"Capri-Revolution" di Mario Martone. Con Marianna Fontana, Reinout Scholten van Aschat, Donatella Finocchiaro, Antonio Folletto, Gianluca Di Gennaro, Eduardo Scarpetta II, Jenna Thiam, Luca Girardello. Lola Klamroth, Maximilian Dirr e altri. Italia, Francia 2018 ★★★
Vale per Capri-Revolution, che all'ultima Mostra del Cinema di Venezia ha fatto incetta di premi collaterali, quanto detto a suo tempo per Noi credevamo e Il giovane favoloso, a chiusura di una trilogia, a detta del regista napoletano del tutto casuale, che ha per protagonisti dei giovani in diversi momenti della storia italiana a partire dall'inizio dell'Ottocento e nel momento della loro formazione e presa di coscienza (nel primo caso si trattava di Giacomo Leopardi): un film ben girato, attento ai dettagli, con un'ottima fotografia, dall'evidente e lodevole intento educativo ma ancora una volta lento, a mio parere poco adatto al grande schermo e invece perfetto per una serie televisiva fatta come si deve. In più, questa volta c'è l'aggravante della scarsa attendibilità della figura di Lucia, per quanto splendidamente interpretata dalla giovane Marianna Fontana, una capraia che viene irresistibilmente attratta, mentre porta a pascolare i suoi animali, dagli strani personaggi che sull'Isola di Capri, dove si svolge l'intera vicenda tra l'estate del 1914 e la prima vera del 1915, al momento dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra, avevano costituito una comune sul modello di quella creata da Karl Diefenbach ad Ascona, il quale davvero, una volta fallito il tentativo in Svizzera e andato in bancarotta, si era trasferito a Capri, dove morì però nel 1913. Provenienti dall'Europa del Nord, in preda alle ossessioni misticiste a naturaliste che periodicamente colpiscono tedeschi e anglosassoni, nudisti, pacifisti, vegetariani, ritenevano che solo attraverso l'espressione artistica l'uomo potesse rigenerarsi; a far loro da controcanto, l'arrivo sull'isola di un giovane medico napoletano progressista e di formazione positivista e, come molti intellettuali dell'epoca, interventista dopo lo scoppio del conflitto: in mezzo, appunto, Lucia, una ragazza dallo spirito curioso e indipendente, in conflitto con due fratelli che, dopo la morte del padre, la rinnegano perché si rifiuta di sposarsi con un bottegaio vedovo e benestante e perché infanga l'onore di famiglia frequentando quei personaggi demoniaci. Che avranno pure avuto ragione a opporsi al conflitto e al materialismo mercatista già allora dilagante, ma riescono a diventare odiosi come tutti i fanatici e settari di questo mondo, e Martone, oltre a dipingerli per quello che erano e sono, dei manipolatori di menti deboli e fondamentalmente sprezzanti dell'umanità che affermano di amare e voler redimere, li rende ancora più sgradevoli con lunghe sequenze delle loro insopportabili nenie su melodie orientaloidi e improbabili e danze al chiar di luna: a chi ha la mia età e viveva a Milano, fanno inevitabilmente venire in mente gli Hare Krishna o gli adepti di Re Nudo e dintorni e il Festiva del Parco Lambro 1976. In tutto questo, Lucia nel giro di nemmeno mezzo anno da analfabeta impara a leggere, per di più testi filosofici e, con buona proprietà, anche l'inglese (altrettanto improbabile che lo parlasse fluentemente un giovane medico dell'epoca, considerando che fino agli anni Sessanta nei licei italiani la lingua straniera di gran lunga più studiata era il francese ), mentre è più credibile che, essendo dotata di ottima intelligenza unita all'infallibile intuito femminile, fosse in grado di vedere le contraddizioni dei tre modelli che si trovava davanti: quello tradizionale e patriarcale; quello perso nelle galassie dei visionari snob e quello della fiducia nel progresso inarrestabile, in sostanza tre modi di raccontarsela. Il che ce la renderebbe simpatica, se non fosse che per trovare la libertà e la sua realizzazione finisce per emigrare da sola, trasformatasi in una sorta di protofemminista, negli Stati Uniti. Bella roba. Alla fine l'unico personaggio davvero ammirevole è la povera e silenziosa madre (Donatella Finocchiaro, in un ruolo breve ma intenso) che finisce per rimanere sola ad accudire una casa vuota e le capre, e che però ha sempre saputo che la figlia era speciale. Insomma, non si può dire che sia un brutto film ma certamente non avvincente e nemmeno particolarmente riuscito: il giudizio è positivo per le qualità tecniche e la stima nei confronti di Martone, ma nulla più.
Vale per Capri-Revolution, che all'ultima Mostra del Cinema di Venezia ha fatto incetta di premi collaterali, quanto detto a suo tempo per Noi credevamo e Il giovane favoloso, a chiusura di una trilogia, a detta del regista napoletano del tutto casuale, che ha per protagonisti dei giovani in diversi momenti della storia italiana a partire dall'inizio dell'Ottocento e nel momento della loro formazione e presa di coscienza (nel primo caso si trattava di Giacomo Leopardi): un film ben girato, attento ai dettagli, con un'ottima fotografia, dall'evidente e lodevole intento educativo ma ancora una volta lento, a mio parere poco adatto al grande schermo e invece perfetto per una serie televisiva fatta come si deve. In più, questa volta c'è l'aggravante della scarsa attendibilità della figura di Lucia, per quanto splendidamente interpretata dalla giovane Marianna Fontana, una capraia che viene irresistibilmente attratta, mentre porta a pascolare i suoi animali, dagli strani personaggi che sull'Isola di Capri, dove si svolge l'intera vicenda tra l'estate del 1914 e la prima vera del 1915, al momento dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra, avevano costituito una comune sul modello di quella creata da Karl Diefenbach ad Ascona, il quale davvero, una volta fallito il tentativo in Svizzera e andato in bancarotta, si era trasferito a Capri, dove morì però nel 1913. Provenienti dall'Europa del Nord, in preda alle ossessioni misticiste a naturaliste che periodicamente colpiscono tedeschi e anglosassoni, nudisti, pacifisti, vegetariani, ritenevano che solo attraverso l'espressione artistica l'uomo potesse rigenerarsi; a far loro da controcanto, l'arrivo sull'isola di un giovane medico napoletano progressista e di formazione positivista e, come molti intellettuali dell'epoca, interventista dopo lo scoppio del conflitto: in mezzo, appunto, Lucia, una ragazza dallo spirito curioso e indipendente, in conflitto con due fratelli che, dopo la morte del padre, la rinnegano perché si rifiuta di sposarsi con un bottegaio vedovo e benestante e perché infanga l'onore di famiglia frequentando quei personaggi demoniaci. Che avranno pure avuto ragione a opporsi al conflitto e al materialismo mercatista già allora dilagante, ma riescono a diventare odiosi come tutti i fanatici e settari di questo mondo, e Martone, oltre a dipingerli per quello che erano e sono, dei manipolatori di menti deboli e fondamentalmente sprezzanti dell'umanità che affermano di amare e voler redimere, li rende ancora più sgradevoli con lunghe sequenze delle loro insopportabili nenie su melodie orientaloidi e improbabili e danze al chiar di luna: a chi ha la mia età e viveva a Milano, fanno inevitabilmente venire in mente gli Hare Krishna o gli adepti di Re Nudo e dintorni e il Festiva del Parco Lambro 1976. In tutto questo, Lucia nel giro di nemmeno mezzo anno da analfabeta impara a leggere, per di più testi filosofici e, con buona proprietà, anche l'inglese (altrettanto improbabile che lo parlasse fluentemente un giovane medico dell'epoca, considerando che fino agli anni Sessanta nei licei italiani la lingua straniera di gran lunga più studiata era il francese ), mentre è più credibile che, essendo dotata di ottima intelligenza unita all'infallibile intuito femminile, fosse in grado di vedere le contraddizioni dei tre modelli che si trovava davanti: quello tradizionale e patriarcale; quello perso nelle galassie dei visionari snob e quello della fiducia nel progresso inarrestabile, in sostanza tre modi di raccontarsela. Il che ce la renderebbe simpatica, se non fosse che per trovare la libertà e la sua realizzazione finisce per emigrare da sola, trasformatasi in una sorta di protofemminista, negli Stati Uniti. Bella roba. Alla fine l'unico personaggio davvero ammirevole è la povera e silenziosa madre (Donatella Finocchiaro, in un ruolo breve ma intenso) che finisce per rimanere sola ad accudire una casa vuota e le capre, e che però ha sempre saputo che la figlia era speciale. Insomma, non si può dire che sia un brutto film ma certamente non avvincente e nemmeno particolarmente riuscito: il giudizio è positivo per le qualità tecniche e la stima nei confronti di Martone, ma nulla più.
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