"Fuga" di Agnieszka Smoczynska. Con Gabriela Muskala, Lukasz Simlat, Malgorzata Buckowska, Zbigniew Walerys, Halina Rasiakowna, Piotr Skiba, Iwo Raiski e altri. Polonia, Repubblica Ceca, Svezia 2018 ★★★★ ½
Tra i lungometraggi in concorso al 30° Trieste Film Festival, e già presentato a Cannes l'anno passato Fuga, secondo film di Agnieszka Smoczynska, è quello che più mi ha convinto per le sue qualità complessive: tecnicamente perfetto, fotografato impeccabilmente, si avvale della superba interpretazione di Gabriela Muskala, che ne è anche la sceneggiatrice e che ha avuto seguendo, alla TV polacca, in un programma simile al nostro Chi l'ha visto, la storia di una donna che aveva perso la memoria e di cui per due anni si erano perse le tracce. Ispirazione che si basa su un fatto reale e che ha a che vedere, come nel film che l'ha preceduto, sulla questione dell'identità e della sua percezione, che sembra anche essere il filo conduttore di questo Festival in generale, che non a caso si svolge in una città di confine, dove questo tema è nell'aria e nella natura delle persone che vi sono nate e che ci vivono, immancabile negli scritti dei suoi numerosi letterati e dove l'interesse per la psicanalisi è vivo fin dal primo diffondersi delle teorie di Freud. Alicja compare del tutto spaesata, lo sguardo perso, in una stazione della metropolitana di Varsavia, senza documenti e avendo smarrito completamente la memoria, e da lì la seguiamo in una clinica specializzata dove viene ricoverata per due anni per una sindrome di "fuga dissociativa", finché allo psichiatra che la segue non viene in mente di mostrarla in televisione, dove la riconosce il padre e si scopre che Alicja non è il suo vero nome. Recuperata dalla famiglia dei genitori, di cui non ricorda assolutamente nulla, viene presto riportata nella sua vera casa dal marito, che invece non l'aveva cercata dopo la sua fuga, come del resto nemmeno il figlioletto. Man mano si ricompongono frammenti della sua identità, e lei asseconda malvolentieri i tentativi di coinvolgerla nella vita famigliare solo quel tanto che le serve per riottenere dei documenti (che diventano fondamentali in quanto la definiscono, almeno all'apparenza, agli occhi della società) con i quali andarsene di nuovo, per tornare a essere quella del periodo in cui si era costruita una nuova identità, completamente diversa da quella di benestante borghese (era un'insegnante di geografia e una figlia e a sua volta madre dolcissima, il contrario della ribelle quasi punk che è diventata) e che le stava evidentemente così stretta e imposta da portarla alla dissociazione al punto di crearsi una nuova personalità a cui diventa completamente indifferente ed estraneo il mondo relazionale che aveva in precedenza. Quasi un giallo psicologico, in cui ho ritrovato tracce di un altro polacco che per me rimane un maestro assoluto, checché se ne dica, Roman Polanski, un vero genio, che spero venga distribuito al più presto nelle sale italiane e premiato dal successo come merita. (TSFF, in concorso, sezione lungometraggi)
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