martedì 10 maggio 2022

Downton Abbey II - Una nuova era

"Downton Abbey II - Una nuova era" (Dawnton Abbey A New Era) di Simon Curtis. Con Maggie Smith, Hugh Bonneville, Laura Carmichael, Jim Carson, Brendan Coyle, Julian Fellowes, Hugh Dancy, Laura Haddock, Nathalie Baye, Guy Dexter, Michelle Docke, Imelda Staunton, Tuppence Middleton, Elizabeth McGovern, Allen Leech, Joanne Froggat, Peneolope Wilton, Samantha Bond, Sophie McShera, Phyllis Logan, Raquel Cassidy e altri. Gran Bretagna 2022 ★★★-

Per il seguito del fortunato Downton Abbey I, a sua volta sequel della interminabile serie televisiva (6 stagioni per 52 puntate) vale quello già scritto per il precedente: un film godibile, nella più classica tradizione inglese, un modo tutto isolano di autorappresentarsi e di mitizzare una sorta di età dell'oro, durante la quale sono state accumulate ricchezze stratosferiche che non si possono spiegare se non attraverso ruberie e soprusi di ogni genere, delle cui origini ovviamente non si parla mai, compiuti con la autolesionistica complicità delle vittime, trasformate da contadini proprietari di piccoli poderi in proletariato o servitù durante la Rivoluzione Industriale del 17° e 18° Secolo, seguita dalla dolce decadenza di una nobiltà viziata e inetta che vive sugli allori passati e nell'ipocrisia dei rapporti personali tipicamente britannici. Cose già viste e riviste, ma che si adattano a essere raccontate con il tipico humour d'oltremanica, e con la lievità che ben si addice alla doppiezza e all'abilità di mascherarsi di una nazione che, non a caso, ha un talento insuperabile per il teatro: in questo senso, le due ore di film sono perfette per trascorrere un paio d'ore di rassicurante relax in una sala cinematografica. Vero anche che a lungo andare il troppo stroppia e, per quanta simpatia possano suscitare i più che stereotipati personaggi e il modo in cui vengono rappresentati da una pattuglia di caratteristi ineccepibili e pescati con grande acume nel mare magnum della scena teatrale britannica, l'atto secondo cinematografico risulta meno frizzante del primo. La trama è presto detta: la Grande Vecchia, Lady Violet, riceve per testamento il lascito di una sontuosa villa  nel Sud della Francia da parte di un marchese francese, che l'aveva ospitata in gioventù, un suo spasimante dell'epoca che non l'aveva dimenticata mentre lei non ne aveva mai parlato con nessuno della famiglia, celando il dolce ricordo di un rapporto che non si era concretizzato. Nonostante la sorpresa e l'imbarazzo dei suoi, decide di accettare l'eredità e di girarla alla nipote Sybbie. La moglie del marchese ovviamente non apprezza per niente e minaccia di impugnare il testamento, mentre il marchese figlio, che è esecutore testamentario, convinto di essere il fratellastro di Robert, figlio di Violet, è deciso a rispettare il volere del padre. Così il grosso della famiglia Crawley, con servitù al seguito, su invito di quest'ultimo si trasferisce in Costa Azzurra in un momento particolarmente opportuno, perché la magione principale, Downton Abbey appunto, dove rimane l'altra parte della famiglia e della servitù, viene utilizzata come set per girare un film: denaro contante che serve per procedere alla costosa manutenzione del manufatto. Un film nel film, questo, proprio nel momento di passaggio tra il film muto, che non richiedeva la minima capacità di dizione, e quello parlato, sicuramente la parte più originale del racconto, per quanto anche questa a credibilità zero. Ma lo show va avanti e funziona, con relativo e inevitabile Happy End nonostante si chiuda sul funerale di Lady Violet, che però, manco a dirlo, "muore bene" come "bene" era nata e vissuta e "buono" era alla fine anche, manco a dirlo, il suo innato disprezzo per il prossimo: il tutto molto inglese, obviously. E lasciando la porta spalancata per un ulteriore seguito di questa saga famigliare nel decennio successivo. Insomma, tutta una conferma, con in più un po' di respiro "internazionale", si fa per dire, con la presenza dell'eterna competizione con i dirimpettai sulla Manica, con la differenza che mentre gli spocchiosi francesi sono maestri insuperabili nel vendere come sensazionali e unici prodotti mediocri, trasformando la merda in oro, gli inglesi lo sono nel vendere sé stessi e i loro ridicoli tic (lingua compresa) facendolo passare per style (basta vedere come si nutrono, per non parlare dei loro discendenti oltreoceano) e noi a cascarci; bisogna ammettere che lo sanno fare, a cominciare dal come fare spettacolo senza timore di rendersi ridicoli. 

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