mercoledì 17 settembre 2025

Elisa

"Elisa" di Leonardo Di Costanzo. Con Barbara Ronchi, Roschdy Zem, Diego Ribon, Valeria Golino, Hippolyte Girardot, Monica Codena, Roberta Da Soller e altri. Italia, Svizzera 2025 ★★★★1/2

Peccato che questo bellissimo film non fosse in concorso a Venezia per il Leone d'Oro, dove è stato presentato poche settimane fa, perché tra regista e interpreti aveva tutto per eccellere, anche se dubito che sarebbe stato premiato, conoscendo l'andazzo festivaliero, però magari almeno Barbara Ronchi avrebbe ottenuto il riconoscimento per la migliore interpretazione femminile. Lei è l'Elisa del titolo, sui 35 anni, da dieci detenuta per avere ucciso la sorella, bruciandone il cadavere e tentato di strangolare anche la madre. Nella sentenza di condanna le era stato riconosciuto di avere agito in uno stato di semi infermità mentale e una  condizione di amnesia dopo l'evento, che apparentemente ha del tutto rimosso. Sconta la pena in una struttura aperta, in un qualche luogo boschivo di un Cantone svizzero, probabilmente il Vallese, in parte francofono, un insieme di bungalow che ospitano ciascuno due detenute che si muovono liberamente nel comprensorio che fa capo a una struttura centrale con caffetteria, laboratori, attività varie. Insomma il contrario del carcere di tipo tradizionale, un panopticon come in Ariaferma, il precedente bellissimo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo, che nasce validissimo documentarista ma che nei suoi lavori di finzione ha sempre confezionato lavori di notevole intensità. Gentile, riservata, timida, Elisa acconsente a incontrare il professor Alaoui, interpretato dal grande Roschdy Zem, memorabile interprete di Roubaix, una luce nell'ombra, attore e anche regista franco marocchino, un criminologo che sostiene che si debba indagare in profondità sulle motivazioni di chi commette un reato, per quanto efferato, non per giustificarlo ma per comprenderne appieno la personalità: solo così, secondo lui, si può aiutarne il recupero. Man mano che i colloqui proseguono, trasformandosi in una sorta di auto-psicoterapia, in Elisa riemergono i ricordi (cosicché riviviamo in successivi flash back le fasi del suo delitto) per cui progressivamente si chiude e va in crisi, rifiutandosi persino di vedere l'affettuoso padre (il sempre ottimo Diego Ribon), che ogni settimana va a trovarla, mentre la madre ha del tutto rotto i ponti con lei; lui l'ha perdonata fin da subito, cosa che non riesce alla donna che segue le lezioni del professore, interpretata in un cameo da Valeria Golino: suo figlio è stato ucciso da una gang di ragazzini, e non vuole capirli né tantomeno perdonarli, ché altrimenti è cosciente che crollerebbe il suo equilibrio. Mentre nel carcere in dismissione di Ariaferma uno spazio di libertà e di comprensione reciproca avviene all'interno di uno spazio claustrofobico, qui la situazione è opposta: in una dimensione ideale, all'aria aperta, in mezzo agli alberi e con ampia libertà di movimento, la protagonista si rende conto di essere sempre stata prigioniera di sé stessa, delle proprie paure e del proprio "dover essere" nel tentativo pervicace di essere accettata dal prossimo, per cui era come trasparente, e prima sospende i colloqui col professor Alaoui, poi si rinchiude in sé stessa man mano che prende coscienza della gabbia in cui si è messa da sola per una serie di circostanze, di cui il regista accenna ma senza giustificare in alcun modo i suoi atti. Né li giustifica Elisa, e tantomeno il criminologo, con il quale decide di riprendere i contatti, ma che è riuscito a capirne le motivazioni così come le ha comprese lei stessa: che è la prima condizione per fare un passo avanti, dato che ciò che è stato non è mutabile. Ed è anche la prima condizione per cui non si ripeta. La potente fotografia è di Luca Bigazzi, l'accompagnamento musicale sempre adeguato, tutto quanto ineccepibile: un film profondo e coinvolgente, Ronchi e Zem a livelli di eccellenza. 

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