"Destinatario sconosciuto" di Katherine Kressman-Taylor. Adattamento e regia di Rosario Tedesco. Con Nicola Bortolotti e Rosario Tedesco e la partecipazione del coro "F. Gaffurio" del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, diretto dal Maestro Edoardo Cazzaniga. Luci di Giuliano Almerighi. Produzione Teatro dell'Elfo. Fino al 23 dicembre al Teatro Elfo/Puccini di Milano.
Stringato quanto coinvolgente, privo di retorica, il testo, tratto dal romanzo epistolare omonimo di Katherine Kressman-Taylor, che aveva stregato alla prima lettura l'autore e regista Rosario Tedesco, qui protagonista assieme al collega Nicola Bortolotti, consiste nello scambio di lettere, a distanza, tra due grandi amici e soci in affari: Max, ebreo tedesco che dirige una galleria d'arte a San Francisco e Martin, tornato a vivere a Monaco, tra il 1933 e l'anno successivo, ossia quello della salita di Hitler alla cancelleria su incarico del presidente Hindenburg e quello del consolidamento del suo potere, e che segna il progressivo franare della loro relazione in seguito alla adesione sempre più convinta del secondo all'ideologia nazista. Sullo sfondo, il segnali sempre più preoccupanti del disfacimento che a sua volta colpisce tutto il sistema di valori, cultura, umanità della nazione tedesca, pronta a seguire nell'abisso l'ideologia del dittatore, che pure non nasce dal nulla, ma dalla profonda crisi economica e politica e dalla miseria scatenate dalle clausole vessatorie stabilite dal Trattato di Versailles in seguito alla sconfitta della Germania nella Grande Guerra: su questo punto il testo è onesto e non omissivo, perché la tragedia non nacque dal nulla e un intero Paese non è impazzito soltanto per motivi endogeni o una sua tara profonda, e dovrebbe far riflettere a sua volta gli epigoni di coloro che furono le principali vittime di allora, ossia lo Stato ebraico con le sue politiche di occupazione e sostanziale apartheid. Un dramma privato, dunque, quello che viene illustrato in modo esemplare dai due protagonisti in un botta-e-risposta sempre più fitto e tagliente e drammatcio, a cui fa da contrappunto musicale un coro, diverso per ogni città in cui l'atto unico viene rappresentato, nel caso di Milano quello delle voci bianche del Conservatorio Giuseppe Verdi, la cui entrata in scena ha suscitato emozioni forti nel pubblico che ha assistito alla rappresentazione, nella Sala Fassbinder del Teatro di Corso Buenos Aires, capace di 200 posti sistemati come gli spalti di due tribune contrapposte di un'arena dalle dimensioni di un campo da tennis. Eseguiti tre brani: uno giocoso di Mozart, come a illustrare la Germania dell'anteguerra; il secondo di Gideon Klein, esempio di musica degenerata e messa al bando dal regime nazista fin dai suoi esordi, e l'ultimo, straniante, di Ilse Weber, ebrea ceca di lingua tedesca, che sembra annunciare i Lager e accompagnare lo sterminio di milioni di innocenti. Essenziale il testo come la sua rappresentazione da parte dei due protagonisti, impeccabile e commovente il coro: vedere un gruppo così folto di giovanissimi dedicarsi con entusiasmo a una passione che non siano smartphone, giochi on line o a praticare onanismo mentale via sòscial è confortante e fa pensare che la realtà non è quella che traspare dai giornali e dalla TV che fanno da vetrina ai vari Twitter, Facebook, Instagram e compagnia bella. Vivamente consigliato.
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