Alice T. di Radu Muntean. Con Andra Guti, Mihaela Sirbu, Cristine Hambasanu, Ela Ionescu, Bogdan Dumitrache, Serban Pavlu, Matia Popistasu e altri. Romania, Francia, Svezia 2018 ★★★½
Il cinema rumeno contemporaneo ha il grande pregio di essere un termometro estremamente preciso della situazione limbica di un Paese complesso, pieno di contrasti, passato nel giro di pochissimo tempo dall'oscurantismo più totale dell'era Ceausescu (anche in senso fisico: le luci tenute al minimo, con lampadine da 10 watt a illuminare un'intero appartamento per risparmiare energia) a un sistema di mercato che più libero, nel senso di senza regole, non si può, e al mondo virtuale dei sòscial e dei centri commerciali, dove la linea di continuità è data dalla corruzione sistematica e la direzione in cui ci si muove rimane completamente incerta. Come lo è l'esistenza di un'adolescente, in questo caso Alice T., interpretata da una sorprendente Andra Guti, che interpreta una sedicenne in piena crisi ormonale, scontrosa, ingestibile sia a scuola (da dove viene espulsa) sia in famiglia, in costante bilico tra il mondo e i problemi reali e quello virtuale della rete, in pieno conflitto con la madre adottiva di cui, in realtà, ambirebbe essere la figlia naturale e con cui riesce a ristabilire un rapporto accettabile solo quando quest'ultima scoprirà che Alice è rimasta incinta e che la ragazza è intenzionata a portare a termine la gravidanza. In realtà la loro ritrovata complicità si basa a sua volta su una finzione, la gravidanza appunto, perché Alice in realtà aveva abortito, con la complicità dell'amica del cuore e compagna di studi, acquistando delle pillole in rete, ma aveva proseguito a recitare la parte identificandosi in quella della ragazza incinta, per cui il film, pur essendo estremamente realista sia nel delineare i rapporti fra i diversi personaggi (la madre, il patrigno, la preside, gli insegnanti, gli amici di entrambi i sessi, la ginecologa) sia nel mostrare, perfino con una certa brutalità, gli effetti delle pillole abortive, gira attorno all'impossibilità di essere quello che si vorrebbe e, in definitiva, alla questione dell'identità, particolarmente fragile, per definizione, nell'adolescente, dove si trova, come si usa dire oggi, allo stato "liquido". Detto questo, come sempre la cinematografia rumena è estremamente efficace nel descrivere lo stato in cui si trova quel Paese non poi così lontano e lo fa "dal di dentro", mostrando le case, i luoghi di lavoro e di svago, la vita quotidiana e l'interagire tra le persone e, anche in questo caso, avvalendosi di interpreti di tutto rispetto e perfettamente adatti ai rispettivi ruoli. (TSFF, in concorso, sezione lungometraggi)
Il cinema rumeno contemporaneo ha il grande pregio di essere un termometro estremamente preciso della situazione limbica di un Paese complesso, pieno di contrasti, passato nel giro di pochissimo tempo dall'oscurantismo più totale dell'era Ceausescu (anche in senso fisico: le luci tenute al minimo, con lampadine da 10 watt a illuminare un'intero appartamento per risparmiare energia) a un sistema di mercato che più libero, nel senso di senza regole, non si può, e al mondo virtuale dei sòscial e dei centri commerciali, dove la linea di continuità è data dalla corruzione sistematica e la direzione in cui ci si muove rimane completamente incerta. Come lo è l'esistenza di un'adolescente, in questo caso Alice T., interpretata da una sorprendente Andra Guti, che interpreta una sedicenne in piena crisi ormonale, scontrosa, ingestibile sia a scuola (da dove viene espulsa) sia in famiglia, in costante bilico tra il mondo e i problemi reali e quello virtuale della rete, in pieno conflitto con la madre adottiva di cui, in realtà, ambirebbe essere la figlia naturale e con cui riesce a ristabilire un rapporto accettabile solo quando quest'ultima scoprirà che Alice è rimasta incinta e che la ragazza è intenzionata a portare a termine la gravidanza. In realtà la loro ritrovata complicità si basa a sua volta su una finzione, la gravidanza appunto, perché Alice in realtà aveva abortito, con la complicità dell'amica del cuore e compagna di studi, acquistando delle pillole in rete, ma aveva proseguito a recitare la parte identificandosi in quella della ragazza incinta, per cui il film, pur essendo estremamente realista sia nel delineare i rapporti fra i diversi personaggi (la madre, il patrigno, la preside, gli insegnanti, gli amici di entrambi i sessi, la ginecologa) sia nel mostrare, perfino con una certa brutalità, gli effetti delle pillole abortive, gira attorno all'impossibilità di essere quello che si vorrebbe e, in definitiva, alla questione dell'identità, particolarmente fragile, per definizione, nell'adolescente, dove si trova, come si usa dire oggi, allo stato "liquido". Detto questo, come sempre la cinematografia rumena è estremamente efficace nel descrivere lo stato in cui si trova quel Paese non poi così lontano e lo fa "dal di dentro", mostrando le case, i luoghi di lavoro e di svago, la vita quotidiana e l'interagire tra le persone e, anche in questo caso, avvalendosi di interpreti di tutto rispetto e perfettamente adatti ai rispettivi ruoli. (TSFF, in concorso, sezione lungometraggi)
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