"L'altro volto della speranza" (Toivon tuolla puolen) di Aki Kaurismäki. Con Sherwan Haji, Sakari Kuosmainen, IlKa Koivula, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu, Kaija Pakarinen. Simon Al-Bazoon, Kati Outinen. Finlandia 2017 ★★★★★
Helsinki, ai giorni nostri, ma con tanti elementi rétro sparsi qua e là, tra arredamenti, macchine per scrivere, automobili, musiche e quindi "senza tempo". Mentre Wilkström, un commesso viaggiatore di mezza età, decide di cambiare vita, lasciando la sua attività nonché la moglie alcolizzata e tentando la fortuna a poker per realizzare il sogno della sua vita, aprire un ristorante, Khaled, un giovane siriano, sbarca da un cargo su cui viaggiava sotto un carico di carbone, dove si era nascosto con la complicità di un marinaio, e si reca, come prima cosa dopo essersi ripulito, all'ufficio immigrazione per chiedere asilo: proviene da Aleppo dopo che i bombardamenti hanno sterminato la sua famiglia, e durante il viaggio della speranza ha perso le tracce della sorella Myriam. Le loro vicende si incrociano e, dopo uno scambio di pugni totalmente gratuito, uno aiuta l'altro: Khaled ottiene dei documenti che gli consentano di lavorare e risiedere nel Paese benché l'iter per la concessione dell'asilo non avesse dato gli esiti sperati e riesce anche a farsi raggiungere dalla sorella; Wilkström rileva La pinta d'oro, compreso lo stralunato personale di sala e di cucina, dove si consuma la inconsueta e silenziosa socialità finnica, corroborata però da quel rock scandinavo alla Leningrad Cowboys che costituisce l'immancabile colonna sonora delle pellicole di Kaurismäki, e gli fa cambiare pelle più volte nel tentativo di rilanciarlo, una volta sushi-bar, poi pizzeria, indiano, a seconda delle mode del momento, in qualche modo riuscendo nell'intento. Il tema, l'accoglienza, non potrebbe essere più attuale ma, come già nello splendido Miracolo a Le Havre, quel che interessa al geniale regista finlandese sono i rapporti umani e la dignità dei perdenti e dei marginali, emarginati o autoemarginati che siano dalla società e dalla vita stessa. Non è tutto bene quel che finisce bene, perché Khaled si trova ad avere a che fare anche con bande di teppisti razzisti e nazistoidi e il film ha un finale aperto, ma un modo di convivere, capirsi e darsi una mano esiste, se si parte dall'individuo, al di fuori delle gabbie convenzionali e delle asettiche e spesso demenziali regole burocratiche statali. Ricordo una dichiarazione di Kaurismäki che suonava pressappoco così: "Voglio fare film che perfino una contadina cinese possa capire anche senza sottotioli": ci è riuscito anche questa volta e per questo lo considero un vero maestro oltre che un poeta, così come lo era Chaplin. Surrealismo magico, parafrasando l'etichetta affibbiata a Gabriel García Márquez, un altro grande maestro sulla stessa lunghezza d'onda.
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