"Una notte di 12 anni" (La Noche de 12 Años) di Álvaro Brechner. Con Antonio de la Torre, Chino Darín, Alfonso Tort, Soldead Villamil. Silvia Pérez Cruz, César Troncoso, César Bordón e altri. Uruguay, Argentina, Spagna 2018 ★★★★★
L'altroieri sera, nella Sala Modotti del benemerito CinemaZero di Pordenone, probabilmente il primo motore culturale della città, ho assistito a una proiezione "personalizzata", unico spettatore in una sala di 50 posti, di questo notevole e commovente film che non è passato inosservato all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e che pur dovrebbe riguardare tante persone, in considerazione del contributo friulano in percentuale sull'emigrazione italiana nell'America del Sud, in particolare verso Argentina, Uruguay e Brasile, tutti Paesi colpiti da dittature feroci specialmente durante gli anni Settanta, e invece si ricorda soltanto il Cile di Pinochet: infatti Santiago di Moretti, che pure ho apprezzato, uscito cinque settimane fa, è tuttora in programmazione, sostenuto da un formidabile battage pubblicitario gratuito da parte dell'informazione nostrana, particolarmente quella luogocomunista, che si conferma ancora una volta selettiva, del resto in linea con la memoria che di sé stesso ha questo Paese. E poco importa che Una notte di 12 anni racconti la storia dell'interminabile detenzione di tre personaggi assai conosciuti in America Latina, di cui uno, Pepe Mujica, ex amatissimo presidente dell'Uruguay, di notorietà universale, che sono riusciti a uscirne indenni grazie a una forza di volontà, un senso di dignità, umanità e un coraggio incrollabili che li faranno uscire vincitori di una lotta impari e che avrà fine soltanto nel 1985. Incarcerati nel settembre del 1973 a Montevideo (il golpe di Bordaberry avvenne tre mesi prima) in quanto militanti tupamaros, Pepe Mujica (Antonio de la Torre), Mauricio Rosencof (Chino Darín, figlio d'arte) ed Eleuterio Fernández Huidobro (Alfonso Tort) vengono considerati dal regime militare degli ostaggi anziché dei prigionieri, per tenere sotto ricatto i loro compagni di guerriglia e sottoposti a un malvagio esperimento mirato esplicitamente allo scopo farli impazzire (i militari uruguagi stavano facendo le prove generali di quanto i loro colleghi argentini avrebbero compiuto in termini perfino più drastici e in dimensioni ancora più spaventose): spostati in continuazione da un luogo di detenzione a un altro, non solo carceri ma anche silos abbandonati, sotterranei di caserme, in isolamento pressoché totale dentro celle fatiscenti e sfornite di qualsiasi genere di conforto (salvo per finta durante i sopralluoghi, altrettanto finti, do organismi internazionali come la Croce Rossa), impossibilitati di parlare e scrivere, salvo se interrogati dai carcerieri o su loro sollecitazione (bellissima la storia delle lettere d'amore scritte per procura da Rosencof per un sergente innamorato: quando dopo anni lo incontrerà di nuovo tornando nella stessa caserma il militare sarà sposato e avrà due figlie proprio dalla destinataria di quelle lettere, che si lamenterà di non riceverne più come all'inizio della loro storia), riusciranno comunque a comunicare tra di loro con un ingegnoso sistema tipo morse con il quale riusciranno perfino a giocare a scacchi, e tenere duro, nonostante le visioni e le voci che assalgono in particolare Mujica, tanto che verrà sottoposto a una visita psichiatrica: sarà proprio dal colloquio con la dottoressa, che si rivelerà ancora più psicotica di lui, a ridargli la forza per resistere (è l'unica scena, però potente, interpretata da una Soledad Villamil formidabile). Il film, pur tragico e molto realista e accurato nei dettagli, non indulge sulle torture fisiche ma rende alla perfezione l'atmosfera squallida e claustrofobica e l'indicibile pressione fatta dui tre uomini, eppure non manca di momenti di vera e propria poesia e perfino tocchi comici: in tutto e per tutto, ricorda i migliori film di denuncia proprio di quegli anni Settanta che tanta influenza hanno avuto per una generazione come la mia (che poi è quella di Moretti d cui sopra) e che è nelle corde delle produzioni del Cono Sur, e argentine in particolare. Un film memorabile, che raccomando vivamente di non farsi scappare e di consigliare a propria volta.
L'altroieri sera, nella Sala Modotti del benemerito CinemaZero di Pordenone, probabilmente il primo motore culturale della città, ho assistito a una proiezione "personalizzata", unico spettatore in una sala di 50 posti, di questo notevole e commovente film che non è passato inosservato all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e che pur dovrebbe riguardare tante persone, in considerazione del contributo friulano in percentuale sull'emigrazione italiana nell'America del Sud, in particolare verso Argentina, Uruguay e Brasile, tutti Paesi colpiti da dittature feroci specialmente durante gli anni Settanta, e invece si ricorda soltanto il Cile di Pinochet: infatti Santiago di Moretti, che pure ho apprezzato, uscito cinque settimane fa, è tuttora in programmazione, sostenuto da un formidabile battage pubblicitario gratuito da parte dell'informazione nostrana, particolarmente quella luogocomunista, che si conferma ancora una volta selettiva, del resto in linea con la memoria che di sé stesso ha questo Paese. E poco importa che Una notte di 12 anni racconti la storia dell'interminabile detenzione di tre personaggi assai conosciuti in America Latina, di cui uno, Pepe Mujica, ex amatissimo presidente dell'Uruguay, di notorietà universale, che sono riusciti a uscirne indenni grazie a una forza di volontà, un senso di dignità, umanità e un coraggio incrollabili che li faranno uscire vincitori di una lotta impari e che avrà fine soltanto nel 1985. Incarcerati nel settembre del 1973 a Montevideo (il golpe di Bordaberry avvenne tre mesi prima) in quanto militanti tupamaros, Pepe Mujica (Antonio de la Torre), Mauricio Rosencof (Chino Darín, figlio d'arte) ed Eleuterio Fernández Huidobro (Alfonso Tort) vengono considerati dal regime militare degli ostaggi anziché dei prigionieri, per tenere sotto ricatto i loro compagni di guerriglia e sottoposti a un malvagio esperimento mirato esplicitamente allo scopo farli impazzire (i militari uruguagi stavano facendo le prove generali di quanto i loro colleghi argentini avrebbero compiuto in termini perfino più drastici e in dimensioni ancora più spaventose): spostati in continuazione da un luogo di detenzione a un altro, non solo carceri ma anche silos abbandonati, sotterranei di caserme, in isolamento pressoché totale dentro celle fatiscenti e sfornite di qualsiasi genere di conforto (salvo per finta durante i sopralluoghi, altrettanto finti, do organismi internazionali come la Croce Rossa), impossibilitati di parlare e scrivere, salvo se interrogati dai carcerieri o su loro sollecitazione (bellissima la storia delle lettere d'amore scritte per procura da Rosencof per un sergente innamorato: quando dopo anni lo incontrerà di nuovo tornando nella stessa caserma il militare sarà sposato e avrà due figlie proprio dalla destinataria di quelle lettere, che si lamenterà di non riceverne più come all'inizio della loro storia), riusciranno comunque a comunicare tra di loro con un ingegnoso sistema tipo morse con il quale riusciranno perfino a giocare a scacchi, e tenere duro, nonostante le visioni e le voci che assalgono in particolare Mujica, tanto che verrà sottoposto a una visita psichiatrica: sarà proprio dal colloquio con la dottoressa, che si rivelerà ancora più psicotica di lui, a ridargli la forza per resistere (è l'unica scena, però potente, interpretata da una Soledad Villamil formidabile). Il film, pur tragico e molto realista e accurato nei dettagli, non indulge sulle torture fisiche ma rende alla perfezione l'atmosfera squallida e claustrofobica e l'indicibile pressione fatta dui tre uomini, eppure non manca di momenti di vera e propria poesia e perfino tocchi comici: in tutto e per tutto, ricorda i migliori film di denuncia proprio di quegli anni Settanta che tanta influenza hanno avuto per una generazione come la mia (che poi è quella di Moretti d cui sopra) e che è nelle corde delle produzioni del Cono Sur, e argentine in particolare. Un film memorabile, che raccomando vivamente di non farsi scappare e di consigliare a propria volta.
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