lunedì 3 dicembre 2018

A Private War

"A Private War" di Mattew Heineman. Con Rosamund Pike, Jamie Dornan, Tom Hollander, Stanley Tucci, Greg Wise, Nikki Amuka Bird, Alexandra Moen, Corey Johnson e altri. USA 2018 ★★★½
Film biografico sulla celebre giornalista di guerra Marie Colvin, rimasta uccisa assieme al fotografo francese Rémi Ochilik nel febbraio del 2012 durante l'assedio di Homs, in Siria, probabilmente su mandato di Bashir Al Assad, sembra più una produzione inglese che americana: sia perché l'ambientazione, quando non è nelle zone di conflitto, è a Londra, dove ha sede il Sunday Times, giornale per cui lavorava; sia perché è britannica una buona parte del cast; sia perché evita l'eccesso di retorica sul personaggio, che è stata sì una grande reporter, libera, spregiudicata, dedita alla causa di raccontare le vere vittime di ogni evento bellico, ossia i civili e i dimenticati, ma anche una donna dalla personalità complessa, difficile, dai rapporti non facili col prossimo ma ancor meno con sé stessa: la guerra privata del titolo del film, tratto da un articolo di Marie Brenner sull'edizione USA di Vanity Fair, si riferisce proprio a questo, ed è la storia di una vocazione che nasce anche se non soprattutto da una sorta di dipendenza (il suo collega e sodale per anni Paul Conroy ne individuava la causa in uno stress post-traumatico che colpisce soprattutto i militari reduci da situazioni estreme ma anche i reporter più spericolati, che si muovono superando qualsiasi limite di prudenza). Ed è questa una risposta, da un punto di vista medico e psicologico, alla domanda che chiunque si pone sul "chi glielo faccia fare", e che Marie, nella sua vita privata, si è sentita spesso fare dalle persone con sui si relazionava più da vicino, a cui la sua impellenza di raccontare, la sua scelta di vita, il continuo rischiarla ponendo l'asticella del pericolo da superare sempre più in alto risultavano alla fine insopportabili. Ed è in particolare su questo fronte che Marie pagava le conseguenze delle sue scelte professionali, in termini di depressioni ricorrenti e di alcolismo, anche se viveva la sua professione come una missione,  mossa da qualcosa che per lei era una sorta di imperativo morale. Il film ne ripercorre gli ultimi dieci anni di carriera, da quando perde l'occhio sinistro a causa dello scoppio di una granata nel 2001 in Sri Lanka, dove è la prima giornalista a entrare in contatto con le Tigri Tamil (prima era stata già in Kosovo, Cecenia, Afghanistan, aveva intervistato sia Arafat sia Gheddafi) e a raccontare la loro lotta; poi in Iraq, dove scopre centinaia di cadaveri di kuwaitiani eliminati e gettati in fosse comuni; in Libia durante le "primavere arabe", dove è tra gli ultimi a intervistare Gheddafi (per lei una seconda volta) e, infine, l'avventura di Homs, quando racconta la tragica realtà di un ospedale di fortuna nella città martoriata e trasmette da una postazione clandestina da cui non riesce a fuggire per tempo una volta che è stata individuata. Come accennato il regista riesce a trattare la materia in modo non enfatico ed eccessivo, la realtà bellica è resa in modo vivido e coinvolgente dalle immagini, la fotografia è all'altezza e lo sono anche gli interpreti, a cominciare dai tre principali, Rosamund Pike (Marie Colvin), Jamie Dornan (Paul Conroy) e Tom Hollander (il suo caporedattore agli esteri Sean Ryan). 

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