"Okupácia 1968" di Evdokia Moskvina, Linda Dombrovszky, Magdalena Szymków, Marie Elisa Scheidt, Stephan Komandarev. SK, CZ, PL, BG, H ★★★★
Ossia l'occupazione della Cecoslovacchia nell'agosto del 1968 dal punto di vista degli occupanti, raccontato in cinque cortometraggi girati da registi provenienti dai cinque Paesi del Patto di Varsavia che inviarono truppe per porre fine alla Primavera di Praga che Walter Ulbricht, leader dell'allora DDR, per primo definì controrivoluzione (in compenso, per una questione di opportunità, considerato il precedente dell'invasione da parte di truppe tedesche nel 1938 dello stesso Paese, le truppe della DDR furono soltanto allertate e posizionate lungo il confine). Il progetto, curato dallo slovacco di lingua ungherese Peter Kerekes, che lo ha presentato ieri al Trieste Film Festival, è in concorso nella sezione documentari, ma ciascuno dei cinque lavori è qualcosa di più e ognuno ha sbizzarrito la propria fantasia per raccontare una storia diversa e si tratta in realtà di cinque piccoli film, tutti a modo loro dei gioellini, che usano toni diversi. Ironico quello della russa Evdokia Moskvina, che racconta L'ultima missione di un ex generale sovietico che da Odessa raduna un gruppo di ex colleghi per fare una visita a Praga dove incontrano un 90 enne ex ufficiale ceco controllore di volo che non li ha perdonati; paradossale (ma reale) il racconto dell'unica vittima, un giovane sergente bulgaro, dalla parte degli occupanti, un Eroe non necessario, di Stephan Komandarev; intimista Voci nella foresta della tedesca Marie Elise Scheidt, che fa parlare ex militari di leva contrari all'occupazione, uno dei quali incarcerato per avere espresso il rifiuto di sparare, all'occorrenza; agrodolce, con un suo lirismo tutto sommato malinconico Una rosa rossa di Linda Dombrowszky, che presenta la riunione di un gruppo di coscritti dell'epoca nello stesso campo d'addestramento da cui partirono 50 anni prima per occupare una striscia di terreno oltreconfine nella Slovacchia a maggioranza magiara, infine quello più poetico e commovente Ti sto scrivendo, amore mio della polacca Magdalena Szymkóv. Da notare che su 5 registi, quattro sono donne. Difficile dire quale episodio sia migliore, e probabilmente non ha molto senso: l'amalgama è perfetto e funziona, quindi un grande merito va anche all'ideatore e produttore Peter Kerekes. (TSFF, in concorso, sezione documentari)
Ossia l'occupazione della Cecoslovacchia nell'agosto del 1968 dal punto di vista degli occupanti, raccontato in cinque cortometraggi girati da registi provenienti dai cinque Paesi del Patto di Varsavia che inviarono truppe per porre fine alla Primavera di Praga che Walter Ulbricht, leader dell'allora DDR, per primo definì controrivoluzione (in compenso, per una questione di opportunità, considerato il precedente dell'invasione da parte di truppe tedesche nel 1938 dello stesso Paese, le truppe della DDR furono soltanto allertate e posizionate lungo il confine). Il progetto, curato dallo slovacco di lingua ungherese Peter Kerekes, che lo ha presentato ieri al Trieste Film Festival, è in concorso nella sezione documentari, ma ciascuno dei cinque lavori è qualcosa di più e ognuno ha sbizzarrito la propria fantasia per raccontare una storia diversa e si tratta in realtà di cinque piccoli film, tutti a modo loro dei gioellini, che usano toni diversi. Ironico quello della russa Evdokia Moskvina, che racconta L'ultima missione di un ex generale sovietico che da Odessa raduna un gruppo di ex colleghi per fare una visita a Praga dove incontrano un 90 enne ex ufficiale ceco controllore di volo che non li ha perdonati; paradossale (ma reale) il racconto dell'unica vittima, un giovane sergente bulgaro, dalla parte degli occupanti, un Eroe non necessario, di Stephan Komandarev; intimista Voci nella foresta della tedesca Marie Elise Scheidt, che fa parlare ex militari di leva contrari all'occupazione, uno dei quali incarcerato per avere espresso il rifiuto di sparare, all'occorrenza; agrodolce, con un suo lirismo tutto sommato malinconico Una rosa rossa di Linda Dombrowszky, che presenta la riunione di un gruppo di coscritti dell'epoca nello stesso campo d'addestramento da cui partirono 50 anni prima per occupare una striscia di terreno oltreconfine nella Slovacchia a maggioranza magiara, infine quello più poetico e commovente Ti sto scrivendo, amore mio della polacca Magdalena Szymkóv. Da notare che su 5 registi, quattro sono donne. Difficile dire quale episodio sia migliore, e probabilmente non ha molto senso: l'amalgama è perfetto e funziona, quindi un grande merito va anche all'ideatore e produttore Peter Kerekes. (TSFF, in concorso, sezione documentari)
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