domenica 23 dicembre 2018

Roma

"Roma" di Alfonso Cuarón. Con Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Nancy García García, Marco Graf, Daniela Demesa, Diego Cortina Autrey, Carlos Peralta, Veronica García, Fernando Grediaga, Jorge Antonio Guerrero, José Manuel Guerrero Mendoza, Latin Lover e altri. Messico, USA 2018 ★★★★★
Prodotto da Netflix e nelle sale per un breve periodo, il film vincitore dell'ultimo Leone d'Oro a Venezia è sicuramente tra i migliori visti quest'anno assieme a The Post, Loro e Manuel, e ho avuto la fortuna di intercettarlo in lingua originale, ossia il castigliano addolcito che si parla nell'America Latina, con cui ho una buona confidenza, a sua volta sottotitolato in spagnolo perché in parte parlato in mixteco, lingua della popolazione india originaria dell'Oaxaca, regione di provenienza del personale di servizio della famiglia di cui vengono raccontate le vicende, che sono quelle autobiografiche dell'autore, a cavallo tra il 1970 e il 1971, e che vive in un palazzo del quartiere residenziale Colonia Roma, da cui il titolo della pellicola. Tra tutti spicca Cleo, interpretata in maniera commovente da Yalitza Aparicio, attrice non professionista, la giovane indigena tuttofare alle cui cure tutti gli abitanti della magione, un padre e una madre, quattro figli e una nonna nonché il cane, si affidano con fiducia per la sua solerzia, docilità, disponibilità infinita, dando per scontata la sua assistenza sia materiale, dal portare a scuola i bambini, a metterli a letto, servire in tavola oppure pulire l'androne dalle deiezioni canine; sia psicologica, perché la famiglia, borghese e di origine spagnola per cui lavora, è in crisi: Antonio, il padre, medico, parte per il Quebec per una conferenza ma non torna perché ha un'amante, e Sofia, la moglie, si industria per nascondere la realtà della separazione ai figli e intanto cerca una soluzione lavorativa per mantenere la famiglia a un livello adeguato. Parallelamente, si sviluppa la vicenda della problematica gravidanza di Cloe, rimasta incinta di un giovane esaltato fanatico di arti marziali che, dice, lo hanno salvato dalla strada, e che ha un esito traumatico. Nonostante questo, la ragazza terrà duro e supererà il momento difficile, che coincide anche con quello in cui Sofia svela ai figli la verità sull'abbono da parte del loro padre e l'inizio di una nuova vita, sulle spiagge di Veracruz dove si sono recati per una provvidenziale vacanze si qualche giorno: un pretesto per consentire ad Antonio di svuotare la casa di Colonia Roma delle sue librerie e di altri suoi oggetti. Dal doppio binario di un dramma borghese e di uno proletario, il tutto sullo sfondo di un periodo storico particolarmente teso per un Paese già movimentato e conflittuale di suo (sono gli anni successivi al massacro di Tlatelolco (la Piazza delle Tre Culture) di cui ricorreva il 2 ottobre scorso il 50° anniversario, esce un affresco di un Messico contraddittorio, straordinariamente complesso ma vivo, le cui componenti, per quanto culturalmente diverse e a tratti inconciliabili, in realtà sono in simbiosi e su piani solo apparentemente diversi; pervicacemente maschilista ma dove sono le donne, sempre vittime e subordinate, a essere indispensabili tenere in piedi non solo la "baracca" ma a rappresentare la speranza di un nuovo inizio: questo vale per Cleo ma anche per Sofia, che riprende in mano la propria esistenza; un Paese al contempo progressista e reazionario, dove gli opposti trovano una sintesi, la cui vita politica non a caso è stata dominata per quasi un secolo da un partito che, per ossimoro, si chiama Partito Rivoluzionario Istituzionale. Tutto questo Cuarón lo racconta con un film a mio parere esemplare, che ricorda le cose migliori del neorealismo italiano del Dopoguerra, in cui oltre a un soggetto perfetto e a uno svolgimento puntuale, una fotografia di rara potenza, resa ancor più efficace da un bianco e nero del tutto funzionale, e una colonna sonora del tutto aderente, contribuiscono a un risultato di altissimo livello.Una pellicola che rimane impressa e commuove, senza mai essere melodrammatica; frutto di ricordi e di una sincera riconoscenza alle donne che sono davvero state indispensabili nella vita del regista: le tate indigene della sua infanzia. Passato alla fama internazionale per Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, I figli degli uomini e il pluripremiato Gravity, tutti buoni film che però non mi avevano convinto del tutto, con Roma Cuarón torna al suo Messico come già fece nell'altra sua pellicola che avevo finora apprezzato di più e con cui Roma ha più di un'analogia: il toccante e coinvolgente Y tu mamá también del 2001

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