"Vice - L'uomo nell'ombra" (Vice) di Adam McKay. Con Christian Bale, Amy Adams, Steve Carell, Sam Rockwell, Tyler Perry, Alison Pill, Lily Rabe, Eddie Marsan e altri. USA 2018 ★★★★★
Questo è cinema, ma anche storia: come già nel magistrale La grande scommessa Adam McKay, un talento poliedrico che è attore, sceneggiatore, comico (Saturday Night Live) oltre che regista, confeziona qualcosa che è più di una film biografico, di una cronistoria e di un documentario incentrato sulla figura di Dick Cheney, vicepresidente nei due mandati di George W. Bush (2001-2009) ma all'epoca già politico di lungo corso (entrato alla Casa Bianca con Nixon, fu Capo Gabinetto con Gerald Ford, Segretario alla Difesa con Bush senior, quando gestisce, tra le altre, l'operazione Desert Storm, ossia la Prima Guerra del Golfo, con le conseguenze che conosciamo); durante l'era Clinton si ritira sì temporaneamente dalla politica ma non resta con le mani in mano, perché diventa per un quinquennio presidente e amministratore delegato della multinazionale petrolifera ed edilizia Haliburton, i cui interessi giocheranno un grande ruolo nella Seconda Guerra del Golfo, di cui Cheney sarà ancora l'ispiratore con la scusa della guerra al terrorismo in seguito alla vicende delle Torri Gemelle. Che George W. Bush fosse un perfetto idiota lo si capiva soltanto guardandolo in faccia e avendone la conferma non appena apriva bocca (Steve Carrell ne fornisce un ritratto di una verosimiglianza impressionante, ma tutti gli interpreti, e Christian Bale su tutti, aderiscono in maniera incredibile ai loro personaggi), ma di Dick Cheney non si sarebbe detto che, con quell'aria imbambolata e goffa, il modo di esprimersi impacciato, la salute cagionevole (era da sempre malato di cuore, tanto da dover subire un trapianto, che lo tiene tuttora in vita), un passato da studente tutt'altro che brillante e, per un periodo, da alcolista, fosse lui l'eminenza grigia e l'uomo che tirava le fila; uno che invece di parlare osservava gli altri e, quando accadeva qualcosa, già era in grado di capire le opportunità che si sarebbero aperte più avanti e con largo anticipo su tutti gli altri, come infatti l'l'11 Settembre del 2001. Esemplare come infinocchiò Bush Junior accettando, come facendogli una concessione, la vicepresidenza inducendolo a definirne i ruoli in modo da riempire l'incarico, fino ad allora quasi solo rappresentativo, sottraendola a qualsivoglia controllo sia parlamentare sia giudiziario, informata su tutto ciò che bolle nella pentola quanto il presidente stesso se non prima e più circostanziatamente. Le vicende dell'uomo, della sua scaltra moglie e della sua famiglia sono narrate in ordine cronologico, e si inseriscono in un affresco generale che è, come nel film precedente di MacKay del 2015, quello di una società, come quella statunitense, inquietante, dominata da personaggi repellenti, ignoranti e malsani, mistificatori della realtà e manipolatori, che hanno in mano tutte le leve del potere e lo usano senza il minimo scrupolo per i loro meschini interessi e giochi (House of Cards, in confronto alla White House reale, è davvero una casa di bambole, ossia un gioco, e i suoi abitanti dei gentiluomini); una verità che lascia disarmati, alle prese con un presente che è già, a ben guardare, distopico. Il tutto raccontato con buon ritmo, uno sguardo ironico, trovate a effetto che non guastano per sdrammatizzare una situazione di per sé tragica e pressoché senza speranza di cambiamento, a giudicare dal personaggio che siede oggi alla Casa Bianca, ma anche degli otto anni presidenza Obama, che non sono stati in grado di scalfire minimamente quanto combinato da Cheney e soci durante la presidenza Bush e quelle che l'avevano la preceduta. Christian Bale, che si è dato all'ingrasso nonché allo studio maniacale di Dick Cheney fino ad immedesimarvici, si conferma un fuori categoria ma anche tutto il resto del cast, a cominciare da Amy Adams che ne interpreta la moglie Lynne, è esemplare. Film imperdibile, se riuscite a vederlo in versione originale sottotitolata, meglio ancora.
Questo è cinema, ma anche storia: come già nel magistrale La grande scommessa Adam McKay, un talento poliedrico che è attore, sceneggiatore, comico (Saturday Night Live) oltre che regista, confeziona qualcosa che è più di una film biografico, di una cronistoria e di un documentario incentrato sulla figura di Dick Cheney, vicepresidente nei due mandati di George W. Bush (2001-2009) ma all'epoca già politico di lungo corso (entrato alla Casa Bianca con Nixon, fu Capo Gabinetto con Gerald Ford, Segretario alla Difesa con Bush senior, quando gestisce, tra le altre, l'operazione Desert Storm, ossia la Prima Guerra del Golfo, con le conseguenze che conosciamo); durante l'era Clinton si ritira sì temporaneamente dalla politica ma non resta con le mani in mano, perché diventa per un quinquennio presidente e amministratore delegato della multinazionale petrolifera ed edilizia Haliburton, i cui interessi giocheranno un grande ruolo nella Seconda Guerra del Golfo, di cui Cheney sarà ancora l'ispiratore con la scusa della guerra al terrorismo in seguito alla vicende delle Torri Gemelle. Che George W. Bush fosse un perfetto idiota lo si capiva soltanto guardandolo in faccia e avendone la conferma non appena apriva bocca (Steve Carrell ne fornisce un ritratto di una verosimiglianza impressionante, ma tutti gli interpreti, e Christian Bale su tutti, aderiscono in maniera incredibile ai loro personaggi), ma di Dick Cheney non si sarebbe detto che, con quell'aria imbambolata e goffa, il modo di esprimersi impacciato, la salute cagionevole (era da sempre malato di cuore, tanto da dover subire un trapianto, che lo tiene tuttora in vita), un passato da studente tutt'altro che brillante e, per un periodo, da alcolista, fosse lui l'eminenza grigia e l'uomo che tirava le fila; uno che invece di parlare osservava gli altri e, quando accadeva qualcosa, già era in grado di capire le opportunità che si sarebbero aperte più avanti e con largo anticipo su tutti gli altri, come infatti l'l'11 Settembre del 2001. Esemplare come infinocchiò Bush Junior accettando, come facendogli una concessione, la vicepresidenza inducendolo a definirne i ruoli in modo da riempire l'incarico, fino ad allora quasi solo rappresentativo, sottraendola a qualsivoglia controllo sia parlamentare sia giudiziario, informata su tutto ciò che bolle nella pentola quanto il presidente stesso se non prima e più circostanziatamente. Le vicende dell'uomo, della sua scaltra moglie e della sua famiglia sono narrate in ordine cronologico, e si inseriscono in un affresco generale che è, come nel film precedente di MacKay del 2015, quello di una società, come quella statunitense, inquietante, dominata da personaggi repellenti, ignoranti e malsani, mistificatori della realtà e manipolatori, che hanno in mano tutte le leve del potere e lo usano senza il minimo scrupolo per i loro meschini interessi e giochi (House of Cards, in confronto alla White House reale, è davvero una casa di bambole, ossia un gioco, e i suoi abitanti dei gentiluomini); una verità che lascia disarmati, alle prese con un presente che è già, a ben guardare, distopico. Il tutto raccontato con buon ritmo, uno sguardo ironico, trovate a effetto che non guastano per sdrammatizzare una situazione di per sé tragica e pressoché senza speranza di cambiamento, a giudicare dal personaggio che siede oggi alla Casa Bianca, ma anche degli otto anni presidenza Obama, che non sono stati in grado di scalfire minimamente quanto combinato da Cheney e soci durante la presidenza Bush e quelle che l'avevano la preceduta. Christian Bale, che si è dato all'ingrasso nonché allo studio maniacale di Dick Cheney fino ad immedesimarvici, si conferma un fuori categoria ma anche tutto il resto del cast, a cominciare da Amy Adams che ne interpreta la moglie Lynne, è esemplare. Film imperdibile, se riuscite a vederlo in versione originale sottotitolata, meglio ancora.
Nessun commento:
Posta un commento