"Moglie e marito" di Simone Godano. Con Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Valerio Aprea, Sebastian Dimulescu, Paola Calliari, Marta Gastini e altri. Italia 2017 ★★★★+
La sera di giovedì scorso ero rimasto indeciso fino all'ultimo se dare la precedenza a questo film oppure a Lasciati andare, che proiettavano in prima visione e in contemporanea all'ex Teatro e ora Cinema Adriano di Roma e, dopo aver optato per quest'ultimo e aspettando l'inizio dello spettacolo, avevo incrociato Pierfrancesco Favino, in nervosa attesa di qualcuno, all'Enoteca Costantini lì accanto; mi ero chiesto se fosse lì per fare passerella alla presentazione del film e detto che, in tal caso, visto il prevedibile affollamento di fan, dato che l'attore giocava in casa, avevo fatto bene a dare la precedenza al film di cui era protagonista Toni Servillo, che mi immaginavo meno disponibile all'atto di presenza (una mia illazione; in realtà Favino, che è uno degli attori italiani che preferisco, mi ha dato l'impressione di una persona molto discreta, educata e che non se la tirasse per nulla, perfino timida). La sala in effetti era semivuota, non so quella in ci si proiettava Moglie e marito, che avrei visto il giorno appresso al Royal di Trastevere. Della piacevolezza di Lasciati andare ho detto, con la garanzia a priori della coppia Servillo-Signoris, ma la vera sorpresa è stata lungometraggio dell'esordiente Simone Godano, che ha confermato che qualcosa di notevole si sta muovendo sul fronte della commedia nostrana facendola uscire dagli abusati, fastidiosi e provinciali stereotipi dell'all'italiana, i cui tristi epigoni si sono dimostrati incapaci di ridare lustro a una tradizione che risaliva agli anni Sessanta: qui si parla un linguaggio diverso e nuovo e con un occhio finalmente di riguardo alla sceneggiatura (che in questo caso ha anche la felice mano di una giovane attrice e scrittrice statunitense, per quanto italianizzata, come Giulia Steigerwalt). Come anche nel caso della serie Smetto quando voglio e, per esempio, Perfetti sconosciuti (che vedeva tra i protagonisti, come qui, Kasia Smutniak, che a sua volta si conferma attrice a tutto tondo che non vive della gloria di ex modella) o la serie Smetto quando voglio e lo stesso Lasciati andare, il cambiamento di passo rispetto alla solita fuffa è impressionante quanto il salto di qualità. In Moglie e marito lo spunto è quello dello scambio di personalità dovuto a un incidente fortuito in una coppia di professionisti con due figli piccoli ormai sfiatata da dieci anni di matrimonio e incomprensioni: lui un geniale neurochirurgo che da anni lavora a un progetto per il recupero della memoria infantile in cui ha investito tutta l'eredità di famiglia e stanco di abitare in città, lei una giornalista free lance che ha finalmente la grande occasione della conduzione di un programma di punta in una televisione nazionale che ha sede nella capitale e quindi nessuna intenzione di farsela scappare lasciando la città: disgraziatamente acconsente a una sperimentazione con il marchingegno costruito dal marito assieme a un collega ma un corto circuito fa succedere il disastro e così Sofia si ritrova, letteralmente, nei panni e nel corpo di Angelo e viceversa. Da qui in poi parte una sequela di equivoci e situazioni paradossali: Sofia/Savino, muovendosi con grazia femminile nell'ospedale in cui lavora il marito, priva di qualsiasi infarinatura scientifica e terrorizzata dal sangue si ritroverà in una sala operatoria e a perorare un investimento multimilionario sull'apparecchio di invenzione del marito creando un casino; Andrea/Smutniak, sacramentando fra sé come un camionista incazzato, malfermo sui tacchi a spillo e incapace di accavallare le gambe con i collant calati a metà e le mutande a vista farà un esordio disastroso davanti alle telecamere: nonostante il grottesco delle situazioni che si vengono a creare e lo scadimento nel volgare e nello scontato sempre in agguato, le sorprese di susseguono senza mai cadere nel banale e nel caricaturale; una scrittura al servizio degli attori lascia loro ampio spazio per dare corpo ai rispettivi personaggi e tempo per farli entrare sintonia, e questo vale non solo per la sorprendente coppia Favino-Smutniak, ma altresì per i personaggi di contorno ma mai secondari, a cominciare da un Valerio Aprea da applausi e da Marta Gastini (già apprezzata moltissimo in Questi giorni) cui bastano poche battute per farsi ricordare: un lavoro di amalgama, coordinazione ed equilibrio tra le parti che va a pieno merito del regista. Raramente ho sentito tante risate di gusto in sala negli ultimi anni, ma perfino il lato comico passa in secondo piano rispetto all'analisi brillante, puntuale e mai prevenuta dei meccanismi di coppia e lasciar trapelare, senza alcuna pedanteria e tra le righe, la necessità di un'empatia che passa anche, ma non solo attraverso i corpi, sottolineando la necessità di una sintonia più profonda (la disponibilità a mettersi nei panni, qui letteralmente, dell'altro), la stessa che in tutta evidenza si è creata sul set non soltanto fra i due protagonisti principali ma in tutto il cast sotto la direzione di un giovane regista cui prestare fiducia e attenzione.
La sera di giovedì scorso ero rimasto indeciso fino all'ultimo se dare la precedenza a questo film oppure a Lasciati andare, che proiettavano in prima visione e in contemporanea all'ex Teatro e ora Cinema Adriano di Roma e, dopo aver optato per quest'ultimo e aspettando l'inizio dello spettacolo, avevo incrociato Pierfrancesco Favino, in nervosa attesa di qualcuno, all'Enoteca Costantini lì accanto; mi ero chiesto se fosse lì per fare passerella alla presentazione del film e detto che, in tal caso, visto il prevedibile affollamento di fan, dato che l'attore giocava in casa, avevo fatto bene a dare la precedenza al film di cui era protagonista Toni Servillo, che mi immaginavo meno disponibile all'atto di presenza (una mia illazione; in realtà Favino, che è uno degli attori italiani che preferisco, mi ha dato l'impressione di una persona molto discreta, educata e che non se la tirasse per nulla, perfino timida). La sala in effetti era semivuota, non so quella in ci si proiettava Moglie e marito, che avrei visto il giorno appresso al Royal di Trastevere. Della piacevolezza di Lasciati andare ho detto, con la garanzia a priori della coppia Servillo-Signoris, ma la vera sorpresa è stata lungometraggio dell'esordiente Simone Godano, che ha confermato che qualcosa di notevole si sta muovendo sul fronte della commedia nostrana facendola uscire dagli abusati, fastidiosi e provinciali stereotipi dell'all'italiana, i cui tristi epigoni si sono dimostrati incapaci di ridare lustro a una tradizione che risaliva agli anni Sessanta: qui si parla un linguaggio diverso e nuovo e con un occhio finalmente di riguardo alla sceneggiatura (che in questo caso ha anche la felice mano di una giovane attrice e scrittrice statunitense, per quanto italianizzata, come Giulia Steigerwalt). Come anche nel caso della serie Smetto quando voglio e, per esempio, Perfetti sconosciuti (che vedeva tra i protagonisti, come qui, Kasia Smutniak, che a sua volta si conferma attrice a tutto tondo che non vive della gloria di ex modella) o la serie Smetto quando voglio e lo stesso Lasciati andare, il cambiamento di passo rispetto alla solita fuffa è impressionante quanto il salto di qualità. In Moglie e marito lo spunto è quello dello scambio di personalità dovuto a un incidente fortuito in una coppia di professionisti con due figli piccoli ormai sfiatata da dieci anni di matrimonio e incomprensioni: lui un geniale neurochirurgo che da anni lavora a un progetto per il recupero della memoria infantile in cui ha investito tutta l'eredità di famiglia e stanco di abitare in città, lei una giornalista free lance che ha finalmente la grande occasione della conduzione di un programma di punta in una televisione nazionale che ha sede nella capitale e quindi nessuna intenzione di farsela scappare lasciando la città: disgraziatamente acconsente a una sperimentazione con il marchingegno costruito dal marito assieme a un collega ma un corto circuito fa succedere il disastro e così Sofia si ritrova, letteralmente, nei panni e nel corpo di Angelo e viceversa. Da qui in poi parte una sequela di equivoci e situazioni paradossali: Sofia/Savino, muovendosi con grazia femminile nell'ospedale in cui lavora il marito, priva di qualsiasi infarinatura scientifica e terrorizzata dal sangue si ritroverà in una sala operatoria e a perorare un investimento multimilionario sull'apparecchio di invenzione del marito creando un casino; Andrea/Smutniak, sacramentando fra sé come un camionista incazzato, malfermo sui tacchi a spillo e incapace di accavallare le gambe con i collant calati a metà e le mutande a vista farà un esordio disastroso davanti alle telecamere: nonostante il grottesco delle situazioni che si vengono a creare e lo scadimento nel volgare e nello scontato sempre in agguato, le sorprese di susseguono senza mai cadere nel banale e nel caricaturale; una scrittura al servizio degli attori lascia loro ampio spazio per dare corpo ai rispettivi personaggi e tempo per farli entrare sintonia, e questo vale non solo per la sorprendente coppia Favino-Smutniak, ma altresì per i personaggi di contorno ma mai secondari, a cominciare da un Valerio Aprea da applausi e da Marta Gastini (già apprezzata moltissimo in Questi giorni) cui bastano poche battute per farsi ricordare: un lavoro di amalgama, coordinazione ed equilibrio tra le parti che va a pieno merito del regista. Raramente ho sentito tante risate di gusto in sala negli ultimi anni, ma perfino il lato comico passa in secondo piano rispetto all'analisi brillante, puntuale e mai prevenuta dei meccanismi di coppia e lasciar trapelare, senza alcuna pedanteria e tra le righe, la necessità di un'empatia che passa anche, ma non solo attraverso i corpi, sottolineando la necessità di una sintonia più profonda (la disponibilità a mettersi nei panni, qui letteralmente, dell'altro), la stessa che in tutta evidenza si è creata sul set non soltanto fra i due protagonisti principali ma in tutto il cast sotto la direzione di un giovane regista cui prestare fiducia e attenzione.
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