mercoledì 4 maggio 2022

Quando Hitler rubò il coniglio rosa

"Quando Hitler rubò il coniglio rosa" di Caroline Link. Con Riva Krymalowski, Marinus Hohmann, Carla Juri, Oliver Masucci, Ursula Werner, Justus von Dohnányi, Luisa-Céline Gaffron, Anne Schäfer, Benjamin Sadler e altri. Germania, Svizzera 2019 ★★1/2

Ero curioso di vedere come l'omonimo romanzo in buona parte autobiografico di Judith Kerr, uscito 50 anni fa e tradotto in 20 lingue, un successo di lunga durata in cui raccontava sua infanzia da esule tedesca d'origine ebraica e non ne sono rimasto pienamente soddisfatto. La storia è raccontata dal punto di vista di Anna, una bambina che alla vigilia delle elezioni del marzo del 1933 che regalarono il potere ai nazisti aveva 9 anni, figlia di una pianista e di un famoso critico teatrale socialista che, avvertito per tempo da un conoscente che lavora in polizia che il suo nome figura sulla lista nera, fugge da Berlino a Praga e poi in Svizzera, dove lo raggiungono in seguito Anna, la moglie e il figlio Max. Per un breve periodo la famiglia Kemper vive in un albergo di lusso ma dovrà presto spostarsi in un rustico villaggio in montagna anche perché nemmeno gli svizzeri neutrali vogliono inimicarsi i tedeschi pubblicando sui loro giornali gli articoli di un avversario del regime. Non ci sono la tragedie delle deportazioni e degli stermini di massa, per quanto se ne avvertano vagamente le avvisaglie: si tratta pur sempre di una famiglia borghese, avveduta e comunque fortunata nella sventura di un esodo forzato, che vede crollare il proprio mondo e le proprie abitudini affrontando il destino dell'esule, sostanzialmente uno sradicato, che tale rimarrà per tutta l'esistenza. E' questa graduale presa d'atto, questo scivolamento, che racconta il film: una madre che deve rinunciare alla propria carriera e alle proprie ambizioni per accudire i figli e le successive case che la famiglia Kemper andrà ad abitare, prima una locanda svizzera, poi una mansarda nel centro di Parigi, dove l'orgoglioso padre Kemper è costretto ad arrabattarsi con lavoretti vari, accumulando ritardi sulla pigione e subendo i rimbrotti della avida padrona di casa e concièrge, ma si rifiuta di accettare favori da parte di un autore che aveva a suo tempo duramente criticato, anche se pure lui ebreo. Tutte cose che la piccola Anna, la deliziosa e bravissima Riva Krimalowsky, lei sì meritevole di menzione, non capisce del tutto, così come rimpiangerà sempre il coniglietto rosa che ha dovuto lasciare nella casa di Berlino, obbligata a scegliere un solo giocattolo da portare con sé (ed ecco spiegato il titolo): i bambini, pur sballottati da una scuola (e da una lingua) all'altra si adeguano, per quanto a malincuore, e questo traspare dal film, che per certi aspetti pare una pellicola per l'infanzia, con un certo effetto "Heidi" sia per i bucolici sfondi svizzeri, sia per quelli parigini, palesemente posticci, e non si capisce se sia una scelta voluta. Alla fine la famiglia Kemper salperà alla volta del Regno Unito, e lì la lasciamo, di fronte alle bianche scogliere di Dover. Non c'è, come detto, la tragedia dell'olocausto, perché non è questo il tema; semmai un latente disagio, una tensione, e un crescente senso di precarietà, eppure un eccesso di didascalismo e di schematicità non rende del tutto risolto il racconto, e si ha la sensazione di qualcosa di artefatto, nonostante la spontaneità della protagonista principale, che rimane la cosa migliore del film. Non da buttare, tutt'altro, ma un po' inceppato e meccanico, con un andamento da sceneggiato televisivo, svizzero-tedesco, per l'appunto. Il tema dello sradicamento e della perdita in ogni caso è estremamente attuale, e a quasi un secolo di distanza anche in Europa intere popolazioni si ritrovano in situazioni simili. 


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