a Natale è, cinematograficamente parlando, il momento più difficile dell'anno, più dell'estate quando, per lo meno, si riesumano i film usciti durante la stagione vera e propria e si fa in tempo e recuperare quelli persi. In queste settimane no: a parte qualche rara eccezione, a far concorrenza ai pecorecci cinepanettoni nostrani dall'estero arrivano prodotti discutibili, a volte così pretenziosi da diventare irritanti e indisporre ancora di più dei primi, che almeno dichiarano il loro intento di far cassetta senza buttarla sull'intellettuale. Un esempio da manuale è questo Captain Fantastic, che ha avuto buone recensioni dalla critica militonta e buonista per il solo fatto di essere un film indipendente, di quelli che hanno successo al Sundance Festival, intrisi di politically correct, invariabilmente di tema adolescenziale con tutte le sfaccettature del caso: in questo si tratta dell'educazione "fuori dagli schemi" che Ben, una specie di hippie seguace, a suo dire, dell'incolpevole Noam Chomsky, inopportunamente tirato in mezzo, e la moglie Leslie impartiscono ai sei figli (Ben è un inseminator seriale quasi a livello di Mick Jagger) rintanandosi nelle foreste del Nord Ovest degli USA, vivendo di ciò che la natura offre, e badando personalmente a fornire loro un'istruzione di stampo marxista-survivalista. Capita che il padre-amico-dittatore, che tiene segregata la vasta e variegata famiglia, rimanga da solo perché Leslie, malata di un grave disturbo bipolare perché forse le è venuto un dubbio sulle sue scelte demenziali, si suicida. Per partecipare ai suoi funerali tocca che si mettano in viaggio verso l'odiato mondo consumista, a bordo di Steve, un vecchio scuola-bus, quasi un must in questo tipo di pellicole, prima dai cognati-cugini, poi dagli abbienti genitori di Leslie, nel New Mexico, dove il suocero e nonno, Jack, è deciso a far togliere la patria potestà a Ben per far frequentare delle scuole normali ai ragazzi. Non sto a raccontare quanto accada durante il viaggio e poi al funerale e come va a finire la storia, in un crescendo di vicende improbabili e al contempo banali per non togliere la "sorpresa" a coloro che si avventureranno a vedere questa roba, di cui non si capisce lo scopo che, se è quello di criticare il "sistema", fa in compenso fare la figura degli idioti a questi ecologisti ridicoli, talebanamente americani, in una specie di commediola che nulla ha che fare con il radicalismo del protagonista di Into the Wild di Sean Penn. L'unica nota positiva in mezzo a una marea di luoghi comuni sono i ragazzi, la cui interpretazione ha almeno il dono della freschezza, che non è il forte del penoso Rigor Mortensen, omen nomen, nella parte di Ben, la cui espressione di una fissità inquietante non cambia nemmeno quando si rade la barba incolta ed ecco, si tramuta in un sosia di Pavel Nedved, il calciatore più scorretto e meno stimabile che abbia calcato un campo di gioco italiano, e gli ultimi quindici minuti di pellicola in un incubo. Risparmiatevi i soldi del biglietto.
Quello attorno a Natale è, cinematograficamente parlando, il momento più difficile dell'anno, più dell'estate quando, per lo meno, si riesumano i film usciti durante la stagione vera e propria e si fa in tempo e recuperare quelli persi. In queste settimane no: a parte qualche rara eccezione, a far concorrenza ai pecorecci cinepanettoni nostrani dall'estero arrivano prodotti discutibili, a volte così pretenziosi da diventare irritanti e indisporre ancora di più dei primi, che almeno dichiarano il loro intento di far cassetta senza buttarla sull'intellettuale. Un esempio da manuale è questo Captain Fantastic, che ha avuto buone recensioni dalla critica militonta e buonista per il solo fatto di essere un film indipendente, di quelli che hanno successo al Sundance Festival, intrisi di politically correct, invariabilmente di tema adolescenziale con tutte le sfaccettature del caso: in questo si tratta dell'educazione "fuori dagli schemi" che Ben, una specie di hippie seguace, a suo dire, dell'incolpevole Noam Chomsky, inopportunamente tirato in mezzo, e la moglie Leslie impartiscono ai sei figli (Ben è un inseminator seriale quasi a livello di Mick Jagger) rintanandosi nelle foreste del Nord Ovest degli USA, vivendo di ciò che la natura offre, e badando personalmente a fornire loro un'istruzione di stampo marxista-survivalista. Capita che il padre-amico-dittatore, che tiene segregata la vasta e variegata famiglia, rimanga da solo perché Leslie, malata di un grave disturbo bipolare perché forse le è venuto un dubbio sulle sue scelte demenziali, si suicida. Per partecipare ai suoi funerali tocca che si mettano in viaggio verso l'odiato mondo consumista, a bordo di Steve, un vecchio scuola-bus, quasi un must in questo tipo di pellicole, prima dai cognati-cugini, poi dagli abbienti genitori di Leslie, nel New Mexico, dove il suocero e nonno, Jack, è deciso a far togliere la patria potestà a Ben per far frequentare delle scuole normali ai ragazzi. Non sto a raccontare quanto accada durante il viaggio e poi al funerale e come va a finire la storia, in un crescendo di vicende improbabili e al contempo banali per non togliere la "sorpresa" a coloro che si avventureranno a vedere questa roba, di cui non si capisce lo scopo che, se è quello di criticare il "sistema", fa in compenso fare la figura degli idioti a questi ecologisti ridicoli, talebanamente americani, in una specie di commediola che nulla ha che fare con il radicalismo del protagonista di Into the Wild di Sean Penn. L'unica nota positiva in mezzo a una marea di luoghi comuni sono i ragazzi, la cui interpretazione ha almeno il dono della freschezza, che non è il forte del penoso Rigor Mortensen, omen nomen, nella parte di Ben, la cui espressione di una fissità inquietante non cambia nemmeno quando si rade la barba incolta ed ecco, si tramuta in un sosia di Pavel Nedved, il calciatore più scorretto e meno stimabile che abbia calcato un campo di gioco italiano, e gli ultimi quindici minuti di pellicola in un incubo. Risparmiatevi i soldi del biglietto.
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