"Megalopolis" di Francis Ford Coppola. Con Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza, Shia LaBoeuf, Jon Voight, Jason Schwartzman, Kathryn Hunter, Dustin Hoffman, Laurence Fisburne, Grace VanderWaal e altri. USA 2024 ★★★★1/2
Sono stato a lungo indeciso se tornare a rendere omaggio a uno dei rari maestri del cinema sopravvissuti: leggendo di "favola distopica", visionarietà e di sovrapposizione tra Impero Romano e Americano avevo tergiversato, temendo di andare incontro a una delusione, un "Marvel" d'autore, ma le critiche contrarie e un certo compiacimento nel celebrare un clamoroso flop di FFC mi hanno spinto in sala non fosse altro per solidarietà, perché il Grande Vecchio ci ha rimesso del suo, investendo tempo (aveva in mente il progetto da una quarantina d'anni) e, soprattutto denaro proprio, a differenza di quelli che scrivono sui giornali e il biglietto non se lo pagano di tasca loro. Immaginifico, multidimensionale, colorato e allo stesso tempo cupo, con utilizzo di tutto ciò che consente il digitale e supportato da una colonna sonora potente, come in ogni film di Coppola, Megalopolis è una meditazione sul tempo, concetto inafferrabile: Sergio Catilina, un architetto geniale che ha vinto il Nobel inventando il megalon, un nuovo materiale che permette tutto, dalla costruzione di Megalopolis, appunto, una Città dell'Utopia che nella sua immaginazione dovrà prendere il posto della degradata New Rome, alla ricostruzione di un volto sfregiato, ha il dono di fermare il tempo, o meglio l'attimo. A contrastare i suoi progetti Frankliyn Cicero ex procuratore distrettuale che l'ha perseguito a suo tempo ed è al corrente dei suoi segreti più intimi. Il primo, artista ecologista e sognatore è interpretato da Adam Driver, il secondo, conservatore ma sensibile ai problemi dei più poveri (ma soprattutto ai loro voti), da Giancarlo Esposito: già due garanzie, a cui si aggiungono Jon Voight nei panni del ricchissimo banchiere "illuminato" Hamilton Crasso, zio di Catilina, e Shia LaBeuf in quelli di suo figlio Clodio Crasso, il vilain che contrasterà sia il sindaco, sia il progettista mettendosi a capo del sottoproletariato le cui abitazioni sarebbero spazzate via da Megalopolis, e che farà la fine di Mussolini, appeso a testa in giù. E poi la sorprendente Audrey Plaza, nella parte dell'anchor-woman Wow Platinum, a rappresentare il mondo dei media nonché degli arrampicatori sociali e dei manipolatori, già amante di Catilina, sostituita nel suo cuore da Julia (Nathalie Emmanuel), la figlia del sindaco Cicero, che prima gli farà da addetto stampa, e poi gli darà una figlia, Sunny Hope, che però non avrà il dono di fermare il tempo come i genitori, perché fa già parte di un futuro che a loro non appartiene più e si ritroverà a gestire ciò che hanno prodotto, distrutto, creato. Come succede dalla notte dei tempi. Inutile stare a raccontare la trama più dettagliatamente: ci si lascia travolgere del flusso delle immagini, sontuose, e del racconto, in fondo semplice e lineare, e molto parlato e dunque teatrale, pieno di citazioni che svelano quanto basta il pensiero e le riflessioni di un uomo anziano e colto come Coppola, più che cinematografico. Si è parlato di una sorte di suo testamento, e di sicuro, correlato col tempo, uno dei temi è quello della morte, così come il senso dell'opera artistica, il ruolo della famiglia, i conflitti tra poteri, presenti del resto in tutta la sua produzione. Un film "nichilista", che non offre soluzioni, è stato il commento d molti: ma quali soluzioni dovrebbe prospettare, davanti allo sfacelo sempre più evidente, e di cui New York(Rome) è il simbolo più evidente, per quanto decantata come "faro della civiltà" da chi si adegua a questo sistema mostruoso e demenziale, un uomo che ha visto svanire tutte le speranze che aveva da giovane, e anzi deve fare i conti con il lascito di questa nostra fortunata e al contempo disgraziata generazione? Io ho una quindicina di anni in meno di Coppola, ma non ho certo una visione più ottimistica e mi ci sono ritrovato. Dunque pollice verso a chi ha dato pollice verso a Megalopolis: significa che non vuole vedere o che proprio non è in grado di capire. O non vuole. Ché poi il modo può piacere o meno, a me sì.
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