mercoledì 12 dicembre 2018

Santiago, Italia

"Santiago, Italia" di e con Nanni Moretti. Italia 2018 ★★★★
Sia per motivi anagrafici (siamo pressoché coetanei) sia per esperienze generazionali e politiche simili anche se non coincidenti (sono sempre stato distante dall'allora PCI come dal marxismo-leninismo militante e gruppettaro) e quindi per "memoria storica" ho sempre apprezzato, capito e spesso condiviso quanto Nanni Moretti ha detto nella sua ormai lunga carriera cinematografica, e ciò vale anche per questo documentario di cui, ha affermato, ha capito a posteriori perché lo aveva girato: quando, finite le riprese, è diventato ministro dell'Interno Matteo Salvini. Di cui, premetto, ho la massima disistima. Ma tracciare dei paralleli tra la situazione cilena che portò alla caduta di Allende e al fallimento del governo di Unidad Popular l'11 settembre del 1973 e quella attuale in Italia e trovare analogie fra la fuga dalla dittatura e l'accoglimento in Italia degli esuli di allora e le epocali vicende migratorie sulle rotte del Mediterraneo e dei Balcani mi sembra un tantino azzardato, eppure è questo il sottofondo del documentario, anche se qualcosa di vero c'è: la sinistra italiana d'allora era capace di uno sguardo internazionale (sempre fino a un certo punto: perché davanti a ciò che accadde tre anni dopo in Argentina il silenzio, in particolare da parte del PCI, fu assordante), i suoi epigoni odierni, abbagliati dalla globalizzazione, ne sono stati inghiottiti al punto che la loro visuale si è ridotta al proprio ombelico e la dimensione temporale a un presente privo di futuro quanto di passato. Passato che invece Moretti fa riemergere attraverso materiale d'archivio e interviste a esuli che hanno trovato rifugio in Italia raccontando le vicende cilene di 45 anni fa in quattro fasi: quella che precedette il golpe, con la vittoria di Unidad Popular alle elezioni del 1970; il colpo di Stato di Pinochet, fomentato dagli USA, colpiti nei loro interessi dalla nazionalizzazione del rame da parte di Allende ma soprattutto timorosi dell'effetto-contagio dell'esperienza cilena non solo nel "cortile di casa", ossia l'America Latina, ma anche in Europa, nei Paesi in cui la sinistra era più forte, Italia e Francia per primi (ricordo che dopo il golpe in Cile prese corpo la teoria del Compromesso Storico di Berlinguer, che aveva sì un suo perché ma contribuì non poco a innescare un virus mortale per la sinistra italiana); la feroce repressione che ne seguì; il ruolo meritorio che svolse l'ambasciata italiana a Santiago, in particolare quello del viceconsole Enrico Calamai, (anche lui tra gli intervistati) che ottenne il trasferimento in Italia di oltre 400 richiedenti asilo, di cui 250 si erano rifugiati nella sede diplomatica e che tre anni dopo, a Buenos Aires, si ripetè in condizioni ancora più tremende e rischiose; infine, a conclusione, una raccolta di impressioni sull'esperienza italiana di quegli esuli. Moretti interviene in prima persona soltanto quando gli intervistati sono in preda a un blocco emotivo, immersi nei loro ricordi o nei loro incubi, e spesso i loro silenzi risultano molto più efficaci ed espliciti delle parole, e lo si vede in video soltanto nell'inquadratura iniziale quando guarda la città dall'alto, e successivamente mentre interloquisce con un ex generale condannato a dieci anni di reclusione che si protesta innocente, dicendogli che non sarebbe stato imparziale nei suo confronti, concessione tutto sommato modesta al proprio ego da parte del caro Nanni. Detto questo, il documentario non può che coinvolgere profondamente chi ha ricordo di quegli anni ormai lontani: un altro mondo ma soprattutto un'altro modo di starvi, con la concreta speranza che le cose potessero cambiare e convinti di potere essere protagonisti di un miglioramento che non riguardasse soltanto sé stessi ma anche il prossimo. Delle frasi del film, quella che più mi è rimasta impressa, a differenza di molti altri che hanno parlato di Santiago, Italia,  è quella di un intervistato che faceva notare che sì, la democrazia è una cosa bella, ma solo finché i risultati fanno comodo a chi detiene il vero potere, affermazione condivisa nella sostanza dall'altro generale sentito da Moretti. E che vale anche qui e oggi. 

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